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Il mondo festeggia la Giornata mondiale della Terra
Vi è la necessità di incrementare le produzioni agricole interne, preservando e recuperando le materie prime e garantendo produttività e fertilità dei suoli, anche incrementando l'agricoltura biologica
22 aprile 2022 | C. S.
Giunta alla 52esima edizione, la Giornata mondiale della Terra, che si celebra il 22 aprile, ricade quest’anno in un contesto che evidenzia con forza la necessità di incrementare le produzioni agricole interne, preservando e recuperando le materie prime e garantendo produttività e fertilità dei suoli.
Confagricoltura ricorda che su questi due binari si sta muovendo la politica europea. Bruxelles ha destinato a colture 4 milioni di ettari di aree ecologiche continentali per fare fronte al deficit di approvvigionamento causato da molti fattori, tra cui i cambiamenti climatici, e oggi accelerato dal conflitto in Ucraina.
Parallelamente, la UE porta avanti il suo piano di riforestazione previsto dal Green Deal che prevede la piantumazione di 3 miliardi di alberi entro il 2030. Obiettivo a cui l’Italia partecipa da protagonista, con un patrimonio boschivo cresciuto di oltre mezzo milione di ettari negli ultimi dieci anni e arrivato complessivamente a 11 milioni di ettari, pari a circa il 37% del suolo nazionale.
Confagricoltura evidenzia che sono le oltre 700mila aziende agricole attive sul territorio nazionale a garantire, con il loro lavoro quotidiano, la tutela del patrimonio boschivo e delle biodiversità colturali attraverso pratiche che sposano modelli di produzione evoluti.
Lo dimostra anche il report di AGRIcoltura100, il progetto che Confagricoltura e Reale Mutua portano avanti per la misurazione del livello di sostenibilità del settore primario italiano. Attraverso specifiche e rigide misurazioni di performance, il report testimonia come sostenibilità ambientale e sociale siano centrali per più della metà delle oltre 2.100 imprese coinvolte nell’indagine.
FederBio rimarca la necessità e l’urgenza di puntare con decisione sulla transazione agroecologica.
La crisi alimentare ha mostrato con chiarezza quanto il modello dell’agricoltura industriale, basato sulla forzatura del ciclo di produzione, sia ormai superato anche per gli effetti devastanti che ha prodotto in termini di perdita della fertilità del suolo e della biodiversità, distruzione degli ecosistemi e forti impatti sul clima.
Per tutelare la Terra è quindi fondamentale cambiare paradigma e accelerare la conversione al biologico dei sistemi agricoli, come previsto dal Green Deal europeo e dalle Strategie Farm to Fork e Biodiversità.
Il metodo biologico, poiché non utilizza pesticidi e sostanze chimiche di sintesi e si basa sulla circolarità e sul riciclo dei materiali e della sostanza organica, è in grado di tutelare la fertilità del terreno, contrastare i cambiamenti climatici e difendere la biodiversità, fondamentale per il mantenimento della vita sul pianeta.
“Quello che sta succedendo a livello globale conferma che la Terra non è più in grado di sostenere queste dinamiche. Non c’è più tempo. Le crisi interconnesse ambientale, alimentare ed energetica, che hanno ripercussioni in tutto il mondo, evidenziano ancora una volta tutti i limiti del modello produttivo industriale sia sul piano ambientale che su quello economico e sociale. L’impennarsi del costo di pesticidi e concimi chimici che rischia di strangolare le imprese agricole conferma, infatti, quanto sia necessario ripensare il nostro sistema di produzione per renderlo più indipendente da input esterni e più resiliente.
Occorre investire sulla conversione al biologico, in grado di contrastare la deriva climatica e proteggere la salute dell’uomo e dell’ambiente rispondendo alle esigenze del presente senza compromettere la possibilità di soddisfare i bisogni delle generazioni future. La transizione agroecologica è l’unica soluzione che salvaguarda la terra garantendo la fruizione dei servizi ecosistemici indispensabili per un’agricoltura sana per l’uomo e l’ambiente”, sottolinea Maria Grazia Mammuccini, Presidente FederBio.
