Editoriali

Agricoltori-pr? Ma per favore...

04 ottobre 2008 | Stefano Tesi

Accipicchia! Se a Bettino Ricasoli, mica l'ultimo dei contadini, qualcuno avesse detto che i suoi discendenti, per continuare la secolare attività di agricoltori, avrebbero dovuto trasformarsi in "public relation manager", prima avrebbe aggrottato la fronte senza capire e poi si sarebbe fatto una bella risata. O, è più probabile, avrebbe impugnato un nodoso bastone e si sarebbe battuto affinchè l'unità d'Italia, progenitrice di quella europea, non avvenisse mai.
Ma purtroppo, al Barone di Ferro, nessuno glielo disse.
E così oggi ci troviamo con la Fischer Boel a farci il predicozzo, raccomandandoci di divenire "pr" di noi stessi. Figuriamoci, io ero rimasto alla nostra nuova funzione di "giardinieri del paesaggio" e ancora non mi era passata l'arrabbiatura.

Ma che vuol dire, fuori dagli anglicismi come dal latinorum di Renzo Tramaglino, "public relation manager"? Un captatore di benevolenza, un mezzano, un ruffiano, un imbonitore, un edulcoratore di pillole? Pr nei confronti di chi? Dei governi? O degli eurocrati che, in proporzione, succhiano il nostro sangue ben di più di quanto l'agricoltura non ne succhi dall'Ue? Ma per favore.

Io ho la sensazione che da tempo, nei celesti disegni di chi ci governa, l'agricoltura sia sostanzialmente defunta: si è deciso che il mondo sarebbe dovuto andare in un'altra direzione e punto, festa finita. I nostri di oggi sono discorsi che al massimo riguardano l'eutanasia, il fatale momento del trapasso: è lecito, e fino a che punto o come, staccare l'ossigeno dei sostegni comunitari? E' "etico"? E se capitasse un commissario che è obiettore di coscienza, come ce la caviamo? Fino a che punto si può accanirsi terapeuticamente contro il settore primario?

Ma davvero c'è bisogno di "public relation manager" per far capire ai politici o all'opinione pubblica quale pilastro non tanto dell'economia in senso stretto, ma dell'assetto sociale, ambientale, culturale, demografico, idrogeologico, geopolitico sia l'agricoltura? Quella vera, dico, non l'agroindustria o il vino. Quella dei trattori, delle semine, dei raccolti, quella dei 30, 70, 100, 200, 300 ettari di media collina.
Oddio, a giudicare dalle sciocchezze che in proposito dicono e scrivono alcuni guru dell'informazione come la Gabanelli o Riotta, ce ne sarebbe bisogno eccome. Anzi, c'è bisogno di ben altro: pellegrinaggi a Lourdes, voti, fioretti.
Ma se tutto ciò non è lampante, basta trasformarsi, come dice la commissaria, in "public relation manager" per rimediare?

Io credo invece che basterebbero un paio d'anni di "sciopero dell'agricoltura" (si potrebbe ribattezzarlo "set aside necessitato", che ne dite?) per convincere anche i più riottosi che senza la terra, e senza quelli che ci stanno sopra, avanti non si può andare.
Altro che "public relation manager". Almeno, una volta, si parlava di "lobby", che tanto ricordavano cupole, comitati d'affari, conventicole molto italiane. Ma il pr no, lo ammetto: è una raffinatezza che va oltre il mio comprendonio.

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