La voce dei lettori
Cominiciare a studiare Fabrizio De Andrè? Ma va là!
Batti e ribatti. Un lettore non condivide l'appunto critico del poeta Maurizio Cucchi sul cantautore genovese
31 gennaio 2009 | T N
Chissà quante ingiurie riceverà Maurizio Cucchi per i suoi commenti su De Andrè (link esterno); purtroppo oggi l'opinione pubblica si divide tra i detrattori di De Andrè e i suoi santificatori: entrambe le parti dovrebbero, secondo me, spegnere la televisione e cominciare a studiare De Andrè.
Ebbene sì, Maurizio Cucchi, studiare De Andrè.
Io conosco la sua poesia, Cucchi, e la trovo molto valida, ma non capisco secondo quali presupposti critici, teorici, storici lei può denigrare in modo assoluto un altro poeta, soltanto perchè esecutore di canoni di scrittura diversi dai suoi.
Lei scrive una poesia "monumento", De Andrè "documento"; lei arriva talvolta al simbolo, o alla rappresentazione del mistero (quando il silenzio diventa parola), o anche alla non-rappresentazione per espressione psichica immediata, De Andrè non ha domande senza risposte (mistero) ma solo risposte senza domande (magia) [riprendo una frase deleuziana], lo muove un infinito intento spirituale che si fa etico-politico, e non solo il silenzio si fa parola, ma il dolore si fa pietà , quindi azione politica (ecco il senso della tragedia La buona novella); lei racconta in modo autobiografistico ed esemplare una situazione di inspiegabilità , De Andrè dà al racconto (come ha notato Luzi) valenza rapsodica, già morale, restituendo alla canzone il suo ruolo comunitario.
Sicuramente tutte queste differenze ci sono (mi perdoni nel caso ho detto qualche castroneria sulla sua poesia) ma chi potrebbe dire quale delle due poetiche è più valida dell'altra? Una buona critica storiografica non dovrebbe considerare e comparare entrambe le istanze? Mi è molto dispiaciuto che lei abbia detto quelle stupidagini sull'inconciliabilità di poesia e musica, ci sono infinite biblioteche sulla storia comune di queste due arti, fino a Heidegger e Severino che vedono la radice greca mu alla base di tante interessanti paroline (dolore, mistero, mito, musica, parola, racconto - le dicono niente?).
L'intento dichiarato di De Andrè era quello di trasportare la letteraura nella canzone a fini etico-politici, operazione straordinaria, a mio giudizio (e non solo per il mio, se ne sono già interessati Luzi, Niva Lorenzini, Vattimo, Sanguineti). Inoltre in Anime salve, l'ultima opera di De Andrè considerata più "spirituale", dove si fa un discorso esistenzialistico sulla precarietà come libertà attraverso Cioran, Sestov e Plotino, De Andrè giunge ad un tipo di poesia-preghiera molto vicino a precedenti illustri quali Ungaretti, Pasolini e Girolamo Comi (e forse, mi permetto, anche al Cucchi di La luce del distacco), cioè una preghiera dell'assenza e non della presenza, con una necessaria volontà di presenza.
Io, molto umilmente, sto scrivendo un libro su De Andrè e sto studiando molto in questo periodo la poesia contemporanea, e prego Cucchi di studiare almeno un poco De Andrè prima di sparare giudizi alquanto ridicoli del tipo "io sono poeta, tu no!". Sono d'accordo sul fatto che la gente oggi conosce molto di più i cantautori dei poeti, e questa non è una buona cosa, ma dobbiamo fare la differenza tra arti meglio fruibili e artisti di consumo: il cinema è sicuramente molto più fruibile del teatro, e Kubrick è visto molto più di un Fo, ma questo non vuol dire che Kubrick sia un regista di consumo (quello forse sarà Muccino); allo stesso modo De Andrè è molto più conosciuto di un Magrelli, ma questo non vuol dire che sia un autore di consumo (quello sarà Battisti).
La pagina scritta a sua volta è più diffusa della cultura pittorica, e Calvino così è più diffuso di un Movelli (ma non è di consumo, quelli saranno i gialli). La fama non dipende quindi dalla qualità dell'artista (che la abbassa per ottenere più successo), ma dal tipo di arte usata (e oggi alla poesia sembra riservata una "fama postuma", data dall'insegnamento scolastico). D'altronde non sembra proprio che De Andrè abbia abbassato la qualità dei testi per un mercato più ampio, visto che molti degli stessi critici letterari, come lei, non hanno ancora capito il suo messaggio poetico (da qui il mio invito a studiarlo), e la maggior parte della gente canticchia motivetti che non ha capito spinta dalla pubblicità ossessiva dei Fazio e delle Dori Ghezzi. Che le canzoni siano più commerciali è un fatto, ma questo non vuol dire sminuire ciò che hanno detto i cantautori (De Andrè e Guccini soprattutto).
Quindi, Maurizio Cucchi, sminuire l'arte altrui con il pretesto che "tu sei più famoso di me quindi sei per le masse", è un atto molto riduttivo e direi anche vergognoso, dettato si direbbe da una specie di crisi d'identità (poetica) che ricerca disperatamente un riconoscimento a furor di popolo come quello, peraltro ingiustificato, di De Andrè, con il solo movente dell'invidia (anch'essa ingiustificata per un Cucchi!).
Ritorni in lei, Cucchi, e studi il fenomeno letterario Fabrizio De Andrè con molta attenzione, così che dopo, mi auguro, potrà esprimere a riguardo un giudizio più intelligente.
Emanuele Maggio
Vedo che lei è molto sicuro di se' e arriva a una tale attenzione nei miei confronti da riservarmi degli insulti. D'altra parte, visto che lei si considera miglior lettore di poesia di quanto possa esserlo io dopo oltre 40 anni di pratica specifica non posso che rallegrarmi della cosa. Quanto ai suoi inviti a studiare De Andre', posso invitarla umilmente a non darmi consigli come io non ne do a lei.
Quanto al rapporto musica poesia, mi sembra che il problema vada posto in ben altri termini, fermo restando che da secoli la poesia non chiede musica, ma semmai la respinge per dare autonomia alla propria. Quanto all'invidia, beh, la riferisca a qualcuno che conosce di persona. Come potrei invidiare chi dice "e come tutte le più belle cose vivesti solo un giorno, come le rose" o "sparagli Piero sparagli ancora e dopo un colpo sparagli ancora".
Un problema di linguaggio.
La saluto.
Maurizio Cucchi