La voce dei lettori 30/03/2013

Solo legittima difesa nella sanguinosa guerra del mondo olivicolo-oleario italiano?

Solo legittima difesa nella sanguinosa guerra del mondo olivicolo-oleario italiano?

L'industria olearia lamenta troppi handicap. A rischio le posizioni di leadership sui mercati internazionali. Claudio Ranzani lamenta: “in atto da quasi vent’anni una continua aggressione ai nostri marchi”. Ma se è guerra, ribatte Alberto Grimelli, ognuno “vanta un diritto morale a colpire l'avversario, anche sotto la cintola”


Caro Grimelli,

ho letto con interesse il Suo intervento sulla questione delle TPA; vi ho trovato alcune imprecisioni, qualche affermazione che non condivido e la chiara conclusione da parte Sua che l’obiettivo della legge Mongiello fosse quello di bloccare tutto.

Non entro tuttavia nel merito, per evitare ulteriori polemiche.

Le chiedo però uno spazio per aggiungere alcune considerazioni.

Le nostre imprese operano sul mercato mondiale, anzi i nostri marchi sono leader di questo ampio mercato.

Ebbene, TUTTI i nostri concorrenti sono liberi di approvvigionarsi di tutti gli oli vergini disponibili al mondo: i concorrenti non comunitari, perché operano direttamente sul mercato mondiale e gli Spagnoli e gli altri operatori comunitari, perché ottengono le autorizzazioni di TPA in maniera automatica e con estrema rapidità.

Anche quando producono 1.600.000 tonnellate d’olio, come lo scorso anno, e non sanno più dove metterlo.

Per quanto tempo sarebbe possibile mantenere le nostre posizioni sul mercato mondiale se non potessimo competere senza troppi handicap?

Seconda considerazione: lei parla di “colpi bassi”, “agguati” ed “escamotage” come se fossero su uno stesso piano.

A me pare che sia in atto da quasi vent’anni una continua aggressione ai nostri marchi, non solo attraverso le pressioni per bloccare le TPA, ma anche con innumerevoli revisioni normative e con azioni di continuo disturbo dell’attività che causano aumenti dei costi, quando non addirittura con azioni diffamatorie nei confronti dell’industria e del commercio.

In questa situazione io non parlerei di “escamotage” delle nostre imprese, quanto piuttosto di legittima difesa.

Infine Lei propone di accantonare tutto ciò e di aprire un confronto allo scopo di concordare un codice etico della filiera, che tenga conto di tutte le esigenze.

Ebbene, da tempo abbiamo dato la nostra piena disponibilità a farlo.

La ringrazio per lo spazio.

Cordiali saluti.

 

Claudio Ranzani

Direttore generale Assitol

 

Gentilissimo direttore Ranzani,

prima di passare la parola a Grimelli, che ha sollevato la questione, ho piacere di riconoscere pubblicamente il valore e il peso delle sue considerazioni, come sempre sagge ed equilibrate. Sono certo siano comprensibili anche da coloro che pur trovandosi a operare nel settore olio di oliva, ignorano di fatto il significato e il senso stesso della sigla TPA, acronimo di traffico di perfezionamento attivo, con tutto ciò che comporta.

C’è da registrare, purtroppo, come nel corso degli ultimi anni vi sia stata troppa confusione e tanta voglia di agitare le acque, pur di nascondere agli occhi dei produttori le reali responsabilità, individuali e collettive, in relazione alla grave perdita di valore dell’olio extra vergine di oliva. Un errore grave che si ripercuote sull’intero settore, già in forte sofferenza da lungo tempo.

Per uscire da una situazione così effervescente, e senza sbocchi utili per il futuro del comparto, mi sembra sia giunta l’ora di fare chiarezza e di costruire finalmente una via del dialogo, seppure difficilissima, se non quasi impossibile, al pari di quanto sta accadendo per altri versi sul fronte istituzionale in Italia.

