La voce dei lettori
Solo il DNA può salvare l'olivicoltura italiana
Il settore è morente, secondo Giuseppe Gagliolo, e cerchiamo di difenderlo scagliandoci contro il CNR? "Abbiamo idea quanto il DNA sull'olio, il DNA sulle olive, sarà legge il caos che succederà in Italia e nel mondo?" Il mondo dell'olio italiano alla costante ricerca della pietra filosofale
03 marzo 2017 | T N
Egregio Direttore,
come al solito vi leggo con molto piacere, molte volte mi trattengo dallo scrivere, molte volte come nel caso della Taggiasca e come in questo caso non riesco proprio a fermare le dita.
Ho letto due articoli in particolare nello scorso numero, molto interessanti, se vogliamo uniti da un elemento in comune. L'articolo del falso olio italiano Arbequino (ndr operazione Arbequino) riferito alla Procura di Siena (per non fare nomi) e quello riferito al programma di Rai Tre sul DNA.
E mi chiedo... ma ci stupiamo ancora!
Facciamo tutti finta di cadere dalle nuvole?
Tentiamo annspando di difendere un settore malato addirittura scagliandoci contro il CNR?
Abbiamo idea quanto il DNA sull'olio, il DNA sulle olive, sarà legge il caos che succederà in Italia e nel mondo?
A me sembra che ancora nessuno creda che finalmente arriverà un metodo scientifico che dirà se lavoriamo seriamente o se siamo dei fanfaroni, senza tanti panel test soggettivi o "addomesticati".
A me pare che una cosa così limpida, chiara e pulita possa fare bene al comparto oleario italiano, penso che sia un toccasana per far sì che i milioni di litri dichiarati dall'Italia siano reali e non passino attraverso la "tipografia"!
Egregio Direttore, spero molto per il comparto oleicolo italiano, per la cultivar della mia terra, la Taggiasca, che tutto questo diventi realtà quanto prima perchè è l'unico modo per frenare lo strapotere spagnolo (e non solo), riqcquistare la credibilità che molti di noi del settore meritano e iniziare a farlo l'olio in Italia e non a comperarlo già fatto.
In attesa di future, certe, attese sorprese sull'argomento porgo distinti saluti
Giuseppe Gagliolo
Gentile Sig. Gagliolo,
prima di tutto non freni mai le sue dita. Ogni contributo è utile e necessario ad alimentare un dibattito per far crescere il settore.
Personalmente, l'ho già detto molte volte, non credo alla "pietra filosofale" dell'olio, ovvero a un metodo che smascheri e cancelli tutte le frodi. Ci siamo già passati, qualche anno fa, con gli alchil esteri (poi etil esteri). Sembrava che questo nuovo parametro potesse metter fine agli oli deodorati, così non è stato, anche se ha ridotto significativamente, chi dice il 40, chi il 60%, il fenomeno.
Ogni metodo analitico è un ulteriore tassello sulla strada della trasparenza e della pulizia del settore. Non credo a passi risolutivi, neanche nel caso del DNA, pur credendo che questo metodo possa essere molto utile al fine della tracciabilità, non solo documentale, dell'origine.
Non lo credo perchè ormai vi sono almeno una ventina di varietà di olivo internazionali (Arbquina, Arbosana, Koroneiki, Frantoio, Leccino, Coratina, Barnea, Mission... solo per citarne alcune) diffuse ai quattro angoli del globo. Impossibile, con il solo metodo del DNA stabilire se un olio di Frantoio venga dall'Italia o dl Cile, per esempio.
Vi è poi il problema delle contaminazioni, in fase di stoccaggio, trasporto e confezionamento, da tenere presente. In tutti i prodotti, compreso il bio o gli OGM free, vi sono le soglie di tolleranza che tengono conto delle contaminazioni accidentali.
Non basta trovare Chemlali tunisina o Memelick turca per affermare con certezza che l'olio non è italiano. Grazie al registro Sian, però, è possibile andare a ritroso in tutte le fasi della filiera, fino all'oliveto/oliveti che hanno prodotto quell'olio, scoprendo così se vi è stata la possibilità di contaminazioni o meno.
L'esito dell'esame del DNA, quindi, non è risolutivo ma è un indizio per approfondire le indagini.
Creare troppe aspettative sul metodo del DNA, come fu per gli alchil esteri, è quindi deleterio. E' un ulteriore, importante, tassello. Non demonizziamolo e non enfatizziamolo. Mettiamolo nella sua giusta prospettiva se vogliamo sia veramente utile al comparto.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli
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Samanta Zelasco
08 giugno 2017 ore 06:36Sono d'accordo con il dott. Grimelli. La tecnica di tracciabilita' molecolare dell'olio non determina la provenienza geografica . Ha grandi potenzialità a sostegno della certificazione del prodotto e della sua tracciabilita'. Le metodiche ad oggi pubblicate sono in buona parte qualitative e questo è ancora un limite. Metodologie di tipo quantitativo sono meno studiate ma ci sono e occorrerebbe approfondire gli studi a mio avviso.