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Comunicare con iniziative a spot? Serve a poco e costano molto

Ciò che conta, in particolare, sono le idee. A sostenerlo è Silvia Baratta. Con lei prosegue l’inchiesta sullo stato della comunicazione in Italia. Il problema maggiore, spesso, è l’assenza di una visione di lungo termine e la capacità di mettere in campo una strategia coerente per raggiungere gli obiettivi (3. continua)

28 maggio 2011 | Luigi Caricato

Dopo le precedenti puntate, con le testimonianze di Cinzia Montagna e Patrizia Novajra, proseguiamo questa settimana con Silvia Baratta, veneta, è nata a Maserada sul Piave, in provincia di Treviso. Dopo essersi laureta in scienze agrarie a Padova, ha frequentato presso l’Oiv un master in gestione, economia e marketing del settore vitivinicolo.

Titolare dell’agenzia Gheusis e collabora come free lance per diverse riviste del settore enologico, tra cui “De Vinis”, “Corriere Vinicolo” e “Vigne e Vini”.

Gheusis è un’agenzia specializzate nell'enogastronomia, senza tuttavia trascurare altri ambiti operativi. Offre consulenze di relazioni, ufficio stampa, strategie di comunicazione e organizzazione di eventi.

 

In momenti di grande crisi economica come quelli attuali, cosa sta accadendo sul fronte della comunicazione agroalimentare in Italia? Come stanno reagendo le aziende, e come invece le Istituzioni? Stanno riducendo sensibilmente i budget, oppure cercano di resistere perché ritengono che sia fondamentale e necessario proprio in tempi di magra continuare a investire in comunicazione?

Non tutte le realtà stanno reagendo allo stesso modo. Per quanto riguarda le istituzioni che seguiamo, non vi è stata una riduzione degli investimenti ma è cambiata la logica. Si è ridotto il numero di azioni focalizzandosi sui mercati chiave invece di disperdere energie in molte direzioni. In particolare, la maggiore attenzione è rivolta ai mercati internazionali che stanno dando le maggiori soddisfazioni o quelli che richiedono un riposizionamento del prodotto. Attenzione è rivolta anche all’Asia, in particolare Giappone e Cina.

Quanto invece alle aziende, in generale quelle più strutturate hanno in questi anni diversificato i mercati e soffrono meno perché non concentrano le vendite in un unico paese o canale. Questo consente loro di avere una certa stabilità e di mantenere una buona capacità di investimento. E’ innegabile, tuttavia, che si siano ridotte alcune attività. In particolare, vi è un’evoluzione della strategia. Se prima si investiva principalmente nelle fiere, oggi si attuano azioni specifiche come supporto agli importatori, creazione di brand ambassador, eccetera.

 

Tra i vari settori merceologici, sempre in ambito agroalimentare, qual è l’ambito più sensibile e ricettivo alla comunicazione?

In base alla nostra esperienza direi senza dubbio quello del vino.

 

Qual è la soglia di investimento media da parte delle aziende? E quale, invece, quella delle Istituzioni?

E’ una domanda alla quale è difficile rispondere perché dipende da moltissime componenti: dimensione dell’azienda, canale di vendita, struttura aziendale, eccetera. Sarebbe poi necessario considerare l’investimento nel suo complesso, ovvero non solo l’attività di ufficio stampa e organizzazione di eventi ma anche nei mezzi di comunicazione tradizionali e innovativi, eccetera.

 

Al di là delle cifre investite, in ambito istituzionale quali sono le realtà più sensibili e attente? I piccoli o i grandi comuni, le province o le regioni?

Per la nostra esperienza le realtà più sensibili sono le regioni e i comuni a forte vocazione turistica o enogastronomica. Purtroppo, tuttavia, il Patto di Stabilità ha spesso penalizzato realtà potenzialmente interessanti.

 

Per concludere, i consorzi di tutela, riferiti ai prodotti a marchio Dop e Igp: quanto investono in comunicazione, e in che modo investono? Ma soprattutto: investono bene?

E’ difficile fare generalizzazioni. C’è chi lavora bene e chi meno. Il problema maggiore, spesso, è l’assenza di una visione di lungo termine e la capacità di mettere in campo una strategia coerente per raggiungere degli obiettivi. Le iniziative a spot lasciano sempre poco e spesso costano molto. Il secondo limite è che, spesso, la comunicazione del settore manca di originalità e sviluppa iniziative che sono la fotocopia di altri eventi.

Spesso non servono investimenti milionari, basterebbe avere delle idee interessanti.

Infine, trovo ci sia ancora troppa poca sinergia tra i diversi attori del settore: i consorzi dialogano poco con la ristorazione, le istituzioni poco con i consorzi, eccetera.

 

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CHIARA SBARDELLA

10 giugno 2011 ore 20:07

MOLTO INTERESSANTE,APPROFONDIREI L'ARGOMENTO,PER ESEMPIO SULL'ALTERNATIVA AGLI SPOT,SI DEVE FARE DEL PASSAPAROLA?
E ANCHE LA POCA SINERGIA TRA I DIVERSI ATTORI DEL SETTORE
ANDREBBE APPROFONDITA QUESTA INTERVISTA
CHIARA SBARDELLA