L'arca olearia

Davanti allo scaffale alla ricerca dell'extra vergine buono. Quanto deve costare?

Il prezzo, la data di scadenza, l’etichetta, il colore, l’estratto a freddo, la confezione? In valore assoluto questi elementi non garantiscono con certezza la qualità del prodotto. Aldilà di territori e certificazioni, l’olio buono ha una faccia e non solo un’etichetta. La faccia del produttore, dell’olivicoltore, dei frantoiani

27 giugno 2014 | Maurizio Pescari

Capita spesso, da ‘presunti’ esperti del settore, di dover rispondere a domande del tipo: “Come faccio a capire qual è l’olio migliore sullo scaffale?”. A chiedercelo sono persone che hanno scoperto che non tutti gli oli sono uguali e che dedicano attenzione a ciò che portano sulla loro tavola. Non esperti, non gastronomi, non integralisti della tipicità, consumatori normali. Se si vuol contribuire seriamente alla diffusione della cultura dell’olio, che deve per forza passare attraverso gente di questo tipo, una corretta risposta al quesito è fondamentale.

Chi vuol continuare a “…menare il can per l’aia” risponde: Extravergine! Dimenticando il mare magnum che troviamo sullo scaffale, con oli extravergine di diverso prezzo, provenienza e qualità e non risolve il problema a chi ha posto la domanda. Ormai abbiamo determinato con chiarezza che la classificazione “extravergine” non offre garanzie ad un consumatore che sia alla ricerca di un olio di qualità superiore.

Affrontiamo questo argomento stabilendo un principio di fondo: se da un lato ci rivolgiamo a consumatori normali e non a gourmet, dall’altro, parliamo di produttori normali e non delle eccellenze di cui il nostro Paese è ricco, in ogni regione e contribuiscono a fare la differenza tra un’Italia dell’olio e l’altra.

Su questa base, una domanda ce la poniamo noi: “Esiste un elemento in etichetta, che garantisce la qualità reale dell’olio ad un semplice consumatore davanti ad uno scaffale? Il territorio di produzione garantisce davvero la qualità? La risposta è sì, esiste ed è il bollino giallo e rosso delle DOP/IGP (Denominazione di Origine Protetta o Indicazione Geografica Protetta), certificazione volontaria dell’intero processo produttivo, cui il produttore si sottopone, sopportandone anche i costi, per ottenere da un ente terzo, la garanzia che il suo prodotto è di qualità superiore, legato ad un territorio ed a delle cultivar che ne definiscono la tipicità.

E tutto il resto? Il prezzo, la data di scadenza, l’etichetta, il colore, l’estratto a freddo, il nome, la confezione? In valore assoluto questi elementi non garantiscono con certezza la qualità del prodotto. L’etichetta ad esempio. In Italia l’etichetta è uguale per tutti, talmente ricca di dati da non garantire la qualità reale del prodotto, ma l’omologazione: “Olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”. Non c’è l’anno di produzione – fatte salve le DOP – ma solo quella di scadenza: 18 mesi dal giorno dell’imbottigliamento e non da quello di produzione.

Se l’etichetta non ci aiuta, lo farà il prezzo. Possibile che un olio da venti euro non sia, con certezza, più buono di uno da dieci? Ebbene sì, è proprio possibile….

Nella normalità delle cose, il prezzo lo determina il territorio. Per tutti, per i bravi ed i meno bravi. Per i buoni ed i meno buoni. E’ un aspetto del Marketing territoriale, dove le caratteristiche di unicità di un prodotto agro alimentare di qualità, sono utilizzate come strumento di promozione e di valorizzazione del territorio. Ecco che oli di territori importanti, ad alta vocazione olivicola, spuntano prezzi più alti, mentre altri, prodotti in territori dove l’oliva non è dominante o dove è, storicamente, quantità e non qualità, i prezzi restano bassi. Nonostante produttori coraggiosi ed illuminati, che ottengono oli di qualità straordinaria, nella speranza che la loro grandissima fatica possa contribuire ad innalzare la qualità percepita, che al momento dell’acquisto determina la scelta del consumatore, quello che per abitudine attribuisce un’alta qualità percepita ad oli provenienti da territori noti, la Liguria, la Toscana, il Garda, l’Umbria…, dove è il territorio a fare il prezzo, indipendentemente dalla resa, dal costo della manodopera e dalla qualità.

