Economia

Italia leader nella produzione di cibi biologici ma la sfida è ridurre i prezzi

Nella maggior parte dei paesi europei il canale di vendita del biologico è la grande distribuzione, ma il caso italiano è diverso, un mercato con grandi margini di crescita

21 giugno 2008 | T N

“Una crescita costante guidata da Oceania e Europa, con l’Italia che si attesta come uno dei principali produttori bio”. E’ lo stato del mercato globale del biologico presentato da Helga Willer, ricercatrice della Fibl, il prestigioso istituto svizzero di ricerca sull’agricoltura biologica, al Congresso mondiale di Modena. Oltre 31 milioni di ettari coltivati a biologico, con l’Australia in cima alla classifica (più di 11 milioni di ettari) e un giro d’affari da 26 miliardi di euro: queste in breve le cifre del mondo bio a fine 2006. L’Italia è il primo paese europeo per produzione e il quinto nella classifica mondiale. Il Belpaese è anche il primo al mondo per la coltivazione di grano, olive e uva biologici, e ha da tempo superato il milione di ettari coltivati “secondo natura”. Ma se l’Italia è leader nella produzione, lo stesso non accade per il consumo di prodotti bio, che pur essendo in crescita rimane lontano dai livelli raggiunti in paesi come Gran Bretagna e Germania. “Nella maggior parte dei paesi europei – precisa Gerald Hermann, presidente di Ifoam –, il canale di vendita del biologico è la grande distribuzione, ma il caso italiano è diverso”. “I motori del consumo italiano di biologico sono altri – spiega Fabio Lunati di Nomisma –: i negozi specializzati, la vendita diretta da parte dei contadini e le forniture per mense scolastiche e aziendali coprono l’80% delle vendite”. Il mercato nazionale ha grandi margini di crescita, insomma, e le esportazioni rimangono il canale principale per il bio “made in Italy”.
Tutti i trend relativi ai consumi bio sono comunque in crescita, e i consumatori di dicono disposti a spendere di più per prodotti buoni, equi e sani. Ma per ampliare il mercato e conquistare la grande distribuzione, gli agricoltori biologici devono garantire una buona quantità di produzione. “Senza questa garanzia – spiega Jan Kees Vis, rappresentante di Unilever, multinazionale a cui fanno capo marchi come Knorr e Cornetto – un gruppo come il nostro può puntare molto poco sul biologico, perché non possiamo proporre ai clienti prodotti con prezzi più alti rispetto ai nostri brand tradizionali”. Aumentare la produzione e ridurre i prezzi sono le sfide per il futuro, dunque, “ma altre prospettive di crescita – aggiunge Gerald Hermann – possono arrivare da nuovi settori in via di espansione, come i fiori biologici o gli alimenti per animali naturali”.
La crescita del mercato occidentale avviene anche a beneficio dei paesi in via di sviluppo. “In queste nazioni – spiega Pascal Liù della Fao – il 95% della produzione biologica è destinata alle esportazioni verso Europa e Nord America, con volumi di vendita triplicati negli ultimi dieci anni”. Si tratta di risultati importanti, che tramite il commercio equo e solidale hanno permesso a molti agricoltori di sopravvivere, crescere e in alcuni casi diventare imprenditori. “Ma dev’essere chiaro – aggiunge Lukas Kilcher della Fibl – che il commercio equo e solidale è una soluzione temporanea”. L’obiettivo del mondo biologico infatti è molto più ambizioso. Lo spiega bene Wolfgang Sachs, coordinatore del progetto su globalizzazione e sostenibilità del Wuppertal Institute: “Il libero mercato non sarà mai a favore dei più poveri, e finché l’agricoltura verrà considerata solo da un punto di vista economico saranno sempre i più forti a vincere”. Proprio a Modena Sachs lancia la sua proposta al mondo biologico: “Bisogna mettere un freno al commercio senza regole e restituire ai governi nazionali il diritto di decidere sulle importazioni e di sostenere l’agricoltura locale”. L’agricoltura biologica e sostenibile, con i suoi elevati standard di qualità, può essere lo strumento giusto per cambiare le cose.

Fonte: Agenda

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