Editoriali 07/04/2017

Troppo gossip nel mondo dell'olio d'oliva italiano

Si parla solo di nuovi impianti, senza mai citare quelli vecchi. Li buttiamo a mare? Un tecnico è completo se oltre ai grandi progetti di nuovi impianti riesce a far ripartire la produzione delle vecchie olivete. Il pensiero dell'agronoma Fiammetta Nizzi Griffi


E’ decisamente stimolante constatare quanto interesse c’è per l’olivo e l’olio e quanti colleghi o amici sentono il bisogno di scrivere i loro punti di vista su i vari argomenti.
Mi viene di dire grazie!
Grazie perché da ciò che leggo o dagli scambi di idee avute in occasioni di convegni o eventi legati a premi e concorsi, emerge chiaramente che siamo in tanti a voler far ripartire il nostro oliveto italiano.
Consentitemi quindi di “buttarmi a capofitto” in questo piacevole mare di pensieri ed opinioni con un contributo (spero!) sul tema del “che fare?” perché si accenda sul serio la macchina produttiva dell’olio made in Italy.
Non abbiamo più il tempo di tergiversare ed il fatto che nel 2016 siamo scesi sotto le 200mila tonnellate di produzione nazionale ne è la conferma.

Dobbiamo tornare quindi sull’oramai vecchio tema della “nuova olivicoltura” che periodicamente si riaffaccia in occasione di disastri ambientali (vedi gelate varie) od eventi scandalisti, occasioni nelle quali arrivano nuove proposte tecniche più o meno bizzarre, che sono promosse come la panacea di tutti i mali.

Oggi ancora non abbiamo molte certezze, la strada da percorrere non è così chiara come invece lo è, in altre filiere fruttifere ed i modelli agronomici proposti sono serviti prevalentemente ad acquisire consapevolezza su cosa non deve essere fatto se vogliamo rilanciare la nostra olivicoltura. Parte dei problemi che venivano denunciati negli anni ’50 (scarsa produttività, elevato numero di ore di lavoro per ettaro, alternanza di produzione, etc…) sono ancora quelli dell’oggi e, salvo qualche raro esempio di olivicoltore illuminato, siamo ancora fermi.

Perché?

Forse perché l’olivo nella realtà non si comporta come previsto dal modello teorico?

Forse perché invece di olivo dovremmo parlare di olivi, con varietà che hanno differenti comportamenti ed esigenze? Forse perché ancora in olivicoltura non è chiaro cosa sia il clone e poco si sa, in generale, su gli effetti dei portainnesti in relazione ai differenti terreni?

Da un lato fa male vedere come questo settore, un tempo all’avanguardia dal punto di vista scientifico e dell’evoluzione delle conoscenze, abbia perso il suo ruolo nel mondo produttivo ed abbia oggi una connotazione legata più al gossip, al pettegolezzo, che non al vero valore che merita e dall’altro è grande lo stimolo per dimostrare che questa pianta con i suoi vari tipi di olio ha le potenzialità per riconquistare dignità e giusta remunerazione per chi si impegna seriamente.

A mio avviso tutto ciò può essere raggiunto attraverso due strade, il rinnovamento o rinascimento da un lato ed il restauro dall’altro. Non posso accettare e soprattutto non voglio credere che per portare reddito alla nostra olivicoltura si debba per forza parlare soltanto di nuovi impianti.

Questi sono fondamentali e già lavoro e lavoriamo in questa direzione, ciascuno con le proprie esperienze e le proprie idee, ma dove vorrei soffermare l’attenzione è proprio sul nostro vecchio, obsoleto e sofferente patrimonio olivicolo.

Ecco quindi che consentitemi di “dire la mia” su entrambi gli argomenti.

Parto dal più facile…… i nuovi impianti.

Personalmente credo che si è tecnici seri, quando si propongono modelli di nuova olivicoltura provati in campo prima di realizzarli in casa degli imprenditori/investitori, con varietà che rispondono agli obiettivi prefissati, senza pregiudizi ma in totale trasparenza, e se si conoscono bene i costi di gestione e soprattutto si fanno bene i conti sulle ore di manodopera necessarie alla conduzione nella fase di allevamento e poi in quella ordinaria, alla fine non è difficile fare un buon lavoro e raggiungere i risultati. L’importante è essere arrivati tutti insieme a capire dagli insuccessi storici del passato che per fare una vera e nuova olivicoltura non si possono più proporre “vestiti fatti in serie” ma solo “abiti su misura” e che ogni azienda, ogni realtà produttiva e soprattutto ogni imprenditore olivicoltore ha le sue esigenze che i tecnici devono saper interpretare e tradurre.

