La voce dei lettori
Ed è polemica nel nome dell'olio di oliva. Nella gara a chi la spara più grossa
Campagne pubblicitarie più o meno ingannevoli. Da qui la necessità di una legge che tuteli il made in Italy. Ma la realtà è ben più complessa di quel che appare
09 febbraio 2008 | T N
Ho letto il vostro articolo relativo all'olio di oliva su chi la spara più grossa (link esterno).
Sinceramente mi sembra che quelli che la sparate più grossa siete voi. Posso anche essere d'accordo che l'obbligo di mettere in etichetta l'origine delle olive non sia la soluzione di tutti i mali.
I problemi di una filiera come quella dell'olio che fatica sempre maledettamente a far riconoscere ai consumatori i prodotti di qualità sono dovuti al fatto che i grandi imbottigliatori hanno tutto l'interesse di mantenere l'olio il più indifferenziato possibile in modo da potersi rifornire di volta in volta sui mercati per loro più convenienti, a scapito della qualità , della tipicità ,e della territorialità del prodotto.
Tutte queste qualità , a cui il consumatore è molto sensibile, vengono poi aggirate con campagne pubblicitarie più o meno ingannevoli in cui si fa credere che l' olio contenuto in una certa bottiglia è toscano o piuttosto ligure, per fare due esempi, solo perchè la ditta che lo imbottiglia ha la sede a Firenze oppure a Genova.
E' quindi ovvio che la legge appena entrata in vigore non può che complicare la vita a tali strutture.
La legge sull'etichettatura dovrebbe essere difesa a spada tratta da tutti se non altro perchè introduce criteri di trasparenza e il fatto che vi schierate contro con così tanto zelo fa nascere dei dubbi su quali interessi rappresentate.
Il fatto che dovrebbe essere fatta maggiore informazione, aumentata la cultura dell'olio etc. e una cosa ovvia, e comunque non alternativa ma semmai sinergica a obblighi maggiori di trasparenza sulla provenienza di tutti i prodotti agroalimentari compreso l'olio.
Concludo dicendo che avrei preferito che l'articolo che avete pubblicato fosse firmato con un nome e un cognome come fate con tutti gli altri, il fatto che non lo avete fatto fa nascere il dubbio che voi stessi provate una sorta di pudore a controfirmare i contenuti del pezzo.
Saluti
Andrea Landini
Oh, molto bene! Si inizia a discutere, finalmente. Si inizia a prendere posizione, a non restare immobili e muti. La sua lettera ci fa molto piacere, e la ringraziamo per questo. Sperando tuttavia che la sua testimonianza non resti un'eccezione.
Ora, però, a noi. Per fare un po' di chiarezza, e soprattutto per evitare equivoci.
E' proprio vero, ogni qualvolta si esprime una posizione diversa, può non far piacere. Ne prendiamo atto: al momento della fondazione di "Teatro Naturale", il nostro compito è stato sempre quello di esprimere pensieri liberi, sganciati da appartenenze.
Infatti, il non conformarsi al pensiero dominante, o comunque il non essere in linea con posizioni preventivamente ritenute da alcuni "giuste", può non far piacere.
Nel caso specifico (link esterno), abbiamo puntato le nostre critiche su due organizzazioni: Coldiretti e Codacons. Ma le nostre critiche non si fermano davanti a chiunque, perché se delle osservazioni vanno fatte, non vediamo alcun motivo per autocensurarsi. Per questo, caro Landini, il ricorrere alla facile e scontata accusa di essere servi di qualcuno non le fa onore.
"Teatro Naturale" - lo abbiamo sempre ribadito - è una testata giornalistica libera. E libera significa soprattutto che si autosostenta: ovvero, che non riceve finanziamenti da nessuno, nemmeno occulti.
Testata libera significa anche non ricevere contributi pubblici, di quelli - per intederci - che vengono elargiti perfino a testate inesistenti, o quasi, tranne le amicizie particolari che aprono tutte le porte dei finanziamenti, leciti e illeciti. Di questo, ci creda, siamo fortemente orgogliosi.
