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Export di olio di oliva verso gli Stati Uniti, dati in chiaroscuro

I grandi marchi italiani hanno venduto negli Usa 71.568 tonnellate di extra vergine, per 400 milioni di dollari, ma il settore oleario nazionale ha perso una quota del 4,5% rispetto al 2017

08 aprile 2019 | C. S.

I dati dell’export dimostrano le potenzialità del settore, nonostante le difficoltà degli ultimi anni. ASSITOL rilancia la necessità di investire nell’olivicoltura e nell’attività di promozione, puntando anche sul turismo enogastronomico.

L’olio d’oliva ambasciatore dell’agroalimentare negli Stati Uniti. E’ la riflessione di ASSITOL, l’Associazione italiana dell’industria olearia, sugli ultimi dati delle esportazioni, elaborati dall’ICE di New York, che nel 2018 colloca ai primissimi posti nell’interscambio Italia-Usa proprio l’olio d’oliva.

In particolare, nell’export di agroalimentare, cresciuto del 7,9% rispetto al 2017, l’olio d’oliva rappresenta il 10,5% di tutto il flusso nazionale delle esportazioni e, grazie a questo risultato, guadagna il secondo posto nella “classifica” dei prodotti nazionali più venduti negli Stati Uniti. Per quota di mercato (36,1%), raggiunge addirittura il primo posto, superando, seppure di poco, pasta (36%) e vino (32%), per un valore di 545 milioni di dollari.

Una conferma importante, in tal senso, arriva anche dalle rilevazioni di ASSITOL: lo scorso anno i grandi marchi italiani hanno venduto negli USA 71.568 tonnellate di extra vergine, per un valore pari a quasi 400 milioni di dollari.

“Se leggiamo con attenzione i dati ICE – osserva Anna Cane, presidente del Gruppo olio d’oliva dell’Associazione – ci accorgiamo che il nostro settore ha perso una quota del 4,5% rispetto al 2017. Eppure, nonostante le difficoltà, non ultima una campagna olearia da dimenticare, manteniamo le prime posizioni nell’export agroalimentare”.

A preoccupare l’industria è però il “sorpasso” della Spagna olearia, che è diventata, negli ultimi due anni, il primo Paese per le vendite di olio ai consumatori statunitensi. E nel frattempo, è aumentata anche la produzione degli Stati Uniti. “Noi italiani, che siamo stati i pionieri dell’export oleario grazie ai nostri marchi storici – spiega la presidente degli industriali – oggi dovremmo sviluppare nuove iniziative di promozione, prendendo spunto dalle campagne di promozione spagnole, che si susseguono da tempo, e dagli investimenti USA, che cominciano a dare i primi risultati. Diversamente, rischiamo di perdere altre posizioni rispetto ai nostri competitors”.

A rafforzare il settore, può anche contribuire il trend, sempre più importante, del turismo enogastronomico. Secondo i dati dell’Enit, l’Ente nazionale per il turismo, quasi il 30% dei turisti stranieri sceglie l’Italia per esplorare i territori legati a cibo e vino, ed il primo Paese di origine degli “enogastroturisti” nel Bel Paese sono proprio gli Stati Uniti. Per giunta, questa tipologia di visitatore è disposta a spendere molto di più del classico amante delle antichità. “E’ un’opportunità che l’Italia non deve lasciarsi sfuggire - sottolinea la presidente degli industriali – il nostro olio, inserito in un modello alimentare italiano, può rappresentare un acceleratore di processo, una vero e proprio ‘ambasciatore’ dell’agroalimentare, attirando l’attenzione sulle nostre eccellenze culinarie e sui loro territori di produzione”.

Le potenzialità dell’export e degli scambi internazionali possono quindi rivitalizzare il comparto. “In un momento delicato come quello odierno – conclude Anna Cane – l’intera filiera deve reagire alla crisi e delineare una strategia di rilancio e promozione. Investire nell’olivicoltura, rendendola più forte, e nel turismo enogastronomico sono alcune delle scelte strategiche, che ci auguriamo di perseguire con l’appoggio delle istituzioni”.

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