Non ho fatto alcun riferimento agli aspetti pratici con cui si possono impostare in nuovi oliveti che, magari in un'altra occasione se mi verrà concessa, sarò lieta di esprimere.
Ci tenevo a condividere una riflessione generale per stemperare la tensione che avverto e che non ha ragione di esistere se siamo consapevoli di avere tutti il medesimo obiettivo, obiettivo che non si deve limitare al nostro successo professionale, alla sola soddisfazione del singolo, ma anche e soprattutto al bene collettivo di ritornare ad avere in Italia più ettari olivetati e maggiori produzioni totali.

Per questo dobbiamo rimboccarci le maniche! Il tempo è scaduto! Ci dobbiamo giocare l’ultima chance per la nostra olivicoltura.

….Ed ora l’aspetto più difficile……la vecchia olivicoltura!
Cosa ne facciamo? Buttiamo via tutto? Impensabile!

Anche se le esigenze di oggi non sono certamente quelle della vita contadina di un tempo ed anche se abbiamo chiaro che molte zone olivicole collinari non hanno i requisiti per essere mantenute tali perché si scontrano con le logiche economiche attuali, sono convinta che se questa olivicoltura è arrivata fino a noi vuol dire che un motivo c’è, un valore ce lo aveva ed è nostro dovere riscoprirlo.

In passato non si manteneva in vita a tutti i costi un individuo se non rispondeva alle esigenze produttive o qualitative di chi viveva soltanto dei prodotti della terra e per questo ho un grande rispetto di tutto ciò che trovo nei vecchi impianti e prima di decidere se è il caso o meno di procedere alla loro sostituzione con nuove olivete, analizzo con grande attenzione cosa è presente ed in che condizioni è arrivato fino a noi.

I vecchi impianti di olivo devono essere visti come il nostro libro-guida per il tanto auspicato rinnovo e nello stesso tempo devono essere considerati come la “pagella” che riporta il giudizio sulla nostra preparazione culturale e tecnica.

Di questo sono profondamente convinta!

Un tecnico è completo se oltre ai grandi progetti di nuovi impianti riesce a far ripartire la produzione delle vecchie olivete.

Dopo, e solo dopo, si potrà valutare la convenienza o meno a mantenere in piedi un vecchio impianto, convenienza che deve essere legata soltanto ai conti economici che potranno essere analizzati solo quando avremo recuperato la giusta produttività come quantità di olive ed olio che si aveva un tempo.

Oggi le vecchie olivete non producono quanto potrebbero perché non sono correttamente coltivate, anzi non sono coltivate per niente!

E’ qui che ci dobbiamo misurare per poi andare a fare le cose più semplici! E’ qui che dobbiamo applicare i sani principi dell’agronomia, quelli per una corretta tecnica di potatura, sapere quando e come intervenire con apporti nutrizionali, etc.

Se ancora oggi siamo circondati da esempi di potatura “orribile” finalizzati solo a mortificare le piante, per non parlare di lavorazioni con estirpatore tipo morgan su terreni argillosi non in tempera (non asciutti), o trinciature delle erbe quando queste sono già alte e secche e niente concimazione o se va bene quando avanza qualcosa da altre colture aziendali, come possiamo credere di riuscire a gestire nuovi impianti a densità decisamente più elevata che richiedono molta più attenzione e cura?

Quante teste ha l’agricoltore? Come è possibile trovare, ad esempio nei vigneti, alta tecnologia, attenzione e tempestività negli interventi, e poi negli oliveti della stessa azienda abbandono e/o gestione “avanza tempo”?
La testa dell’agricoltore è la stessa o no?

Per fortuna qualche esempio in contro tendenza c’è, ed i risultati possono essere visibili a tutti.
In Toscana alcune aziende con cui ho l’onore di collaborare hanno creduto e scommesso anche su i loro impianti più vecchi e ora sono note per l’alta qualità che raggiungono e per le soddisfazioni confermate anche i molti concorsi.

