La voce dei lettori 21/04/2017

Nella Macchia salentina, dove l'olivo cresce e muoiono le speranze degli uomini

Nella Macchia salentina, dove l'olivo cresce e muoiono le speranze degli uomini

Perché svendere i nostri oli ai toscani che hanno solo il 2% della produzione nazionale? Macchiaioli svegliamoci. E' l'appello di Joe Cuscela che vede con preoccupazione Xylella fastidiosa bussare alle porte della Valle d'Itria


Spett. redazione,

situata tra il tacco e l'ultima fibbia dello stivale pugliese, sperduta tra le sue pietre, vi è la Macchia, così come la "Steppa" di Cechov, luogo dell'anima e di spiriti vaganti arsi dal sole e dai venti di scirocco. Per chilometri e chilometri tra parte delle province di Taranto e di Brindisi fino alle porte di Lecce, da Ostuni a Manduria passando da Francavilla Fontana, da Grottaglie a Lizzano passando da Carosino scorrono solo terre brulle, ma feconde, macchie mediterranee e soprattutto olivi. Maestosi e secolari. E chi vi scrive, uomo che vive e che è, è innamorato della sua terra incantevole e deturpata da mille violenze e di una ragazza che si diverte a rispondere forse. Né si né no.

Il destino ha voluto che uno dei focolai di Xylella più noti alla stampa scoppiasse a Oria, capitale del posto con la sua storia e il santuario di San Cosimo alle macchie, e che proprio lì venissero abbattuti i primi alberi in quest'Italia e in quest'olivicoltura già morte e che attendono di essere sepolte. Un quintale di olive scopate da terra e venduto per venti euro al quintale è il metro economico e culturale di un territorio dimenticato da tutti e abbandonato a se stesso. Eppure la Macchia, al pari del resto delle Puglie, dovrebbe essere per l'olio ciò che la regione Champagne è per il mondo del vino. Qui qualcosa non va già dai tempi del dopoguerra quando i contadini locali si sono venduti al siderurgico di Taranto e al petrolchimico di Brindisi, quando i politicanti hanno piazzato discariche qua là, quando è arrivato l'assistenzialismo della PAC, la famosa integrazione con i suoi settecento euro per ogni ettaro di oliveto per difendere quella che è definita dall'UE coltura svantaggiata e che si è conclusa con l'abbandono degli alberi (ipse dixit: tanto i soldi arrivano lo stesso)…e così via via all'infinito. Ed intanto mentre la Xylella cammina imperterrita e mostruosa verso nord, bussando alle porte della valle d'Itria, ci si inizia a guardare in quegli occhi che sanno sempre meno di sudori e fatiche nei campi e sempre più di chimiche varie e dubbie e si comincia a chiedere aiuto, a chiedere come fare e nel frattempo un albero avuto dai nonni dei nostri nonni è già venuto meno. Ah povere istituzioni che hanno nulla da proporre! ah povera ricerca che in cinquant'anni ci ha portato solo varietà d'ulivi alloctoni da piantare tra le nostre celline e ogliarole! ah poveri uomini che ancora credono!

Perché non piantare olivi in tutte quelle aree verdi urbani relegate alle infestanti o ai velenosi oleandri per poi cederle in gestione ad aziende agricole? Perché non promuovere la raccolta precoce delle olive dall'albero, sinonimo di alta qualità, a discapito del raccattare da terra, a sua volta sinonimo di bassissima qualità, e purtroppo ora come ora di minimo sforzo massimo rendimento? Perché svendere i nostri oli ai toscani che hanno solo il 2% della produzione nazionale? Macchiaioli svegliamoci.

Ed infine ripeto: questa è solo la lettera di un macchiaiolo innamorato e se non sono parole da Mille e una notte lo sono direttamente dal cuore della Macchia che all'ombra dei suoi olivi vive e vuole continuare a vivere.

Joe Cuscela

di T N

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