La voce dei lettori

CHI NON CREDE ALLE BIOENERGIE?

Apparentemente tutti sono d’accordo sulla necessità di incrementare la produzione di bioenergie. Ma allora perché in Italia questa produzione non aumenta? Riflettendoci bene, risulta abbastanza evidente che a non crederci realmente sono in molti

22 aprile 2006 | T N

L’articolo di Alberto Grimelli sul n. 13 del 10 aprile 2006 di Teatro Naturale sulle bioenergie, merita alcune riflessioni sull’argomento.
Apparentemente tutti sono d’accordo nella necessità di incrementare la produzione di bioenergie, con particolare riguardo, in riferimento all’articolo, all’etanolo e al biodiesel.
Ma allora perché in Italia questa produzione non aumenta? Riflettendoci bene, risulta abbastanza evidente che a non crederci realmente sono in molti.
In primo luogo il settore politico, come è ampiamente dimostrato dal fatto che l’Italia ha ridotto la quota di biodiesel “esentasse” da 300 a 200.000 tonnellate (se non sbaglio la Francia ha una quota intorno al milione di tonnellate).
Se facciamo poi riferimento alla norma, promulgata l’11 marzo, che obbliga l’incorporazione di biocarburanti in quelli di origine fossile, non mi risulta che sia obbligatorio utilizzare prodotti di origine nazionale, per cui è ovvio che le industrie petrolifere acquisteranno dove è più conveniente (ad esempio l’etanolo in Brasile). Sono quindi fuori luogo i toni trionfalistici con cui alcune organizzazioni professionali agricole hanno accolto questa norma.
Sempre in riferimento al biodiesel, nella stampa specializzata è stata presentata con orgoglio la sigla di un accordo interprofessionale fra le organizzazioni professionali agricole e le industrie interessate dove è stato fissato il prezzo del girasole “alto oleico” a 163 e a 180 euro per tonnellata, rispettivamente per le zone gravate da set-aside e per le altre zone. Si tratta, purtroppo, di prezzi, soprattutto il primo, che, in considerazione delle rese medie ipotizzabili (tra 2 e 2,5 t/ha) certamente non rendono questa coltura appetibile dal punto di vista economico. Se poi aggiungiamo il fatto che il girasole per destinazioni alimentari ha normalmente un prezzo più elevato, non vedo come sia possibile pretendere che gli agricoltori siano così autolesionistici da scegliere per lo stesso prodotto la destinazione meno conveniente.
Quanto detto evidenzia che c’è la possibilità di individuare responsabilità di questo stato di cose anche in altre parti della “filiera”.
In definitiva, è indispensabile ricondurre i ragionamenti in termini prettamente economici.
L’agricoltura può certamente contribuire in modo sostanzioso a questo settore, ma lo farà solo se le colture necessarie saranno in grado di dare un reddito accettabile.
A me sembra, invece, che purtroppo oggi gira la strana convinzione che le bioenergie di produzione nazionale debbano costare di meno di quelle di origine fossile o di provenienza estera. Io sono convinto che se questa idea si radica più di quanto lo è già attualmente, non ci sarà nessuna possibilità che questo settore riesca a decollare, in quanto i nostri costi di produzione, che possono essere solo in parte ridotti con l’applicazione di tecniche moderne, sono molto elevati, per cui è indispensabile che la società si faccia carico di una parte di essi, certamente con forme da definire meglio.
In caso contrario, continueremo a scambiarci delle belle parole, che però non serviranno a nulla.

Rodolfo Santilocchi
Dipartimento di Scienze ambientali e delle Produzioni vegetali – Università Politecnica delle Marche

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