Editoriali

Solo i campioni sfidano le nuvole

14 marzo 2009 | Stefano Tesi



Nel Senese è tornata l’”Eroica-Mps Strade Bianche”. Ma i veri eroi sono i ciclisti o i residenti?
Per cominciare, tanto di cappello al copywriter che si è inventato lo slogan: “Strade bianche: solo i campioni sfidano le nuvole”. Dove i campioni sono i ciclisti professionisti e le nuvole sono quelle di polvere sollevate al passaggio dei concorrenti sugli aspri sterrati senesi punteggiati degli immancabili cipressi. La reclame è invece quella con cui, sulla stampa nazionale, si pubblicizza l’evento sportivo che si svolge il primo sabato di marzo di ogni anno, nelle campagne a cavallo tra il Chianti e le Crete: si tratta della versione professionistica dell’”Eroica”, mitica gara ciclistica dilettantistica per bici d’epoca su percorsi, appunto, “d’epoca”, tra i quali molti terribili e celebri sterri con pendenze da infarto.

Intuitone il potenziale spettacolare, con abile mossa di marketing il Monte dei Paschi di Siena da un po’ si è impadronito dell’iniziativa, ne ha fatto un appuntamento sportivo di richiamo internazionale e l’ha ribattezzato “Montepaschi Strade Bianche”, ottenendo un indubbio ritorno pubblicitario e facendo convergere sulle zone marginali, in cui la competizione si svolge, l’attenzione del grande pubblico e degli appassionati di ciclismo.

Un bene? Addirittura una manna, come qualcuno vorrebbe farci credere? Uno “spot” che finalmente si accende sul territorio e soprattutto sulla periferia della periferia? Io avrei qualche dubbio. E lo dico a ragion veduta, visto che lungo quelle strade ci vivo.

Bisogna innanzitutto spiegare che si tratta di strade rimaste bianche non per la squisita sensibilità estetico-paesaggistica, nè per la preveggenza socio-ambientale degli amministratori pubblici che per sessant’anni si sono succeduti in loco ma, al contrario, solo perché, a suo tempo, furono ritenute indegne di essere asfaltate proprio a causa della loro marginalità e della loro scarsa utilità (anche elettorale). Strade e zone di serie B, per intendersi.

Considerate tali e trattate come tali. Anche se oggi si gonfia il petto, all’ipocrisia non c’è mai limite, vantando il merito di aver preservato la loro esistenza e, assimilandole a specie in via di estinzione, se ne fanno bandiere di propaganda politica. Nell’area in cui abito, ad esempio (a tre-km-tre in linea d’aria dal capoluogo comunale e nel cuore delle celebratissime “Crete Senesi”, quindi non sulla vetta di un’irraggiungibile montagna in mezzo al deserto), non c’è l’acquedotto pubblico.

Avete letto bene: no acqua, nonostante la presenza di abitazioni e di aziende agricole. Per bere e lavarsi bisogna pagare un’autocisterna che porta 8000 litri a botta al prezzo di 100 euro. Considerato che il consumo medio normale pro capite di una famiglia è di 150 litri per persona al giorno, fate voi i conti di quale lusso sia abitare da queste parti. Non c’è nemmeno, è ovvio, la raccolta della nettezza urbana. Scusa ufficiale dell’ente che gestisce il servizio: “I camion non ce la fanno a superare le pendenze della viabilità”.

Una motivazione risibile, visto che sulla medesima transitano regolarmente articolati con rimorchio da 300 quintali e perfino qualche pullman. Morale: chi scrive e i suoi vicini devono ogni giorno riempire l’auto di spazzatura e trasportarla al cassonetto, a 7 km di sterrato in saliscendi. Bontà loro, ci fanno pagare solo il 50% della tassa, mentre sono convinto che, come minimo, dovrebbero risarcirci per il disagio e i costi sopportati. Non parliamo poi di servizi più raffinati e civili, come lo scuolabus e la sorveglianza della polizia municipale, la cui mancanza, oltre a scoraggiare chi già risiede, dissuade irrimediabilmente chi vorrebbe stabilirsi qui ex novo.