In tutto questo si inserisce l’esperienza e la conoscenza, elementi vitali per chi vuol avere autonomia di scelta nell’acquisto di un prodotto da portare in tavola. Aldilà di territori e certificazioni, l’olio buono ha una faccia e non solo un’etichetta. La faccia del produttore, dell’olivicoltore, dei frantoiani, risorse fondamentali e sincere, garanzia vera della qualità del prodotto. L’olio sempre di più è un prodotto che vive di rapporti, di conoscenza. L’olio buono, sempre di più dovrà essere una risorsa del nostro Paese.

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Maurizio Pescari

02 luglio 2014 ore 08:00

Sig. Alampi, la sua analisi e' perfetta e condivisa. In redazione stiamo lavorando per dare una risposta al suo quesito che sintetizzeremo con un semplice "C'è DOP e DOP". Nel nostro articolo la DOP e' indicata come 'opportunità' semplice, utile ad aiutare con buona percentuale di successo un consumatore che cerca un buon olio senza essere un appassionato, ma che sa riconoscere un olio buono, l'importanza che ha a tavola e la differenza che esiste tra un buon odore ed uno meno gradevole.

filippo Alampi

02 luglio 2014 ore 01:51

Riporto un vostro estratto: "Il territorio di produzione garantisce davvero la qualità? La risposta è sì, esiste ed è il bollino giallo e rosso delle DOP/IGP"
Dop e Igp dovrebbero garantire una tipicità ed un legame con un determinato territorio, esistono oli eccellenti Dop/Igp come esistono oli eccellenti 100% italiani. Esistono anche oli mediocri Igp/Dop ed anche ovviamente oli mediocri 100% italiani, stesso discorso vale per gli oli bio o biodinamici, denocciolati, blend o monovarietali. Colui che commercializza il proprio olio con i marchi a denominazione territoriale, intende specificare (con certificazione ufficiale) una determinata zona di produzione/lavorazione, oltre ovviamente a dover rispettare determinati requisiti chimici ed organolettici. La domanda è tali requisiti hanno una maglia troppo stretta o troppo larga?

Maurizio Pescari

30 giugno 2014 ore 11:56

Non generalizzerei, sig. Fazzi, e soprattutto non confonderei la garanzia offerta da DOP ed IGP, con le truffe perseguibili da Codice Penale. Su DOP ed IGP pubblicheremo presto un'analisi, a completamento del percorso che abbiamo fatto intorno all'olio ed ai suoi prezzi.
Per quanto riguarda la tipicità territoriale, io sono per la valorizzazione della competenza e della serietà del produttore, olivicoltore o frantoiano che sia, veri ed unici responsabili della qualità del prodotto finale ed in grado di garantire quella dell'oliva. Indipendentemente dal territorio di raccolta. Ma questo è un altro discorso...

roberto fazzi

29 giugno 2014 ore 20:42

Onestamente non mi fido nemmeno di DOP e IGP, certificazioni veicolate attraverso dei bollini non numerati, non univoci, potenzialmente replicabili all'infinito. Per me non sono certezza di qualità nemmeno queste certificazioni. Non parliamo poi della qualità derivante dal (presunto) legame con il territorio. Un esempio: In Toscana (4% della produzione nazionale) sono presenti 325 molitori e 721 imbottigliatori.
In Puglia (37% della produzione nazionale) sono presenti 163 molitori e 140 imbottigliatori. Dati Coldiretti.