Mondo Enoico 24/05/2018

L'export di vino, croce e delizia di un settore strategico

L'export di vino, croce e delizia di un settore strategico

Il comparto vitivinicolo è quello che, ancora oggi, offre le maggiori performance migliori di quello alimentare nel suo complesso, grazie a un più alto rapporto tra margine operativo netto e valore aggiunto. L'Italia però si focalizza troppo su pochi mercati


I dati Mediobanca esposti durante l'assemblea Federvini rilevano che l’industria del vino italiano, oggi, ha una redditività superiore a quella del settore alimentare (8,7 contro 8,2). Questo valore è originato, in gran parte, dal rapporto tra margine operativo netto (MON) e valore aggiunto che oggi ha raggiunto il 44% contro il 30,5 del food nel suo complesso. Questo significa che il settore ricava valore aggiunto dalle vendite, grazie alla capacità di fare leva sul valore iconico dei prodotti vitivinicoli italiani.

Tutto bene allora? No.

Se l’export continua a crescere - i grandi produttori realizzano oltre confine oltre il 55% delle proprie vendite, con punte che arrivano a toccare il 90% - è altrettanto vero che assistiamo ad uno sbilanciamento evidente su alcuni mercati. Secondo Mediobanca, l’Italia ha infatti un indice di concentrazione nei primi paesi di destinazione di 1.108 in confronto a 730 della Francia, 711 del Cile e 632 della Spagna. Una diversificazione più spinta potrebbe evitare problemi in caso di potenziali eventi avversi (dazi, Brexit…), inoltre nei mercati in cui l’Italia è più presente, il prezzo del prodotto è mediamente più basso rispetto ai mercati secondari.

Secondo le stime di Nomisma, infatti, sia per i bianchi fermi sia per i rossi fermi il prezzo medio italiano è più basso sia nei confronti di Francia (2,8 euro a litro contro 4,69 sui bianchi; 4,37 vs 5,36 sui rossi) sia nei riguardi della Nuova Zelanda (4,93 a litro per i bianchi e 7,71 per i rossi). In questo modo, il rischio è di perdere una visione d’insieme che porta ad esplorare aree geografiche più eccentriche, più rischiose ma anche a tasso di sviluppo potenziale maggiore (Sud America, Africa Australe, Sud Est Asiatico e Oceania).

Il mondo del vino si differenzia dall'agroalimentare anche per la dimensione del capitale immobilizzato (vigneti, magazzino…). Costi di struttura e un capitale investito ragguardevoli: tanto che il rapporto tra valore generato in azienda e il capitale necessario per generarlo resta penalizzante nel vino rispetto al food (18,5% contro 22,5).

Oggi è quindi necessario un salto di qualità sia all’estero sia in Italia. Per questo è sempre più urgente creare un filo rosso che leghi enogastronomia, turismo, ambiente e arte, mettendo a sistema tutta la filiera allargata per creare valore, sui prodotti e sul territorio. “Anche da un punto di vista imprenditoriale – spiega il presidente di Federvini, Sandro Boscaini – è venuto il momento di ragionare in modo strutturale in termini di filiera allargata: non solo vino, spiriti e aceti ma anche cibo, turismo, arte ed ambiente. Dobbiamo infatti mettere a sistema tutte le voci del nostro patrimonio culturale rendendole un unicum e ridisegnando il sistema delle priorità a livello nazionale: è ormai prioritario e non più procrastinabile mettere in un unico contenitore i diversi progetti, facendo ruotare intorno ai nostri settori e all’agro-alimentare nel suo complesso, il patrimonio artistico, archeologico ed ambientale”.

 

di C. S.