La voce dei lettori

DOP ITALIA. TROPPI BALZELLI E INCONGRUENZE

Un lettera del produttore olivicolo e frantoiano Franco Cuonzo, da Palombaio, in provincia di Bari

20 dicembre 2003 | T N

Egregio Direttore,
sono Franco Cuonzo, titolare di un'azienda agricola olivicola con annesso frantoio, nonchè piccolo confezionatore e venditore al dettaglio del proprio olio.
L'azienda risiede a Palombaio, frazione collinare della più conosciuta Bitonto.
Inoltre, per soddisfare le richieste del mercato tedesco, come frantoio acquisto olive da pochi produttori fidati che sono diventati miei fornitori.
Ho appena letto l'articolo a firma di Mena Aloia sulle Dop, e poichè quest'anno ho avuto la brillante idea di certificare il mio olio, per non essere da meno degli altri, ho richiesto la certificazione.
L'autrice dell'articolo si chiede come mai la Puglia , nonostante le sue potenzialità, è così scarsa di adesioni. Ed ora ve lo spiego, alla luce delle mie recenti esperienze.
Non so se Lei abbia letto con attenzione il disciplinare della Dop Terra di Bari, con le sue tre sottozone (primo grande errore: peccato di protagonismo da primo attore, che condiziona gravemente la vendita dei tre oli).
Già dalla prima superficiale lettura si evince che colui o coloro che hanno stilato quel disciplinare avevano altri interessi per la mente, non certo quello di favorire i produttori olivicoli, dimostrando oltretutto di non conoscere la realtà in campo del territorio.
Infatti per il riconoscimento, gli oliveti devono avere un sesto d'impianto da 7x7 a 13x13; resa in olive per ettari di 10000 Kg. e resa in olio non superiore al 22%.
I predetti sesti d'impianto (retaggio della 2^ guerra mandiale, quando si seminava nell'interfilare) non esistono più, per cui tutti i comuni dovrebbero essere fuori.
Si è preso perciò come termine la presenza, per unico appezzamento, di n. 204 piante/Ha.
E tutti i rinfittimenti che i Professoroni ci hanno consigliato per aumentare la produzione e l'integrazione che fine fanno? Inoltre lo stesso Ispettorato Agrario della Regione molti anni addietro decretò la fine per la cultivar "Cima di Bitonto" favorendo al suo posto la "Coratina"; ed ora la si fa rivivere inserendo la sottozona Bitonto che può essere ottenuta almeno per l'80% dalla Coratina. Se questa è coerenza!
Molti produttori che ne avevano fatto richiesta, sono stati scartati perchè il loro terreno aveva piante in più o perchè aveva piante di altra coltura, per cui sono tutti inc..avolati neri. Io stesso per questi motivi, quest'anno, ho dovuto rifiutare olive bellissime e sicure da produttori molti seri, alcuni dei quali miei dipendenti; solo per poche piante in più.
Mi chiedo e Le chiedo, che influenza può avere sulla origine dell'olio il numero di piante per ettaro o la consociazione con altre colture? Anzi, che io sappia, il sapore particolare di mandorlato, caratteristico del Cima di Bitonto, derivava proprio dalla consociazione con il mandorlo.
Parlando di Dop si parla anche di qualità. Ma quale qualità? In realtà la Dop è solo una costosa medaglietta atta a prendere in giro il consumatore. Infatti ho scoperto con orrore che la Dop non si preoccupa dei residui velenosi nell'olio, per cui si può fregiare della certificazione un olio con residui di Lebaycid o Supracid o altro.
Morale: 10 piante in più sei OUT, veleno nell'olio sei IN.
Le sembra morale tutto ciò? Si può far credere ai consumatori che questo marchio sia sinonimo di qualità?
Tutto ciò, più i maggiori costi e fastidi burocratici che vanno ad aggravare ulteriormente le passività colturali, la difficoltà a vendere a prezzi superiori, scoraggiano gravemente i produttori per cui i sostenitori della Dop diminuiranno sicuramente.
Io stesso mi auguro che il progetto, così come è stato impostato, fallisca miseramente, perchè ritengo queste strutture utili solo per occupare poltrone ed incarichi a chi vuole fare solo demagogia.
Facciamo che i produttori possano trarre il giusto reddito dai loro oliveti (Sa quanto stanno pagando le olive? Dai 40 ai 50 Euro a quintale), assicuriamo loro una assistenza tecnica efficiente e garantita tutto l'anno, che permetta di produrre un olio buono e sano da vendere al giusto prezzo, senza ulteriori balzelli.
Perchè deve essere il piccolo produttore di paese, che già fatica a vendere al dettaglio la sua scarsa produzione, a doversi caricare di fastidi, di spese per mantenere in piedi carrozzoni inutili per certificare o tracciare ciò che sta vendendo, e non già i grossi industriali e commercianti che ritirano da tutto il mondo e che non si sa cosa mettono in bottiglia?
Mi scusi per lo sfogo.
Nel ringraziarLa per la sua pazienza e per il suo lavoro a favore del buon olio, mi ritenga a sua disposizione e si abbia i miei più distinti saluti nonchè cordiali auguri di Buone Feste.

Franco Cuonzo
17 dicembre, Palombaio, Bari



Gentilissimo signor Cuonzo,
comprendo bene quel che lei ritiene essere semplicemente uno sfogo, ma che tale non è. In realtà è qualcosa di diverso, è il segno di una grande e sofferta amarezza che non conosce soluzioni di svolta. Le buone intenzioni non sono in molti casi sufficienti. Probabilmente, però, la situazione attuale potrebbe cambiare se vi fosse, da parte di tutti gli olivicoltori, un atteggiamento diverso, meno quiescente e più combattivo. Invece, mi rendo conto che molti produttori si lasciano calpestare nei propri diritti, oltre che nelle proprie legittime aspettative, anche per propria scelta e, oltretutto, con un colpevole e incomprensibile silenzio. La grande anomalia sta nel fatto che gli olivicoltori nonostante tutto continuino ad affidarsi a coloro (gli stessi di sempre, inamovibili) che abitualmente li ingannano con vane e talvolta assurde promesse.
Affronteremo nei prossimi numeri di "Teatro Naturale", ampliandole, le questioni che lei ci ha posto.
Luigi Caricato



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