Il semplice fatto di aver effettuato interventi seri propri di chi è frutticoltore e non “hobbista” ha consentito di vedere una risposta delle piante e dell’unità oliveto decisamente sorprendente.

E’ chiaro che poi ciascuno potrà trarre le proprie conclusioni sulla realtà in cui opera, ma fin tanto che le nostre piante non tornano a produrre il doppio delle olive che raccogliamo oggi, ogni riflessione non è ne seria ne tanto meno utile!

La ripartenza della macchina produttiva dalla olivete storiche ha un costo comprensivo di tutti gli interventi necessari, che potrà variare da 10 a 15 euro a pianta in relazione alle condizioni iniziali dei terreni, dell’equilibrio idrogeologico (spesso non funzionano più i fossi ed i dreni realizzati dai nostri predecessori) ed infine della piante (ma queste sono le più semplici da recuperare se non hanno tronchi troppo compromessi!)

Dopo questa startup è ovviamente necessario non abbassare più la guardia, ma il mantenimento della coltivazione sarà impostato su costi decisamente più contenuti che andranno ad incidere in misura minore in virtù di una maggiore produzione di olio.

Per concludere questo mio modesto contributo, spero che arrivi un messaggio positivo, di stimolo a cercare di canalizzare forze, esperienze e contributi verso una pianta che merita non solo per il paesaggio che crea (questo è ribadito sempre in tutte le occasioni!) ma anche perché se ben condotta è una coltura che può essere mantenuta con un basso numero di ore per ettaro di lavoro e con un redditività alta per l’impegno e l’investimento che richiede.

di Fiammetta Nizzi Griffi

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Commenti 2

alessandro vujovic
alessandro vujovic
09 aprile 2017 ore 14:07

E se il paesaggio tosco-umbro- marchigiano, che meglio conosco, senza escludere altre regioni, oppure quegli olivi centenari della puglia, che sembrano sculture viventi, fossero classificati come patrimonio dell'UNESCO? E se in quest'ottica si beneficiasse dei contributi comunitari per recuperare i territori abbandonati, nel contempo dare lavoro ai giovani in questo ambito che ci rende invidiabile da tutto il mondo? Sono d'accordo che va aumentata la produzione ma non credo ad ogni costo, il paesaggio e l'ambiente con cui interagiamo ha un valore inestimabile. A volte qualche amico mi ha invitato in quei agriturismi sperduti tra le colline e boschi che d'estate sono strapieni di stranieri e tante volte ho pensato che passare molto tempo in quei luoghi fosse una grande noia. Poi parlando con loro ho capito che leggere un libro all'aperto, passeggiare nei boschi, prendere il sole al bordo di una piscina si rigeneravano e riuscivano a sentire quei profumi, quei rumori che la città non offre. Allora se quell'ambiente ti rigerera, ha una funzione terapeutica perchè ti rimette in moto i bioritmi fisiologici che la vita di città non ti può dare anzi, ti altera diventando causa di molte malattie psicosomatiche come la gastrite, colite, malattie dermatologiche...dovremmo ricuperare questi ambienti e paesaggi unici

Lorenzo Melozzi
Lorenzo Melozzi
08 aprile 2017 ore 10:55

Concordo in tutto su quanto esposto, se posso pero dare il mio contributo credo che senza un vero ricambio generazionale sarà difficile riuscire a cambiare le teste, ed ahimè la terra costa ancora troppo per far si che ci sia questo ricambio, anche se questo vale per tutta la nostra agricoltura.
E’ vero che in un vigneto c’è più professionalità ma è anche vero che la gente è disposta a pagare 10 euro una bottiglia per una cena ma difficilmente riesce a spenderne 10 in olio buono, a ciò si aggiunge anche la grande distribuzione che a mio avviso rema contro, che accadrebbe se tutti i supermercati vendessero quasi esclusivamente vini a 2/3 euro alla bottiglia? Quanto ci metterebbe il mercato del vino a risentirne in produzioni, qualità e guadagni? E quanto a sua volta queste aziende ora piene di professionalità inizierebbero a ridurre e contrarre i costi? Forse se riuscissimo già a togliere l'olio come prodotto civetta nella GDO, questo sarebbe un bel vantaggio per tutti i produttori.