"Teatro Naturale" si sostiene con le sole proprie forze, esclusivamente mediante gli introiti pubblicitari, quindi il tutto avviene alla luce del sole. Lei sarà piuttosrto distratto, visto che lo ribadiamo ad ogni occasione; ma, evidentemente, la mentalità corrente è che dietro a qualcosa che funzioni vi sia sempre l'ombra di qualcuno.
La cosa che più lascia perplessi, è che vi sia al solito l'incapacità (o, se preferisce, la non volontà ; o, diversamente, la pigrizia intellettuale, a volte) a confrontarsi sui contenuti. E' più facile infatti dividersi tra guelfi e ghibellini, per cui vale la seguente affermazione: "chi la pensa diversamente da me, è dall'altra parte della barricata".
Ah, poveri noi! Ancora fermi su queste posizioni legate a un'appartenenza.
Ma, è mai possibile che non si pensi a un approccio alternativo ai soliti schemi? Siamo ancora così indietro? O si sta da una parte o si sta dall'altra?
E' terribile, questo ingessamento del pensiero!
Scendiamo ora nello specifico, fatte le opportune e doverose premesse.
L'articolo in questione è stato firmato convenzionalmente TN, perchè condiviso dall'intera redazione di "Teatro Naturale". Questa è la prassi. Vederci qualche altro intento, dimostra uno spropositato eccesso di fantasia, che non trova giustificazioni. In ogni caso, sappia che dietro a TN la responsabilità è sempre del direttore e del coordinatore editoriale, i cui nomi sono riportati nella gerenza in fondo alla prima pagina.
Quanto poi alla normativa di cui si discute, dobbiamo effettivamente riconoscere che sul tema sussita purtroppo una notevole confusione, proprio come dimostra apertamente la sua lettera.
Infatti, il nuovo decreto non permetterà la riconoscibilità dell'olio su base territoriale (comunale, provinciale, regionale...) ma soltanto, eventualmente, su scala nazionale.
Le indicazioni contemplate dal decreto De Castro, d'altra parte, fanno riferimento solo ed esclusivamente allo Stato di provenienza delle olive e/o dell'olio. Quindi, il consumatore, davanti allo scaffale del supermercato, si troverà a scegliere tra extra vergini generici (in cui dovrà essere indicata la provenienza della materia prima in ordine decrescente - ad esempio da olive prodotte in Spagna, Tunisia, Grecia e Italia), extra vergini certificati (Dop, Igp, biologico) e extra vergini "artigianali" (identificabili, di solito, sulla base della formula "prodotto e imbottigliato da" o "imbottigliato all'origine da").
L'unica differenza, rispetto al recente passato, è che diverrà a tutti evidente che molti imbottigliatori si riforniscano attingendo dai mercati esteri.
Ma è forse una novità ? Assolutamente no, visto che ormai la maggioranza dei consumatori lo sa, dal momento che lo evidenziano moltissime indagini di mercato, e che, tra l'altro, gran parte dell'olio venduto nella GDO non è di provenienza italiana, come pure lei sa bene che, se vuole un prodotto nazionale, sia sufficiente scegliere un "100% italiano".
Quindi, non nascondiamoci dietro a un dito. Non tiriamo in ballo la "trasparenza" quando invece vogliamo riferirci alla "valorizzazione".
Gli olivicoltori e i frantoiani - lo sappiamo bene - vorrebbero una migliore remunerazione per il loro prodotto.
Richiesta sacrosanta.
Resta da capire se il decreto De Castro sia la strada migliore e la più proficua.
Gli strumenti per valorizzare l'olio nazionale, per non parlare di quelli locali, realmente tipici, esistevano già .
Il vero problema è che oggi non funzionano.
La quota di mercato del "100% italiano" e delle Dop è estremamente limitato, nonostante le notevoli campagne di comunicazione, istituzionale e non, che sono state promosse negli ultimi anni.
