Articoli 14/05/2011

La comunicazione agroalimentare in Italia? E’ il momento di cambiare

La comunicazione agroalimentare in Italia? E’ il momento di cambiare

Le espressioni iperboliche degli ultimi anni, il tanto fashion e glamour, hanno dimostrato la loro grottesca inutilità. Secondo Cinzia Montagna, la tendenza generale tende ora a individuare azioni positive che garantiscano risultati concreti, senza lanciarsi in prospettive incerte (1. continua)


Qual è lo stato della comunicazione in ambito agroalimentare in Italia? Per saperlo abbiamo raccolto il punto di vista di alcuni pr e uffici stampa. Abbiamo iniziato la nostra indagine con Cinzia Montagna, una giornalista professionista che lavora come ufficio stampa per varie realtà del settore enogastronomico in Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino, e in particolare per consorzi, associazioni, istituzioni ed enti.

 

In momenti di grande crisi economica come quelli attuali, cosa sta accadendo sul fronte della comunicazione agroalimentare in Italia?

A mio parere, occorrerebbe riflettere sulla definizione di “crisi”. Probabilmente, la congiuntura che stiamo vivendo richiede di tornare a pensare alla “crisi” nel suo significato originario di rottura e cambiamento, non necessariamente con un’accezione negativa. E’ il momento di cambiare. Il che può voler dire progredire, se si scorgono le mete e si delineano strade percorribili, reali, non visionarie. Cioè individuare nuovi mercati o nuove forme di mercato, ad esempio, ma soprattutto nuovi linguaggi. Le espressioni iperboliche degli ultimi anni, il tanto fashion e glamour, hanno dimostrato la loro, anche un po’ grottesca, inutilità. In questo periodo che richiede cambiamenti, riducendo le disponibilità di denaro o, meglio, convogliandole su progetti concreti e di reale risultato, nella comunicazione agroalimentare mi pare stia finalmente iniziando a prevalere (o a tornare) la regola del buon senso, con graduale scomparsa di Sirene Incantatrici e Naufraghi Incantati. E’ un risveglio, anzi un inizio di risveglio, con tutta la confusione che un risveglio dopo un lungo e talora dorato sonno provoca. Certamente si stanno cercando nuovi linguaggi, che puntano a informare sulla sostanza, sui fatti tangibili, più che sull’immagine esasperata e, quindi, finta. Questo non significa perdita di stile e di eleganza, ma volontà di informare, sì in modo persuasivo, senza finzioni. Direi, quindi, che siamo in una fase di passaggio. E forse non è un male.

 

Come stanno reagendo le aziende, e come invece le Istituzioni? Stanno riducendo sensibilmente i budget, oppure cercano di resistere perché ritengono che sia fondamentale e necessario proprio in tempi di magra continuare a investire in comunicazione?

Non conosco le strategie delle Aziende, non occupandomi di Aziende. Credo che in questo periodo sia essenziale il ruolo delle Istituzioni e, da quanto vivo per lavoro, percepisco la forte consapevolezza delle Istituzioni alla necessità di azioni mirate. Tagli sì, sicuramente, indispensabili. Soltanto la leggerenza di pensiero, per così dire, indurrebbe a investire su ipotesi, senza garanzie: la tendenza generale è quella di individuare azioni positive, cioè che garantiscano un risultato, senza lanciarsi in prospettive incerte. Una selezione, quindi, a monte, che eviti dispersioni di denaro e di tempo: questa mi sembra la strategia applicata in generale, tenuto conto di budget ridotti o limitati.

 

Tra i vari settori merceologici, sempre in ambito agroalimentare, qual è l’ambito più sensibile e ricettivo alla comunicazione?

Quattro prodotti, direi, sono quelli più sensibili: vino, olio, salumi, formaggi. Credo siano questi gli “ambiti” più percepiti e comunicati.

 

Qual è la soglia di investimento media da parte delle aziende? E quale, invece, quella delle Istituzioni?

Le situazioni sono molto diverse. Alcune azioni, ad esempio, richiedono il concorso di più realtà, pubbliche e private. Difficile indicare cifre.

