La voce dei lettori
Trovati i colpevoli della morte del settore oleario, pensiamo alla soluzione
Se è vero che il Made in Italy è fatto soprattutto dalle piccole e medie imprese, dobbiamo garantire a queste na continuità. Il segreto, secondo Sergio Cimino, è coniugare la storia, l’esperienza, la tradizione dei senior, con l’entusiasmo, la voglia di emergere e la cultura innovativa dei junior
17 ottobre 2014 | T N
Caro Direttore,
ho letto con grande interesse l’articolo puntuale e documentato del Dr. Sodano che pone l’attenzione su temi cruciali per la sopravvivenza e lo sviluppo del nostro made in Italy nel comparto agroalimentare, arrivando, con efficace provocazione, a scovare gli assassini del comparto olivicolo - oleario italiano.
Mi occupo di imprese di famiglia e non appartengo alla categoria dei giornalisti, dei poliziotti o dei magistrati. Così, non possedendo il talento critico dei primi, l’esperienza investigativa dei secondi, la competenza inquisitoria dei terzi, non riesco a trovare colpevoli e devo accontentarmi di individuare soluzioni credibili e applicabili.
Da alcuni anni, magnati russi, texani, coreani, brasiliani, indonesiani, cinesi acquistano nostre aziende eccellenti del settore agroalimentare, con operazioni meno strutturate e pianificate, di quelle, fino a pochi decenni fa, riservate prevalentemente a multinazionali della levatura di Unilever o Nestlè. A mio avviso i fenomeni sono solo parzialmente assimilabili. Il comune denominatore è costituito dal passaggio di aziende italiane in mani straniere. Ma è profondamente diverso il modo di concepire il business, di organizzare il modello industriale, di sostenere il brand, di valorizzare il personale.
Oggi, nel solo comparto vitivinicolo e nella sola Toscana, più di dieci cantine sono passate allo straniero. Più di cinquanta in Italia. Nobili casati, tradizioni secolari, qualità eccellenti, ma piccole realtà. Non stiamo parlando di Buitoni, Gancia o Carapelli, ma di imprese familiari nelle quali il marketing strategico, gli acquisti, la produzione, la distribuzione e tutte le altre principali funzioni chiave sono presidiate direttamente da familiari esperti, quegli stessi che passano la mano.
E’ chiara la differenza? Non c’è un middle management esperto che, come i capitani di ventura di una volta, può mettere le proprie insegne al servizio del nuovo Signore, garantendogli nuove e più prestigiose vittorie. Nel caso della piccola impresa l’abbandono, talvolta l’esilio del vecchio Signore e della sua famiglia significa la rinuncia a competenze ed esperienze che si sono rivelate fondamentali, anche nel caso in cui non si sono dimostrate all’altezza delle sfide imposte dal cambiamento. L’uscita di scena della famiglia comporta, spesso, la perdita della storia e della memoria, della passione e dell’anima, della capacità di intraprendere, sperimentare, innovare, produrre sempre eccellenza e qualità.
Voglio sottolineare con grande enfasi un concetto che è sicuramente chiaro a tutti : la qualità dell’olio e del vino del nostro Paese non è merito esclusivo dei manager, che gestiscono le poche decine di medio-grandi aziende appartenenti ai rispettivi comparti. Ma anche e soprattutto delle migliaia e migliaia di piccole imprese, dei loro proprietari, dei loro consulenti e del loro personale il cui obiettivo prioritario è l’eccellenza del proprio prodotto.
Dunque, la qualità complessiva dei prodotti - giustamente classificati nella pole position del made in Italy - scaturisce dalla combinazione spesso disomogenea e disarticolata di una congerie di esperienze, competenze e storie di impegno, passione ed eccellenza. Proprio quelle che esprimono le migliaia di piccole imprese che rappresentano questi importanti comparti.
E, allora, la soluzione e, al tempo stesso la sfida, per sottrarsi all’abbraccio mortale degli assassini, individuati dall’amico Sodano, è quella della continuità. Dobbiamo porre in essere ogni misura, ogni progetto, ogni azione per garantire continuità e sviluppo alle nostre piccole imprese dell’olio e del vino, artefici della nostra eccellenza.
Sappiamo tutti che queste imprese, oggi più che mai, devono, contestualmente: raggiungere i principali mercati del mondo, competere con concorrenti internazionali, confrontarsi con canali dominati dalla grande distribuzione, subire la contrazione dei consumi. Sappiamo tutti che le piccole dimensioni non consentono loro di applicare quelle economie di scala che riducono i costi industriali e commerciali delle grandi aziende. Come sappiamo tutti che, talvolta, è forte la tentazione di mollare, di passare la mano, di farsi acquistare da un concorrente più grosso, italiano o straniero che sia. E la crisi degli ultimi anni, di sicuro non aiuta ad avere più coraggio.
Dobbiamo coniugare la tradizione e la storia dell’impresa con modalità innovative di gestire il business agendo su tutti i tasti di una consolle che la globalizzazione dei mercati e l’evoluzione tecnologica hanno reso più ampia e performante. Si pensi alle potenzialità che i social network e la rete web mettono a disposizione della piccola impresa, si pensi alle azioni di co-marketing con altre imprese alimentari, alle infinite possibilità di mettere in comune tecnologia, logistica, acquisti, ricerca con altre imprese del comparto, a strategie di alleanza, consorzio, rete. Sono solo alcuni esempi di una nuova 'tastiera' che i giovani imprenditori sono in grado di azionare più velocemente ed efficacemente dei loro papà. Proprio come avviene con la playstation!
Dunque, la soluzione c’è ed è quella della continuità, a patto di coniugare la storia, l’esperienza, la tradizione dei senior, con l’entusiasmo, la voglia di emergere e la cultura innovativa dei junior, attingendo a piene mani alle nuove opportunità di un mercato che sa essere selettivo e generoso al tempo stesso.
C’è solo un problema: non possiamo perdere altro tempo a recriminare, dobbiamo rimboccarci le maniche e affrontare consapevolmente la sfida, sicuri di vincere. “Ogni cosa è pronta, se i nostri cuori lo sono” fa pronunciare Shakespeare a Enrico V quando parla con i propri soldati, la notte prima della battaglia di Agincourt nella quale dovranno combattere contro un nemico notevolmente più numeroso e forte.
E il giorno dopo, il piccolo esercito inglese sconfigge la poderosa armata francese.
Sergio Cimino
Partner RCE Consulting - Family Business
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