La voce dei lettori

Ricordando Fabrizio De André

Il ritratto in una lettera di Mario Pulimanti

08 gennaio 2009 | T N

Sono passati dieci anni dalla morte di Fabrizio De André, ucciso l’11 gennaio 1999 da un tumore al polmone.
Una voce, quella del cantautore genovese nato nel 1940, destinata a restare impressa nella memoria collettiva italiana, per la bellezza della sua musica e per l’intensità delle sue parole.

Le sue canzoni parlavano di giustizia, povertà, potere, vittime, soldati, sesso, ipocrisia, morte, e della rendita di una puttana.
Per una decina d’anni centellinò le sue uscite pubbliche ma le sue canzoni si facevano sentire e notare.
Gli amici lo chiamavano Faber, come aveva iniziato a fare Paolo Villaggio gironzolando fra i vicoli di Genova.
Poi si imbarcò nel primo tour con una band che mescolava musicisti genovesi dei New Trolls e della Nuova idea e che si portava come spalla dei giovani di belle speranze: Beppe Grillo prima, Eugenio Finardi poi.

Due anni dopo fu la Pfm a convincerlo a tornare in scena, arrangiando le sue canzoni in chiave rock.
Ad aprire gli spettacoli altri due giovani di belle speranze, Roberto Benigni e David Riondino. Ne parlarono tutti. Anche troppo.
De André e la compagna Dori Ghezzi, tornati dal tour con i soldi per la stalla nuova della loro fattoria in Sardegna furono rapiti e rilasciati dopo 117 giorni e il versamento di un cospicuo riscatto.
L’esperienza da un certo punto di vista liberò Fabrizio da altre paure riconciliandolo con il pubblico e spingendolo a osare musicalmente più del solito.

Io suoi dischi non erano semplici raccolte di canzoni, ma cercavano da sempre un filo conduttore e un rapporto con la società. Non era didascalico. Usava le
metafore e le immagini per raccontare altre cose. Poi le decine di libri, i numerosi film, i dischi che per dieci anni si sono succeduti e altri ne arriveranno. Ciascuno con il compito di ricordare, tutti che riescono a farcelo rimpiangere, a dare valore aggiunto a quella sua voce dal timbro unico, pulita,
essenziale, chiara e tagliente come una lama di coltello, che pesava ogni sillaba.

Fabrizio De André ha pubblicato in trent’anni tredici album in tutto.
La sua produzione inizia nel 1961 con alcuni singoli, "Nuvole barocche", "La ballata del Miché", e la prima censura due anni dopo per l’ironica "Carlo Martello" scritta con Paolo Villaggio.

1966
- TUTTO FABRIZIO DE ANDRÉ - La prima pubblicazione è un’antologia che
riunisce cinque anni di straordinarie canzoni, da "La guerra di Piero"
a "La canzone di Marinella".

1967
- VOLUME I - Il primo album effettivo aggiunge al repertorio "Bocca di rosa", "Via del campo" e i primi brani che guardano con occhio particolare alla religione.

1968
- TUTTI MORIMMO A STENTO -Ispirato alla poetica di François Villon è un album "concept" che parla degli ultimi, drogati, impiccati, fantaccini. Da qui escono "La ballata dei drogati", "Girotondo" e "Leggenda di Natale" ispiurata a Brassens.

1968
- VOLUME III - Riprende alcune canzoni del primo periodo aggiungendo quattro inediti fra cui "Il gorilla" da Brassens.

1970
- LA BUONA NOVELLA -In piena contestazione Faber pubblica un album concept interamente dedicato a Gesù, «il più grande rivoluzionario della
storia», e ispirato dai Vangeli apocrifi, con la famosa "Il testamento di Tito". A suonarlo è la futura Pfm con l’aggiunta di Branduardi

1971
- NON AL DENARO, NON ALL'AMORE NÉ AL CIELO - Un nuovo capolavoro, nove
canzoni ispirate all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, nove personaggi esempi di diversa umanità, da "Un giudice" a "Il suonatore Jones".

1973
- STORIA DI UN IMPIEGATO - Ancora un concept album che si confronta con
il Maggio francese e il terrorismo attraverso la vicenda di un impiegato e la sua lotta violenta contro il sistema.

1974
- CANZONI - Un omaggio a Dylan, Cohen e Brassens e altre canzoni già note

1975
- VOLUME VIII - Realizzato in Gallura con Francesco De Gregori contiene
alcune grandi canzoni personali, come "La cattiva strada" e "Amico fragile".

1978
- RIMINI - La collaborazione con il giovane cantautore veronese Massimo Bubola porta una ventata di folk rock e un forte rinnovamento nelle forme musicali. Tra i temi, aborto, omosessualità, contestazione, emarginazione, guerra, si aggiunge l’immigrazione tradicendo Dylan (Avventura a Durango) e l’uso della lingua sarda (Zirichiltaggia).

1981 - FABRIZIO DE ANDRÉ - Solo un indiano in copertina per un grande disco che crea un parallelo fra gli indiani d’America, i popoli invasi e i pastori sardi, dopo il rapimento subito cantato in "Hotel Supramonte" e dopo l’esperienza appena precedente con la Pfm che riarrangiò per gruppo rock le sue canzoni.

1984
- CRÊUZA DE MÄ - Con Mauro Pagani nasce l’album in genovese che guarda
alla musica e alla cultura mediterranea e apre un nuovo capitolo nella
storia di De André e della canzone italiana.

1990
- LE NUVOLE - In italiano nella prima parte, in sardo, napoletano e genovese nella seconda trae da Aristofane lo spunto per un confronto fra la borghesia immobile e il popolo ansioso di novità, con una grande invettiva "La domenica delle salme" .

1996
- ANIME SALVE - Realizzato con Ivano Fossati racconta un viaggio nell’anima del mondo parlando di varie solitudini, del transessuale, del rom, dell’innamorato, del pescatore d’acciughe, un "discorso sulla libertà", come lo definì Fabrizio.

Ciao Fabrizio. Non smetterò mai di ascoltare la tua musica. Mai.

Mario Pulimanti
Lido di Ostia –Roma

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