Quanto alla manutenzione, il comune fa quel che può, ma rendere praticabili strade sterrate su cui la circolazione di auto e mezzi pesanti è alta e il suolo argilloso tende fatalmente a franare sotto il peso e le piogge, non è semplice. Risultato: chi queste strade deve percorrerle per forza, perché ci abita o ci lavora, sopporta costi e usure (carburante, gomme, polvere, sassi, sospensioni, ammortizzatori, etc) quintupli rispetto al normale.

Ci sarà a questo punto chi chiede: vorresti l’asfalto? Risposta: no, certamente. Vorrei però i servizi che mi rendano possibile restare senza disagi sempre più insopportabili economicamente e logisticamente. Qualcuno allora dirà: chi ti obbliga a restare? Nessuno, è ovvio. Se non il lavoro, la casa, l’attaccamento alle radici. Bazzecole? E’ lo stesso ragionamento che cinquant’anni fa la popolazione rurale fu indotta a fare quando cominciarono a chiudere, una dopo l’altra, le scuole di campagna, l’acquedotto e la corrente elettrica non arrivarono, i servizi furono interrotti, le fermate ferroviarie dismesse, i trasporti sospesi, l’illuminazione pubblica staccata. Infatti la campagna si svuotò rapidamente e le conseguenze le conosciamo. Lo chiamarono esodo. Chi è rimasto è fra gli ultimi coraggiosi che hanno saputo e voluto resistere, nonostante tutto.

Ecco, tornando al punto. Chi sono, allora, i veri “campioni che sfidano le nuvole”? I residenti o i professionisti che per mercede si sfidano sulle pendenze delle Crete e del Chianti? Chi sono gli “eroi”? I cicloturisti, o gli hobbysti camuffati un po’ pateticamente da Girardengo, che una volta all’anno vengono a divertirsi e a provare il brivido dell’avventura o chi, tra mille disagi, tiene duro per non lasciare derelitti i luoghi, il paesaggio, i campi che fanno da paradisiaca quinta proprio a questo virtuale parco dei divertimenti e dei compatimenti?

Francamente non è piacevole fare la parte delle scimmiette in gabbia o del buon selvaggio (men che meno se “esibiti” come tali dai propri amministratori) che i “civilizzati” in cerca di emozioni forti vanno a visitare ogni tanto, per poi tornare nelle loro casette di città con acqua corrente, riscaldamento, gas, nettezza urbana, scuolabus etc, vagheggiando i piaceri bucolici e le “oasi di pace” di chi vive nella ruralità. Non è piacevole essere usati come involontari testimonial, né additati paternalisticamente come dei volonterosi sempliciotti che si ostinano ad abitare in zone invivibili. E lo è ancor meno dover sopportare sulla propria pelle i disagi di un circo utilizzato da altri per farsi pubblicità e pompare l’industria del tempo libero.

Gli agricoltori della collina interna toscana – cioè, in buona parte, gli “utenti” delle strade bianche su cui si disputano questa ed altre analoghe gare – sono gli ultimi baluardi a difesa di quel mondo la cui conservazione è indispensabile anche perché certe iniziative continuino ad esistere. Non c’è turismo senza bellezza, non c’è bellezza senza paesaggio così come non c’è paesaggio senza un’agricoltura che lo plasmi, lo controlli, lo regimi, lo presidi.
Personalmente sono un accanito difensore sia della ruralità che degli sterrati, che sono parte integrante della prima. Ma rifiuto l’idea che i residenti debbano farsi carico, quasi fosse un peccato originale da espiare, della loro sopravvivenza. Viceversa, credo che sia la comunità, se davvero è consapevole dell’importanza estetica e simbolica di questi “fossili” paesaggistici, a dover sostenere il peso economico e sociale della permanenza dei residenti nelle zone rurali servite dalle strade bianche, offrendo loro i servizi minimi e le condizioni indispensabili affinché la vita della popolazione sul territorio sia possibile e dignitosa.

Ci si indigna tanto, dando sfoggio di facile moralismo, quando il turista in brache corte e cappellino da baseball va per favelas a fotografare la miseria e le sofferenze altrui. Io trovo parimenti vergognoso dare l’appellativo di eroe o di campione a chi, per divertimento, viene (indirettamente, è ovvio, ma ciò non rende la cosa meno grave) a irridere chi tra le “nuvole” di polvere e tra mille altri problemi ci vive, nell’indifferenza di quella stessa pubblica amministrazione che si fa bella con la retorica dello sterro da cartolina.
Chissà che, prima o poi, qualcuno non se ne accorga.

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