La voce dei lettori 30/08/2024

Abolire l’olio lampante per salvare l’olio extravergine di oliva

Abolire l’olio lampante per salvare l’olio extravergine di oliva

Il pulsante per provocare lo shock nel mondo dell’olio di oliva esiste, solo che nessuno lo vuole pigiare, si chiama olio lampante e suoi derivati


Gentile Direttore,

ecco alcuni pensieri sciolti in relazione allo shock per cambiare la mentalità nella commercializzazione e percezione del valore dell’olio extravergine di oliva.

Due annate siccitose consecutive, nel bacino del mediterraneo, non sono rare. Senza andare a scomodare le bibliche sette mucche magre i nostri bacini idrici hanno una capienza per sopperire a tre annate siccitose consecutive. Chi si occupa di commercializzazione di olio queste cose le conosce e sa che dopo le annate siccitose arrivano quelle piovose e si ritorna a “su connottu” vale a dire prezzi bassi che non coprono le spese di produzione.

Il pulsante per provocare lo shock esiste, solo che nessuno lo vuole pigiare, si chiama olio lampante e suoi derivati. Basta mettere fuori commercio definitivamente questo prodotto, nocivo per la salute umana e la produzione di olio di oliva cala vertiginosamente di 500/600 mila tonnellate ed in maniera definitiva. Chi deve farlo sa anche come metterlo in atto senza troppo penalizzare i produttori soprattutto iberici, ma anche pugliesi e calabresi, di olio lampante.

Nel medio periodo le OP devono passare da cooperative di mera fatturazione formale di olive ed olio ad una commercializzazione sostanziale. Gli agricoltori devono anche loro fare la loro parte adottando moderni sistemi di produzione e capitalizzando le cooperative di appartenenza, non basta devono anche produrre olio dop e igt per dare ai consumatori la certezza della qualità e della provenienza dell’ olio. Ci sarebbero altre cose da dire ma mi fermo qui’

Cordialmente

Mario Tirotto

Gentile Sig. Tirotto,

vorrei invertire la sua prospettiva.

Troppo spesso, quando si parla di valorizzazione, di valore aggiunto del prodotto, si parte appunto dal mondo olivicolo-oleario, come se soluzioni normative, associazionistiche o di comparto potessero dare valore dall’extravergine.

In realtà chi conosce, o non riconosce, il valore dell’extravergine è il consumatore.

Se l’extravergine, nella mente del consumatore, ha la stessa utilità della carta igienica, ovvio che sceglierà quello al prezzo inferiore e allora si scatenerà l’asta al ribasso nella GDO, da cui le disfunzioni e le distorsioni del mercato attuale.

Immaginiamo allora di eliminare l’olio lampante dal mercato. Ipotesi di fantasia, visto che altri Paesi produttori, a partire dalla Turchia per esempio, si opporrebbero a tale soluzione. Immaginiamo, dunque, la scomparsa del lampante. Calerebbe la produzione di oli di oliva ma, non per questo, l’immagine dell’extravergine salirebbe. Si sposterebbero quindi semplicemente i consumi dei prodotti banditi per legge verso altri oli vegetali o i condimenti, che vanno tanto di moda ultimamente.

Per voler essere ancora più chiaro l'olio di oliva, che discende dal lampante, non è un succedaneo dell'olio extravergine di oliva ma semmai degli oli vegetali. Gli ultimi due anni di scarica nella produzione olearia mediterranea lo hanno dimostrato in maniera inequivocabile.

Come aumentare l’immagine dell’extravergine e dunque il valore aggiunto?

Semplicemente caricando l’extravergine di valori che piacciano o intrighino il consumatore, le cui richieste non sempre collimano con quelle del mondo della produzione.

Facciamo l'esempio di Dop/Igp: i prodotti a denominazione di origine che riscuotono davvero successo sul mercato (Grana Padano, Parmigiano reggiano, Prosciutto di parma...) sono conosciuti, riconosciuti e apprezzati indipendentemente dalla certificazione Dop o Igp. Sono conosciuti, riconosciuti e apprezzati per alcune loro caratteristiche, indipendentemente dal bollino.

Insomma, serve una rivoluzione culturale per dare la possibilità al consumatore di indicare quali elementi valoriali, oltre al prezzo, sono a lui utili per discriminare e scegliere l’olio “migliore”, cioè più adatto alle sue esigenze.

Come per altre categorie commerciali, una segmentazione scelta e voluta dal consumatore porterebbe anche a scale prezzi potenzialmente remunerative.

Cordiali saluti

Alberto Grimelli

di T N