Se guardiamo esclusivamente alle quotazioni delle varie tipologie di oli, vediamo che le differenze esistono: il 100% italiano riesce a spuntare circa 1 euro al litro in più di quello generico, per non parlare degli oli Dop e Igp.
Se la differenza prezzo tra le varie fasce di oli è troppo limitata, non se ne può dare certo colpa allo strumento, ma, semmai, alla scarsa efficacia delle campagne promozionali e di marketing, o alla modesta recettività del consumatore nei confronti di alcuni prodotti alimentari ad alto valore aggiunto (in quest'ultimo caso ne andrebbero analizzate le ragioni).
Ancora una riflessione.
Non conosciamo esempi di derrate alimentari che, esclusivamente attraverso l'obbligatorietà dell'origine nazionale in etichetta, siano riuscite a incrementare notevolmente e stabilmente le quotazioni.
Conosciamo invece l'esempio di un settore che, attraverso un sistema di indicazioni facoltative e volontarie dell'origine, è riuscito a ottenere successi a livello nazionale e internazionale.
Ci riferiamo naturalmente al comparto vitivinicolo.
Perchè ci siamo scagliati, dunque, contro il decreto De Castro?
Con tale provvedimento l'Italia ha scelto la via dello scontro frontale con Bruxelles.
La Commissione, attraverso il DG Sanco, aveva già espresso parere negativo sul progetto, ma, nonostante ciò, si è scelto di proseguire, riducendo, anzi azzerando, qualsiasi margine per un accordo "diplomatico", come dimostrato in occasione
della riunione del Comitato oli e grassi del dicembre 2007.
Nel 2004 tentammo la stessa strada con la legge 204, fallendo su tutta la linea.
Errare è umano ma perseverare... - tanto più se la vera ragione di questa ostinazione è puramente politica, ovvero accontentare Coldiretti e Slow Food.
Ricordiamo infatti che De Castro, prima del vistoso cambio di rotta, aveva più volte ribadito l'inutilità di un provvedimento nazionale, mentre si era detto favorevole a impegnarsi per una revisione del Reg. Ce 1019/02.
Cos'era cambiato nel frattempo?
Forse la manifestazione di Bologna contro il Ministro?
Rifletta, caro Landini. Si confronti con la complessità della realtà , prima di giungere a considerazioni affrettate.
Ci siamo scgliati contro il decreto De Castro non per compaiacere qualcuno, ma perchè, nel caso si profilasse la necessità di ritirarlo, come allo stato attuale appare probabile, avremmo in tal modo perso un'altra battaglia, con l'ovvia conseguenza di un'ulteriore calo della nostra autorevolezza e potere a Bruxelles.
In più, non crediamo che l'indicazione dell'origine nazionale in etichetta possa portare seri benefici ai piccoli e medi produttori. La maggior parte dei consumatori, secondo un'indagine Nielsen, compra l'olio sulla base delle offerte speciali, ovvero sulla base del prezzo, e vi è una bassa fidelizzazione del cliente verso la marca o le certificazioni.
Gli strumenti per la valorizzazione dell'olio esistono, purtroppo il comparto oliandolo non è riuscito ancora a farli funzionare; ovvero, non è ancora riuscito a trovare il bandolo della matassa, così da far appasionare il consumatore all'extra vergine.
E' questa la vera sfida che, invece, olivicoltori e frantoiani stentano a comprendere.
Una domanda, infine. Dal punto di vista nutrizionale e salutistico è meglio un "100% italiano" o un mix di diverse provenienze? Per onestà intellettuale è necessario dire che non esiste una risposta univoca, nè è possibile garantire che eventuali ricerche scientifiche in tal senso possano davvero premiare l'Italia.
Speriamo che tali nostre considerazioni possano indurla a riflettere, lasciando da parte sterili e infruttuosi pregiudizi.
Cordiali saluti
TN
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