Articoli 11/06/2011

La comunicazione? E’ vincente solo se creativa e originale

La comunicazione? E’ vincente solo se creativa e originale

Nelle logiche aziendali non prevale il buon senso come dovrebbe. Né tanto meno la pianificazione strategica. La sensibile riduzione dei budget nuoce. Non sta bene. Ciò che disarma, in particolare, è che si investa solo quando i diretti competitor iniziano a farlo. Magari replicando formule altrui. Occorrebbe attuare tutta un’altra logica, spiega Michele Bertuzzo


Prosegue la nostra inchiesta sullo stato della comunicazione agroalimentare in Italia. Questa settimana, dopo i punti di vista di Cinzia Montagna, Patrizia Novajra e Silvia Baratta, è la volta di Michele Bertuzzo.

Bertuzzo è nato a Valdagno, in provincia di Vicenza, e vive attualmente a Breganze. Laureatosi in Scienze della Comunicazione nel 1999, è giornalista pubblicista, nonché sommelier dell’Ais.

Nel 2007 ha fondato insieme con Davide Cocco lo Studio Cru, una struttura operativa specializza nella comunicazione del wine&foo e che offre servizi di consulenza di comunicazione, oltre a gestire attività di pr, ufficio stampa, organizzazione di eventi e servizi Internet.

 

In momenti di grande crisi economica come quelli attuali, cosa sta accadendo sul fronte della comunicazione agroalimentare in Italia? Come stanno reagendo le aziende, e come invece le Istituzioni? Stanno riducendo sensibilmente i budget, oppure cercano di resistere perché ritengono che sia fondamentale e necessario proprio in tempi di magra continuare a investire in comunicazione?

In salita il buon senso consiglierebbe di pedalare più forte. Così spesso non è. Perché a prevalere nelle logiche aziendali non è il buon senso, né tanto meno la pianificazione strategica. Quanto piuttosto un certo senso di emulazione: se il mio concorrente investe, allora investo anch'io, e viceversa.

Le aziende hanno ridotto notevolmente i loro budget, salvo poi mettersi in moto quando i loro competitor iniziano ad investire. Il problema è che molto spesso, a quel punto, vogliono replicare lo stesso progetto: niente di più sbagliato!

Quella che cerchiamo di fare è soprattutto un'opera di sensibilizzazione verso un certo atteggiamento di comunicazione: non può più essere un'attività legata ad un certo budget da spendere, ma un'attitudine di apertura che investe tutta la comunità aziendale. Dal titolare all'ultimo manovale. Organizziamo corsi che nominalmente si definiscono di alfabetizzazione al web 2.0, ma la cui funzione principale è quella di promuovere l'abitudine a comunicare. Se si riesce a creare questo clima positivo, allora si possono portare avanti progetti interessanti (e originali!) anche con piccoli budget. Altrimenti si è condannati a rincorrere un modello che, raggiunto, si dimostrerà il più delle volte inadeguato.

Per quanto riguarda le istituzioni il ridimensionamento è legato ai tagli di bilancio, che portano margini di manovra davvero limitati.

 

Tra i vari settori merceologici, sempre in ambito agroalimentare, qual è l’ambito più sensibile e ricettivo alla comunicazione?

Nonostante tutto è ancora quello del vino. Attualmente però si sta verificando uno spostamento di baricentro delle aziende vinicole, che sempre più stanno facendo fatturato all'estero e sempre meno in Italia. Va da sé che gli investimenti in Italia si stiano riducendo, mentre la spinta sull'export aumenta. Peraltro i mercati esteri stanno rapidamente maturando e la semplice presenza di un importatore non garantisce più un fattore sufficiente per crescere. Si sta quindi profilando la necessità per le aziende di una presenza di comunicazione diretta sui mercati principali, come Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania o Giappone: noi ci stiamo attrezzando per offrire servizi specifici su questi mercati.

 

Qual è la soglia di investimento media da parte delle aziende? E quale, invece, quella delle Istituzioni?

Dipende, sul web si possono realizzare progetti a bassissimo costo che generano un grande buzz (letteralmente brusio, passaparola). Tutto è legato alla capacità dell'azienda o dell'istituzione di accettare la sfida della creatività e dell'originalità.

 

Al di là delle cifre investite, in ambito istituzionale quali sono le realtà più sensibili e attente? I piccoli o i grandi comuni, le province o le regioni?

Non credo che le dimensioni contino molto, quanto la capacità di avere una “visione strategica” della comunicazione. L'impressione è però che spesso prevalga ancora una logica che io chiamerei di autogiustificazione. Gli enti pubblici e i loro apparati devono legittimare la loro esistenza e tutte le energie (e risorse) finiscono per far vedere di aver fatto, piuttosto che nel perseguire un risultato. Questo perché al politico interessa soprattutto mettersi in buona luce con il proprio elettorato, al funzionario basta compiacere il politico. Il più delle volte manca il coraggio di guardare oltre il proprio giardino.

 

Infine, i consorzi di tutela, riferiti ai prodotti a marchio Dop e Igp: quanto investono in comunicazione, e in che modo investono? Ma soprattutto: investono bene?

Il caso dei consorzi di tutela è diverso: qui la cui componente di cofinanziamento delle imprese private ai fondi pubblici porta ad una logica assolutamente privatistica in cui prevale il merito. Pur investendo solo il 40 o 50% del budget complessivo, il privato vuole essere sicuro che le sue risorse siano ben spese. Il problema però è mettere d'accordo chi compone quella quota: le aziende associate sono portatrici di interessi diversi e talvolta contrastanti e la tentazione a fare per sé è sempre molto forte. Ma si sa, l'Italia è il paese dei campanili.

 

di Luigi Caricato

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