Anni fa tentai, per il tramite di Teatro Naturale, la via del dialogo attraverso la proposta del cosiddetto “Risorgimento dell’olio italiano”, tentativo andato fallito per responsabilità da addebitare espressamente a Unaprol e Aifo, che non firmarono il documento programmatico. Non so se una via del dialogo sia oggi ancora praticabile, visto che non esiste più nemmeno un tentativo di confronto tra i vari attori di filiera.

Debbo riconoscere in ogni caso che se gli olivicoltori e i frantoiani avessero altri rappresentanti, più qualificati degli attuali, facenti capo ad associazioni tutte riconducibili a un pensiero unico – tranne alcune felici eccezioni – ci sarebbe senz’altro un’Italia diversa, più coesa e collaborativa. Debbo inoltre riconoscere che, rispetto al passato, si stia oggi paurosamente abbassando sempre più il livello, soprattutto sul piano culturale. Ritengo pertanto che le agitazioni in corso d’opera siano soprattutto il frutto di una povertà culturale senza precedenti, prima ancora che una tensione reale tra i vari attori della filiera. Non è un caso che nel corso di tanti incontri pubblici cui ho partecipato in questo mese di marzo, in varie regioni d’Italia, abbia notato uno spirito collaborativo tra olivicoltori, frantoiani, mediatori, commercianti e aziende di marca.

Le tanto proclamate tensioni sono soltanto apparenti e manovrate più sul piano politico e della comunicazione - infaustamente distorta, quest’ultima, a uso e consumo di chi la sta manovrando a proprio vantaggio.

Guardando invece la realtà di tutti i giorni, pur in una situazione difficile e dolorosa per via della crisi generale che diventa ancora più lacerante per la crisi strutturale del comparto olio di oliva, noto che le tensioni non sono certo nè alimentate, nè determinate e favorite dagli operatori reali, i quali pensano solo a rimboccarsi le maniche e lavorare.

Cambiare registro è l’unica soluzione possibile per uscire dal guado. Quello che lei denuncia è vero, caro Ranzani: si sta tentando di disarcionare le grandi imprese dell’olio, per pura dissennatezza. Eppure, senza le grandi imprese olearie, teste d’ariete nei nuovi mercati, crollerebbe tutto il sistema. I produttori questo lo sanno, per questo lavorano di comune accordo con tutti gli elementi della filiera; sono solo le associazioni che li rappresentano, insieme con i loro portavoce, che ignorano i disastri verso cui stanno portando tutto il comparto oleario.

Io credo che occorra costruire e difendere costantemente i valori dell’unità della filiera, e forse bisogna anche che qualcuno dimostri il coraggio di imparare a costruire più che a distruggere. Non siamo in guerra, le tensioni sono soltanto alimentate da chi ha una visione distorta della realtà e non ha il coraggio di riconoscere i propri errori, frutto di quarant’anni di assenza di strategie, soprattutto commerciali.

E’ inevitabile che oggi si stiano iniziando a pagare le terribili conseguenze di un deserto di idee e, in particolare, di un utilizzo improprio di tanto danaro pubblico. Così, pur avendo avuto a disposizione somme ingenti di danaro che avrebbero potuto far miracoli, in tutti questi anni, ci troviamo ora senza nulla in mano, solo vuote e sterili polemiche.

Luigi Caricato

 

 

 

Caro Ranzani,

le sue considerazioni, come quelle di ogni altro attore della filiera, sono sempre ben accette su Teatro Naturale. Solo attraverso la dialettica, per quanto provocatoria o a tratti polemica, si possano trovare soluzioni a quella che ho definito una “sanguinosa guerra”.

Da osservatore ho riportato le posizioni e i punti di vista di entrambi gli schieramenti. Le confermo che entrambi si sentono legittimati ad agire per “legittima difesa”, ovvero per difesa dei rispettivi interessi.

