Mondo
Tensione per i dazi del 15% sull'olio di oliva negli Stati Uniti

Nonostante le pressione degli stessi industriali dell'olio americani, al momento i dazi di Trump sull'olio di oliva vengono confermati al 15%. Una pressione non insostenibile ma certo un danno per il settore oleario nazionale
25 agosto 2025 | 11:00 | C. S.
La firma della dichiarazione congiunta, che ha messo nero su bianco l'accordo politico raggiunto il 27 luglio in Scozia dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente americano Donald Trump, è stata un duro colpo per le imprese dell'olio di oliva italiano: l'intesa definisce un tetto massimo del 15% per la gran parte delle esportazioni europee verso gli States, compreso l'extravergine.
Un "compromesso al ribasso", per il presidente della Copagri Tommaso Battista, che genera un clima di profonda insoddisfazione nel settore "per l'agroalimentare in generale, per il vino, il pecorino e per l'olio d'oliva, in particolare" dice Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare.
Tuttavia i dazi al 15% sono da considerarsi ancora sostenibili, a preoccupare di più sono i rischi legati alla debolezza del dollaro e dell'inflazione proprio a causa dei dazi. Per l'Italia, gli Stati Uniti sono un mercato fondamentale. A livello mondiale, infatti, rappresentano il maggior acquirente di olio d'oliva: per rispondere alla domanda dei consumatori americani, sempre più attenti alla salute, sono obbligati a importare il 95% dell'olio d'oliva di cui hanno bisogno. "Proprio le qualità salutistiche dell'olio d'oliva dovrebbero essere riconosciute dagli States, inserendo questa spremuta di benessere nella lista dei prodotti esenti dai dazi", osserva Anna Cane, presidente del Gruppo olio d'oliva di Assitol, sottolineando che gli States sono anche il secondo consumatore al mondo di questo prodotto, con una media di circa 370mila tonnellate l'anno. "Entro il 2030 potrebbero superare addirittura i consumi dell'Italia".
Gli Usa rappresentano il principale mercato extra-Ue per l'agroalimentare italiano, con un valore che nel 2024 ha sfiorato gli 8 miliardi di euro. E se il prodotto più colpito sarà il vino, prima voce dell'export, che secondo la Coldiretti subirà dazi per un impatto di oltre 290 milioni, (cifra che rischia di salire ulteriormente in base all'andamento del dollaro), subito dopo c'è l'olio extravergine di oliva, dove i dazi porteranno un costo aggiuntivo superiore a 140 milioni.
A preoccupare, per Coldiretti e Filiera Italia, è il trend registrato nei primi tre mesi di applicazione dei dazi aggiuntivi al 10%, che hanno inciso negativamente sull'export agroalimentare italiano verso gli Usa. A giugno le vendite di cibo Made in Italy in America hanno segnato un calo del 2,9% in valore, secondo un'analisi Coldiretti su dati Istat del commercio estero.
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