Italia
L'Italia fuori dal sistema internazionale dell'olio di oliva
Acquistati da Deoleo 100 milioni di euro di olio di oliva italiano ma “solo perché non ce n’era altro”, afferma il presidente Ignacio Silva. Gli altri Paesi del bacino del Mediterraneo hanno saputo creare politiche settoriali mirate: Tunisia, Marocco, Egitto e Turchia stanno crescendo
19 febbraio 2025 | 16:00 | Giosetta Ciuffa
Riconquistare posizioni a livello internazionale e attivare una strategia nazionale unica lungimirante con risorse dedicate: è il messaggio del settore olivicolo emerso oggi al convegno di Confagricoltura e Unapol a Roma, a Palazzo della Valle, “Olio di oliva: dalla tradizione al futuro. Prospettive per l’olivicoltura italiana”.
Che il settore non se la passi benissimo è cosa nota, ma forse passa inosservata ai non addetti ai lavori, per l’atavica capacità italiana di “tirare avanti” e riuscire a cavarsela a prescindere da tutto. Ma ormai tra cambiamenti climatici, invecchiamento degli olivi (il 61% ha densità inferiore a 144 piante/ha e quasi il 50% oltre 50 anni di età mentre solo l’1.5% ha più di 400 piante per ettaro) e degli olivicoltori (cosa quest’ultima che, se si rivela essere un cambio di mentalità, è in realtà positiva) e abbandono degli oliveti, la situazione generale si sta pian piano facendo più preoccupante. E non importa che questo scenario riguardi soprattutto le micro-aziende olivicole che hanno meno strumenti per affrontare queste difficoltà: la crisi è generalizzata e questa frammentarietà si riflette sulle politiche di settore; e se si ascolta Deoleo, sono stati 100 i milioni in euro di olio italiano comprati in Italia ma “solo perché non ce n’era altro”, afferma il presidente Ignacio Silva. Si osteggia il superintensivo (ma anche l’intensivo) - e l’orografia italiana certo non aiuta – in nome di una biodiversità che all’atto pratico sta nei campi catalogo, osserva il prof. dell’università di Bari Salvatore Camposeo, con la contraddizione che, se in frantoio si vuole tutto modernissimo, in campo però nulla deve cambiare (come certe gabbie normative ancora in vigore: il riferimento è all’abbattimento degli olivi). L’urgenza è razionalizzare, anche le dop e igp “nane” che non ce la fanno a produrre di più. E Walter Placida sottolinea l’esigenza di distinguere le istanze di produzione e paesaggistiche, altrimenti si continua a erodere il sistema produttivo per esigenze legate a ambiente e paesaggio.
“Abbiamo un quadro italiano fatto di luci e ombre e occorre ripensare alla filiera produttiva, – ha affermato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti - con investimenti concreti e senza far prevalere la visione ideologica. Se l’impresa è orientata al mercato, c’è bisogno di grande professionalità, perché altrimenti l’Italia perderà questa partita. Sul fronte internazionale il 73% della produzione è in mano a 5 Paesi: Spagna, Turchia, Tunisia, Grecia e Italia, ultima in questa classifica. Gli altri Paesi del bacino del Mediterraneo hanno saputo creare politiche settoriali mirate: Tunisia, Marocco, Egitto e Turchia stanno crescendo in maniera esponenziale. Non possiamo permetterci di stare a guardare”. A riguardo il sottosegretario al Masaf Patrizio la Pietra ha annunciato la prossima convocazione del Tavolo Olio, per il quale “si sta lavorando alla definizione delle linee guida, in modo da essere immediatamente operativi, e a un’unica interprofessione che coinvolga tutti gli attori della filiera”.
Occorre aumentare la produttività, rendere la gestione dell’oliveto economicamente più sostenibile e al contempo favorire azioni di rinnovamento degli impianti produttivi con modelli moderni che consentano di accrescere la capacità competitiva, come gli impianti ad alta densità da implementare senza pregiudizi per varietà.
Infine, ma non ultime, la formazione e la valorizzazione del prodotto, a iniziare dalle scuole e dalla ristorazione. Osserva Anna Cane come si dia poco valore a qualcosa che non si paga o si paga poco, e l’olio è qualcosa che si consuma per tradizione, non perché lo si conosca. “Manca una scuola di formazione per le professioni dell’extravergine, si pensi per esempio che all’estero frantoiani e blend master sono come minimo laureati in Agraria o in Ingegneria”.
“Oggi abbiamo ribadito il nostro impegno nel rafforzare la collaborazione con Confagricoltura, - ha affermato Tommaso Loiodice, presidente Unapol - confermando l’importanza di unire le forze per affrontare le criticità del settore olivicolo. L’eccessiva frammentazione delle aziende e la necessità di garantire un valore equo all’olio extravergine italiano sono sfide che richiedono visione e cooperazione. Formazione, innovazione e adeguamento alle nuove tecnologie sono le chiavi per dare slancio a un comparto storico, ma bisognoso di rinnovamento. Insieme, Unapol e Confagricoltura possono offrire risposte concrete per il futuro dell’olivicoltura italiana”.
“L’olivicoltura non è solo un settore agricolo, ma un pilastro strategico per l’intero Paese, con ricadute significative non solo sull’economia rurale, ma anche sulla salute pubblica, sul turismo e sulla formazione. È quindi fondamentale un dialogo sinergico tra i diversi ministeri, affinché si riconosca il valore trasversale di questo comparto e si adottino politiche adeguate a valorizzarne il ruolo sia a livello nazionale che internazionale.”
Nel 2023, dei 500 mln dell’ammodernamento macchine, 100 erano destinati ai frantoi; anche qui poca sincronia: per un frantoio nuovo ci vuole quasi un milione, quindi ci si rende conto di quanto poche queste risorse fossero. “I frantoiani non sono stati ascoltati perché stanziati solo per la sostituzione di macchine – commenta il presidente di Assofrantoi Paolo Mariani - ma serve una filiera organizzata perché le microstrutture il famoso ettaro per azienda non ci fanno competere più”.
Il colosso spagnolo Deoleo, per voce di Silva, ci mette poco a commentare lo scenario, e lo fa con affermazioni abbastanza lapidarie: in Spagna oggi si compra olio di qualità a 6.5 euro, ieri a Roma 9.5 euro per l’olio 100% italiano. E allora il primo tema per la categoria è la volatilità: non si conoscono quantità né prezzi, e non basta appellarsi alla legge della domanda e dell’offerta, perché questa non può spiegare il settore. Sui 9 euro di oggi per l’evo italiano, va ricordato che l’olio in Spagna viene da allevamenti intensivi e superintensivi: “si possono senz’altro fare delle cose, ma certe cose non si possono cambiare”. Altro tema è quello del valore verso volume. Se c’è molto si paga di meno e viceversa; ma alla fine al consumatore cosa importa delle piogge quando è in cassa?
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