La voce dei lettori

IL DIBATTITO SULL'UTILIZZAZIONE DEI TRUCIOLI IN ENOLOGIA

Ci scrive Giuliano Terzi: "La pedissequa accettazione dell’omologazione del vino lasciato invecchiare in botte oppure barricato con quello ‘passato sui trucioli’ equivarrebbe a far cadere una peculiarità caratterizzante della nostra vitivinicoltura a tutto vantaggio meramente di un palese artificio!"

08 luglio 2006 | T N

Egregio Direttore

In questi ultimi tempi tiene banco nel comparto vinicolo, a mio avviso giustamente, il dibattito sull’utilizzazione dei trucioli nella pratica enologica. Da un lato sono scesi in campo esponenti - anche autorevoli - del mondo enologico che sostengono l’opportunità di applicare tale pratica, dall’altro ci sono i produttori vitivinicoli che ritengono, al pari del sottoscritto, che non si possa né si debba paragonare la pratica dell’invecchiamento in botte o in barrique con l’utilizzo dei trucioli per simulare un vino invecchiato.

A fianco del mondo produttivo agricolo si sono già schierati Confagricoltura, Legambiente e, recentemente, anche trenta Senatori di entrambi gli schieramenti politici. E’ da sottolineare inoltre che, nella proposta in esame in sede europea, viene indicato che i singoli Stati membri potranno porre limiti a questa tecnica enologica ed è, quindi, auspicabile che la grande competenza del nuovo Ministro Paolo De Castro faccia in modo che le produzioni vitivinicole italiane di qualità vengano tutelate da questa nuova minaccia. Se, infatti, si permettesse un uso generico dei trucioli per creare un vino fintamente invecchiato, cioè senza alcuna indicazione in etichetta, cosa ne deriverebbe alle nostre DOCG, DOC ed IGT?

La pedissequa accettazione dell’omologazione del vino lasciato invecchiare in botte oppure barricato con quello ‘passato sui trucioli’ equivarrebbe a far cadere una peculiarità caratterizzante della nostra vitivinicoltura a tutto vantaggio meramente di un palese artificio!

Se in altre aree vitivinicole del mondo tale tecnica viene comunemente utilizzata, occorre considerare che in queste la tradizione enologica è assai recente e non vecchia di millenni come lo è da noi, né ci sono i solidi legami fra territorio di produzione e vitigni che caratterizzano le nostre zone di produzione, così stupendamente differenziate fra loro sia nell’ampelografia che nella pedologia. D’altro canto, non si deve scordare che quella italiana è una viticoltura di pregio e - proprio in base a queste sue intrinseche caratteristiche - sta raccogliendo consensi sempre maggiori sia a livello nazionale che nel mondo intero.

E’ quindi evidente affermare che se l’artificio enologico della truciolatura (mi si acconsenta di usare questo termine) fosse approvato in sede europea e nazionale senza alcuna limitazione, al mondo vitivinicolo italiano di qualità ed anche ai consumatori nonchè agli estimatori internazionali del nostro vino si causerebbe senza dubbio un gravissimo danno. Lo stesso, palesemente, non è giustificato neanche dalla pur legittima richiesta di liberalizzazione dei mercati, trattandosi di produzioni tipiche non riproducibili altrove. A meno che, con la scusa dell’internazionalizzazione dei mercati, si voglia sostenere che un Barolo piemontese è un vino pro-veniente dal Sud America.


Giuliano Terzi
Azienda Agricola Conti Terzi

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