Italia
Miglioramento genetico o tecnologia per l'agricoltura del futuro?
De novo domestication e rewilding, secondo agronomi e genetisti, sono due armi fondamentali per affrontare le sfide della produzione primaria di cibo nei prossimi decenni
08 febbraio 2023 | C. S.
De novo domestication è l’ultima tendenza nello sviluppo di nuove varietà e specie vegetali coltivate, insieme al suo opposto, la rewilding. Da esse, e della prima in particolare, passa buona parte del futuro delle nuove tecniche di coltura, a partire dalle vertical farm. Ma non tutti sono d’accordo, e puntano invece sulla tecnologia. Questo confronto costituisce un argomento fondamentale per le conferenze di NovelFarm.
Quasi tutte le colture oggi in uso sono state addomesticate nel corso degli ultimi 13.000 anni. I nostri antenati hanno selezionato alcune piante selvatiche, usando vari metodi e hanno prodotto varietà anche molto diverse. Essenzialmente, i tratti selezionati sono stati la produttività e la qualità, e più recentemente anche la semplicità di raccolta a discapito della capacità di competere con altre specie, di resistere ai predatori e di diffondersi nell’ambiente. Curiosamente, i geni che governano questi tratti sono gli stessi o molto simili in quasi tutte le piante coltivate, tant’è che è stata coniata la definizione di sindrome da domesticazione per indicare la presenza contemporanea dei tratti selezionati.
De novo domestication e rewilding, secondo gli agronomi e i genetisti, sono due armi fondamentali per affrontare le sfide della produzione primaria di cibo in un mondo a popolazione crescente e con scarsità di nuove terre da mettere a coltura, senza distruggere ulteriormente gli habitat. Con la prima è possibile, attraverso le NBT (New Breeding Techniques), partire di nuovo dalle forme selvatiche dello colture attuali o di altre specie strettamente imparentate, andando ad agire sul complesso dei geni della domesticazione e non toccando altri geni che esprimono qualità interessanti, per esempio la resistenza a parassiti o a stress ambientali. Con la seconda si fa il contrario: si parte dalla varietà coltivata e si riattivano i geni delle varietà selvatiche che servono (un esempio è la resistenza al sale nell’acqua).
Resta comunque la possibilità di attivare geni, o disattivarne altri, che codificano proprietà interessanti. Per esempio, avere agrumi che producono una maggior quantità di antiossidanti.
Se si passa al vertical farming, ci troviamo di fronte ad un ambiente di coltivazione nuovo: assenza di suolo, fertilizzazione e irrigazione integrate, controllo totale sulle condizioni ambientali, struttura multipiano ad alta densità. Ma anche maggiori requisiti in conto capitale e di consumo di energia. Diversi scienziati e operatori ritengono che questa diversità con il campo aperto, ma anche con la serra low-tech classica, richieda varietà vegetali che si adattino e ne valorizzino appieno le possibilità. Diverse esperienze sono state già fatte: un team di ricercatori statunitensi ha usato la tecnica CRISPR-CAS9 per cambiare l’espressione di alcuni geni del pomodoro a grappolo in modo che i frutti crescano vicini, in modo simile all’uva. In questo modo le piante sono più compatte e la raccolta è più semplice. Modifiche simili sono già state effettuate con metodi tradizionali. La differenza è che con le NBT si passa da decenni a giorni.
Altri scienziati e operatori pensano invece che la coltivazione delle varietà attuali possa essere effettuata in vertical farming in modo già più produttivo ed economico dell’attuale, puntando sulla tecnologia. Esempi: ottimizzazione dell’illuminazione, fertirrigazione di precisione, robot di raccolta, monitoraggio con IA, eccetera. Per esempio, a NovelFarm verrà presentata la soluzione di una società tedesca che invece di immergere le radici nell’acqua o spruzzarle una per una (aeroponica) crea una nube di goccioline piccolissime che avvolge le piante. Questa nebbioponica (fogponics) costa meno e offre benefici di termoregolazione dell’ambiente di coltura. Un altro caso è quello della fotosintesi artificiale. L’anno scorso un team di studiosi ha fatto una scoperta interessante. Usando un’apparecchiatura alimentata da pannelli fotovoltaici, ha sintetizzato l’acetato. Questo è la prima sostanza intermedia che le piante produce nella catena della fotosintesi. I vegetali nutriti con l’acetato crescono etc. crescono normalmente anche nella totale oscurità. Quindi una vertical farm potrebbe non essere illuminata e produrre ugualmente. Il problema è che i vegetali sarebbero bianchi o comunque molto sbiaditi rispetto al colore naturale, perché i geni della colorazione sono attivati dalla luce. Nulla vieta di giungere ad un compromesso: luce sufficiente a ottenere il colore, per il resto del tempo buio pesto.
Forse le due impostazioni, modifico le piante-immetto tecnologia, non sono in contrasto. Esattamente come avvenuto con il grano, dove la riduzione dell’altezza è stata introdotta per facilitare la raccolta meccanica. Tornando all’esempio del pomodoro-uva, un robot di raccolta sarebbe ugualmente, se non di più, avvantaggiato di un rispetto un umano e in più potrebbe arrampicarsi su più livelli in una spazio ristrettissimo in modo più rapido e sicuro.
Se ne parlerà con l’intervento di alcuni dei maggiori esperti del settore a NovelFarm, l’unica manifestazione del Sud Europa interamente dedicata alle coltivazioni fuorisuolo e al vertical farming. L’evento si svolge il 15 e 16 febbraio a Pordenone Fiere.
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