Non mi stupisce che, negli ultimi mesi, lo scontro sia diventato più duro. La crisi economica globale, che inevitabilmente colpisce anche il settore olivicolo-oleario, ha ridotto drammaticamente la torta disponibile ed è un accapigliarsi, senza esclusione di colpi, per accaparrarsene la fetta più grossa. Come giustamente ha sottolineato non è questione di ingordigia ma di sopravvivenza. Aggiungo tanto da una parte quanto dall'altra.

Lei lamenta handicap di natura burocratica e amministrativa che ledono la competitività dell'industria olearia italiana rispetto ai concorrenti internazionali. Lo stesso possono dire gli olivicoltori e i frantoiani, che soffrono l'aggressività commerciale di paesi che hanno maggiori libertà d'impresa e meno costi.

Per difendere sé stessi, olivicoltori e frantoiani cercano di limitare l'importazione di olio proveniente da queste nazioni, che, a loro dire, possono vantare un dumping competitivo non sostenibile.

D'altra parte voi sostenente che, senza approvvigionarsi anche in questi paesi, l'industria italiana non può competere sui mercati internazionali.

Un chiaro esempio di conflitto di interessi che si riverbera, inevitabilmente, su scelte legislative che devono anche tenere conto di tutele sociali, economiche e ambientali che sono entrate nel nostro ordinamento e sono divenute parte integrante della coscienza collettiva.

Tutto ciò ha dato luogo a battaglie prima e a una lacerante guerra oggi. Non credo che sia utile, se non dal punto di vista storiografico, ricercare chi ha scagliato la prima pietra.

Non mi ergo a giudice né è mia intenzione far da paciere.

Mi limito a registrare, come cronista, le battaglie in corso.

Mi sono permesso, questo sì, un pensiero. In tutte le guerre, ognuna delle parti coinvolte, in nome del principio di sopravvivenza, vanta un diritto morale a colpire l'avversario, anche sotto la cintola.

Credo che occorra ripartire da altre fondamenta: la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri.

Mi fa ovviamente piacere che abbia compreso lo spirito del mio articolo e la sua apertura finale lo dimostra. Mi auguro che la controparte ne tenga conto.

Lo auspico vivamente, come professionista e operatore del settore. Come giornalista, viceversa, lo scontro guerreggiato è foriero di continue notizie, pane quotidiano per i media.

Conflitto di interessi? Ebbene sì.

Cordiali saluti

 

Alberto Grimelli

di T N

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Commenti 1

GIANLUCA RICCHI
GIANLUCA RICCHI
30 marzo 2013 ore 17:44

Caro Ranzani,
sinceramente penso che insieme al suo collega Forcella, presidente della Federolio, dovreste ripensare davvero a come avete svolto il vostro mestiere negli ultimi anni. Non siete stati capaci entrambi di capire cosa stava accadendo al settore oleario, sottovalutando in maniera palese qualsiasi tipo di attacco i vostri associati stessero vivendo, alcune volte prendendo addirittura le distanze dagli stessi invece di unirsi per difendere la diffamazione. Non ci troviamo davanti a vuote e sterili polemiche come dice Caricato, ma a precisi attacchi istituzionali contro un ramo del settore fragile ed incapace di difendersi. L'articolo del Berizzi uscito su Repubblica ne è la testimonianza. Quali sono stati i risvolti? Oltre che partecipare ad una trasmissione mattutina che cosa avete fatto? come avete difeso i vostri onesti e seri imprenditori? perchè non avete replicato sui giornali informando l'opinione pubblica? Perchè ancora oggi non chiedete chiarezza dalla nostra Produzione olearia? Perchè non chiedete pubblicamente di rivedere il catasto oleario dimostrando quello che tutti gli adetti ai lavori sanno? Quanto olio davvero produce l'Italia? Quanto realmente è extra vergine? Le guerre, se di guerra si tratta, si combattono. voi la state soltanto subendo portando le vostre imprese nel profondo baratro. Rifletta Ranzani, è giunto il momento di schierarsi davvero ma soprattutto e giunto il momento di assumersi le proprie responsabilità.