L'arca olearia 16/12/2016

Fare delle virtù dell’olio di oliva una necessità per l’espansione dell’olivicoltura italiana

Fare delle virtù dell’olio di oliva una necessità per l’espansione dell’olivicoltura italiana

La cultura e la diversità, elementi fondamentali per aprire i mercati e dare all’olio italiano caratteri distintivi capaci di vincere la concorrenza e coinvolgere milioni di nuovi consumatori di olio extravergine di oliva


In queste ultime settimane, grazie alla lettura di alcuni notiziari internazionali, la cultura dell’olivo e dell’olio si è arricchita di altri importanti risultati riguardanti la salute del clima e il benessere del consumatore. Procede a ritmo sostenuto quel processo, che ho già indicato con altri articoli pubblicati in questi anni, soprattutto su Teatro Naturale, della grande stagione dell’olio. Un processo caratterizzato dalla crescita e diffusione della cultura millenaria, che l’olio esprime con il suo olivo, e la necessità di completare in tempi brevi la svolta che porta alla conquista di nuovi mercati e al coinvolgimento di milioni di nuovi consumatori.

Uno straordinario patrimonio culturale che può continuare a fare dell’olivo la bandiera della pace - cosa non di poco conto in un mondo in guerra e con milioni di persone in movimento – e del suo olio il prodotto universale, come lo è stato sin dall’antichità per l’area del Mediterraneo, se è vero com’è vero che ogni minuto che passa c’è un frantoio che macina in qualche parte del pianeta e in tutt’e cinque i continenti.

Una situazione di grande trasformazione, in continuo movimento e, ripeto, nel pieno di una svolta in atto che ha la possibilità di essere guidata solo da chi ha la capacità e la voglia di rilanciare l’olivicoltura (fondamentale anche, come ha raccontato, qualche settimana fa a Marrakesh in Marocco, per conto del Coi, Francesco Serafini, , per captare non poche quantità di anidride carbonica attutendo così l’effetto serra) ; dare all’olio la possibilità di svolgere il suo ruolo di cibo dei cibi e di offrire al consumatore benefici con le sue azioni di prevenzione e di cura.

Penso alla ricerca di Manna e altri, pubblicata su Journal of Nutrizion E food Sciences, che dà a una componente fenolica dell’olio, l’idrossitirasolo (HT), il potere di agire e combattere il crescente inquinamento da mercurio in quel grande Paese, l’India, che ha superato il miliardo di persone. Un Paese che, solo di recente, ha cominciato a impiantare olivi in due territori vocati, il Rajasthan, sicuramente lo Stato più noto del grande paese asiatico e l’Himachal Pradesh, nella parte Nord- occidentale dell’Himalaya , che è la sommatoria di 30 regni antichi favoriti da un clima mite vocato all’olivicoltura. Un inquinamento crescente, quello da mercusio, che sta diffondendo una serie di gravi malattie, dai tumori ai problemi cardiovascolari e renali, da patologie gravi al cervello a quelle riguardanti la vista.

Ma ecco l’olivo e l’olio che curano il clima e le malattie provocate dall’inquinamento da mercurio arricchendo di altre virtù il loro già ricco patrimonio di solidarietà con l’essere umano, soprattutto in quella vasta area che è il Mediterraneo.

La cultura e la diversità, quindi, quali elementi fondamentali per aprire i mercati e dare all’olio italiano caratteri distintivi capaci di vincere la concorrenza e coinvolgere milioni di nuovi consumatori di olio extravergine di oliva. Due elementi importanti per alimentare una strategia di marketing che serve, non solo ad affermare l’olio vero italiano sui mercati, ma soprattutto a rilanciare l’olivicoltura contadina, quella intensiva e legata, oggi più che mai, alla tradizione.

La ricerca presentata a Marrakesh da Serafini parla espressamente di oliveti coltivati con metodi tradizionali. In pratica i nostri oliveti, la gran parte dei quali abbandonati che sarebbero da recuperare e da arricchire con altri oliveti, soprattutto nelle aree interne, per avere più olio di qualità legato alla biodiversità; rilanciare l’agricoltura e, con essa, il territorio e quella straordinaria risorsa che è il nostro ricco patrimonio di piccoli centri, borghi d’eccellenza, contenitori si storia, cultura, arte, tradizioni, cibo, paesaggi e ambienti.

Una politica che guarda e parte dal territorio e non dai bisogni dell’industria, della grande distribuzione, delle multinazionali o della criminalità organizzata, e lo fa con una puntuale programmazione e progettualità. La sola politica che ha tutte le possibilità di bloccare un processo che rischia il non ritorno, qual è quello dell’abbandono del territorio e della sua destinazione ad altro che non è l’agricoltura.

Bisogna partire da queste ed altre riflessioni prima di dare il via libera a un piano olivicolo contrassegnato da oliveti superintensivi pensati e voluti dai padroni della politica olivicola italiana, gli spagnoli, da qualche anno proprietari delle nostre più grandi e blasonate industrie olearie e quelli che hanno in mano i brevetti che fanno riferimento a tre varietà di olivo della Spagna e una della Grecia.

Un processo da poco iniziato e che vede il pieno coinvolgimento delle istituzioni ai vari livelli, le stesse unioni di associazioni degli olivicoltori, le università.

Un mondo di operatori che pensa, come del resto è stato per altre colture nel passato, solo alla quantità che un oliveto superintensivo riesce a produrre in zone di pianura e media collina e non alle conseguenze di una scelta, per me avventata e pericolosa, che allarga la spaccatura tra avvantaggiate aree e svantaggiate, Nord e Sud; mette a rischio quell’immenso e prezioso patrimonio di biodiversità; non coglie il grande valore della cultura e della diversità, fondamentali per aprire e conquistare i mercati. E non basta, il vantaggio di porre l’olio extravergine di oliva prodotto, Dop o Igp, monovarietale e biologico, sugli scaffali più alti di un punto vendita, quelli che sanno dare la migliore risposta al bisogno di reddito dell’olivicoltore e riescono meglio a diffondere, promuovere e valorizzare il prodotto.

Fermarsi prima che sia troppo tardi è - in questa fase di crisi della nostra agricoltura e della sua olivicoltura; furto di territorio e, anche, di abbandono; grandi potenzialità per l’olio extravergine di oliva con la crescita della domanda – un segno importante di consapevolezza e responsabilità.


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