 

Al di là delle cifre investite, in ambito istituzionale quali sono le realtà più sensibili e attente? I piccoli o i grandi comuni, le province o le regioni?

Le realtà più sensibili e attente sono quelle… più sensibili e attente. E’ una tautologia soltanto apparente: direi che non è l’”etichetta” a creare sensibilità. Esistono piccoli Comuni, anche di poche centinaia di abitanti, che in modo quasi eroico decidono di investire ciò che possono per valorizzare, mantenere, conservare una tradizione. E, di solito, riescono nel loro intento, che è fatto anche di passione, buona volontà, partecipazione. Ovviamente, esistono poi realtà con parametri vincolati e priorità complesse, dove buona volontà e passione non bastano.

 

Infine, i consorzi di tutela, riferiti ai prodotti a marchio Dop e Igp: quanto investono in comunicazione, e in che modo investono? Ma soprattutto: investono bene?

Investono. Quanto, dipende da quanto possono. Bene o male, difficile rispondere: la geografia degli investimenti consortili è molto varia, talora con percorsi stupefacenti data l’inutilità, evidente già a monte, delle azioni praticate. Le ragioni: talora ingenuità, talora disinteresse da parte degli associati, talora presunzioni, un po’ di superficialità, molto pressapochismo. Penso che, forse, affidarsi non al caso, che genera prima o poi emergenze e necessità, ma a professionalità reali sia la cosa migliore: sono molti i Consorzi che lo fanno, la maggior parte. Ciò non significa che investano di più. Investono, banalmente, meglio: vale più un evento ben fatto che 10 iniziative male organizzate o peggio comunicate, vale più uno studio scientifico utile per il futuro che tante pagine immagine di pubblicità. E sono quelli che riescono a far emergere realmente i loro prodotti in ambito di comunicazione, evitando operazioni spot o, alla fine, inutili, fuorvianti e quindi dannose, anche sul tempo lungo.

 

di Luigi Caricato

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Commenti 2

Giuaeppe Bertoni
Giuaeppe Bertoni
15 maggio 2011 ore 12:40

Ancora una volta mi complimento con Teatro Naturale: non si può continuare a presentare i nostri prodotti di pregio in maniera iperbolica e senza senso. Fare solo delle nicchie cui possono accedere solo super-ricchi non risolve i problemi degli agricoltori, mentre valorizzarli anche in termini scientifici è assai più utile.
Con cordialità.
Giuseppe Bertoni

Donato Galeone
Donato Galeone
14 maggio 2011 ore 21:15

Ho letto con molto interesse ed anch'io rutengo essenziale che la "comunicazione agroalimentare"debba essere rilanciata e mirata nella dimensione territoriale regionale e per aree rurali intercomunali di omogeneo sviluppo che "con nuovi linguaggi puntino a informare sulla sostanza, sui fatti tangibili" - e, mi permetto aggiungere, anche con l'attivazione di efficienti "centri informativi" - cofinanziati dalle regioni italiane, come deliberato dalla Regione Lazio, e per filiere di prodotto - verso tutti gli operatori dell'agricoltura, preferibilmente associati, da orientare a valorizzare e concentrare l'offerta di prodotto, certificata in sicurezza alimentare, per la commercializzazione. Ritengo,inoltre, che sia necessario e conseguente un sostegno pubblico che, partendo proprio dai produttori dei piccoli Comuni, già partecipi dell'attivato "Centro Informativo" - come ad esempio i produttori di olive nella filiera olio di alta qualità - di un altrettanto mirato aiuto alle iniziative promozionali in comunicazioni commerciali e di marketing da integrare al recupero non solo produttivo di oliveti abbandonati ma anche ambientale e paesaggistico degli areali terrazzati. A tal fine è attualissimo il confronto aperto dal Dott.Alberto Grimelli nel merito del budget della Unione Europea "sui 108 milioni di euro per l'olivocoltura italiana nel triennio 2013-2015. L'articolo del Dr. Grimelli -a mio avviso- merita altro più documentato e puntuale commento.
Donato Galeone