Il consumo di suolo si è divorato negli ultimi quattordici anni 180 mila quintali di prodotti agricoli che avrebbero potuto essere coltivati e raccolti nelle campagne toscane per una perdita stimata di 3,6 milioni di euro. La progressiva ed inesorabile trasformazione del territorio regionale e la conseguente perdita di suolo agricolo e naturale a favore di case, capannoni e superfici artificiali in generale, rappresentano un ulteriore ostacolo alla necessità di tornare a produrre tutte quelle materie prime agricole da cui oggi dipendiamo dall’estero contribuendo inoltre alla crescente fragilità del territorio di fronte ai cambiamenti climatici. A dirlo è Coldiretti Toscana sulla base dell’elaborazione dei dati dell’ultimo rapporto Ispra sul consumo del suolo in occasione della Giornata Mondiale della Terra. “Non cenna a rallentare, nonostante il blocco di molte attività durante il lockdown, il processo di urbanizzazione che divora suolo all’agricoltura, alla produzione di cibo, tema mai di così grande attualità, provocando pesanti effetti dal punto di vista economico, occupazionale ma anche ambientale. – spiega Fabrizio Filippi, Presidente Coldiretti Toscana - La disponibilità di terra coltivata significa produzione agricola di qualità, sicurezza alimentare e ambientale per i cittadini nei confronti del degrado e del rischio idrogeologico. L’ultima generazione è responsabile della perdita in Italia di oltre ¼ della terra coltivata per colpa della cementificazione e dell’abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto in maniera purtroppo irreversibile la superficie agricola utilizzabile; superficie che è irrimediabilmente persa”.
Gli ettari destinati ad uso agricolo si sono ulteriormente ridotti tra il 2012 ed il 2020 nella nostra regione di circa 600 ettari così come le superfici naturali per circa 2.600 ettari mentre, al contrario, hanno continuato ad espandersi le aree urbane con un incremento di 3.270 ettari secondo l’Ispra per un totale di suolo consumato di 141 mila ettari pari al 6,17% dell’intera superficie regionale. La perdita di suolo agricolo, destinato quindi all’attività primaria, ha subito una preoccupante accelerazione tra il 2012 ed il 2020 nonostante la legge regionale approvata 65/2014, con 105 mila quintali di prodotti agricoli in meno per una perdita di quasi 2 milioni di euro secondo sempre le stime dell’Ispra. Di contro, nel periodo 2006-2012, i quintali persi stimati erano stati 75 mila per una perdita quantificata in 1,6 milioni di euro circa. La maggiore riduzione stimata ha riguardato i terreni in pianura e principalmente terreni destinati a seminativi con 64 mila quintali e le foraggere con 26 mila quintali che insieme rappresentano l’86% del totale di tutte le colture analizzate potenziali che comprendono anche vigneti, oliveti e frutteti. Dati che confermano l’inarrestabile contrazione delle superfici destinate alla produzione di grano, mais, girasoli di cui oggi siamo fortemente deficitari e che l’industria ha preferito in nome del profitto acquistare all’estero piuttosto che riconoscere compensi adeguati agli agricoltori.
Per Coldiretti Toscana è necessario “accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo, ormai da alcuni anni ferma in Parlamento, che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio. Una esigenza che si estende a livello comunitario dove la task force, formata da ACLI, Coldiretti, FAI, INU, Legambiente, LIPU, Slow Food e WWF e altre 500 associazioni promotrici di “People4Soil” che hanno aderito al network europeo (www.salvailsuolo.it), ha lanciato un appello rivolto alla Commissione Europea, che fa riferimento all’obiettivo delle Nazioni Unite di fermare il degrado di suolo a livello globale entro il 2030. “Consumo di suolo ed abbandono colturale, ed in particolare dei territori marginali a causa dell’emergenza ungulati e dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori devono imporre al nostro paese un cambio di rotta nell’approccio alla tutela della risorsa suolo. Approccio che oggi è totalmente insufficiente se vogliamo ridurre la nostra dipendenza dall’estero”.
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