La voce dei lettori

CRISI DI CONSERVE ITALIA

Ci scrive l'agronomo e giornalista Marco Argentiere

13 gennaio 2007 | T N

L’occupazione dello stabilimento di Mesagne (BR) è dovuta ad una possibile chiusura definitiva dell’azienda, è stata sospesa dopo le rassicurazioni giunte dal mondo politico e sindacale. Ma la crisi del comparto agroindustriale pugliese ha radici ben più profonde che potrebbero portare a conseguenze irreversibili

Crisi di Conserve Italia: è solo la punta di un iceberg

Negli scorsi giorni i lavoratori dell’industria conserviera “Conserve Italia” di Mesagne, in provincia di Brindisi, esasperati dalle prospettive di depotenziamento e di una possibile chiusura definitiva dell’azienda, hanno deciso con un atto simbolico e forte di occupare lo stabilimento. Occupazione rientrata dopo alcuni giorni a seguito delle assicurazioni giunte circa la convocazione del tavolo negoziale al Ministero delle Risorse Agricole con la Presidenza del Gruppo Conserve Italia, Organizzazioni sindacali Fai, Flai e Uila, il Governo Nazionale, Regionale e le Istituzioni locali per affrontare i temi legati al rilancio produttivo ed industriale dello stabilimento di Mesagne. Ritenendo dunque superfluo riferire sul carosello dei politici locali che, risvegliatisi di colpo dal loro torpore, si sono affannati per la causa dei lavoratori dello stabilimento (con annessa polemica tra centro sinistra e centro destra locali), rimangono comunque delle più ampie riflessioni. L’ep! isodio dell’occupazione dello stabilimento di Mesagne è indice di un profondo stato di crisi del settore agroindustriale della provincia di Brindisi, ma anche dell’intera Puglia. L’impressione è che sul tema dell’agro-industria si sia consumata in questi anni una grande mistificazione della realtà: da un lato la politica che ha indicato e continua ad indicare il settore come volano di sviluppo per il territorio, dall’altra le aziende agricole ed agroindustriali che, strette dalla morsa di una perdurante crisi di mercato, chiudono i loro conti in negativo. La crisi dello stabilimento di Conserve Italia è solo la punta di un iceberg: sono decine e decine le aziende agricole in crisi e migliaia i posti di lavoro a rischio. Negli ultimi anni la coltivazione del pomodoro da industria, ma in generale anche di molte altre colture orticole – eccezion fatta per il carciofo, si è fortemente ridimensionata e la diretta ripercussione si è avuta nelle centinaia di braccianti rimasti a ca! sa. Le aziende agricole soffrono su più fronti: hanno bisogno che le campagne siano più sicure e presidiate, ed invece ogni giorno subiscono furti (di prodotti in campo, ma anche di costose attrezzature). Hanno bisogno che i loro prodotti trovino una giusta collocazione sul mercato, ed invece subiscono la concorrenza di produzioni extracomunitarie (come ad esempio i carciofi egiziani…). Hanno bisogno che siano effettuati maggiori controlli che garantiscano il lavoro delle “aziende oneste”, ed invece si trovano a subire la concorrenza di coloro che, impuniti, non rispettano le norme. Hanno bisogno di ricevere gli aiuti comunitari, ed invece la lentezza della macchina amministrativa regionale, attanagliata dalla perdurante mancanza di personale, fa si che, a distanza di anni dalle richieste di premio, tali aiuti non siano ancora stati erogati. Hanno bisogno di credito, anche per coprire la parte non finanziata degli investimenti del Por, ma molto spesso viene negato dalle banc! he, che vedono l’agricoltore come un cliente “scomodo”. I politici si rendono conto di tutto cìò? Si rendono conto che il comparto agricolo ed agroindustriale svolgono una funzione sociale fornendo un reddito a migliaia di famiglie? Oppure, immersi nel loro torpore, continueranno a ripetere la filastrocca del “volano di sviluppo” mentre, inesorabilmente, lo stato di crisi del comparto primario diventerà irreversibile?

Marco Argentiere
Agronomo e Giornalista

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