Economia

L’agricoltura italiana è in salute? Aumenta l’export ma la competitività è a rischio

Accesso al mercato, burocrazia e manodopera rappresentano le più forti problematiche nella gestione aziendale. Viene anche chiesto anche un credito a misura di impresa agricola

16 febbraio 2008 | Graziano Alderighi

In una scala di priorità per le imprese, i principali fattori che vengono percepiti come strategici per la competitività e che contemporaneamente però scontano rilevanti problematiche in termini di “gestione” in ambito aziendale risultano essere l’accesso al mercato finale, gli adempimenti amministrativi e la manodopera.

Quello della semplificazione burocratica rappresenta un’annosa questione irrisolta.
Basti infatti pensare che oltre il 65% delle cinquecento imprese intervistate concorda sul fatto che gli adempimenti burocratici rappresentano un problema da risolvere e una percentuale addirittura superiore ritiene inoltre che negli ultimi dieci anni le problematiche aziendali collegate a tali adempimenti siano addirittura peggiorate.

L’accesso al mercato finale viene considerato un problema da risolvere per oltre il 60% degli intervistati: l’incapacità di andare oltre il mercato locale e la delega a terzi della propria produzione rappresentano i motivi principali che non permettono a queste imprese di collocare in maniera ottimale e redditizia i propri prodotti.

Sul fronte della manodopera sono i costi elevati, la formazione professionale non adeguata e l’incapacità di reperire forza lavoro con tempestività le principali problematiche segnalate dalle imprese ed anche in questo caso solo il 16% ritiene che nell’ultimo decennio si siano fatti passi in avanti per migliorare la situazione.

In relazione ai mezzi tecnici, per le aziende intervistate gli agrofarmaci e i fertilizzanti non rientrano tra i fattori ritenuti con più criticità di gestione, mentre la loro utilità è percepita elevata per la produttività. Si pensi, a tale proposito, che dall’indagine svolta è emerso che in caso di non utilizzo degli agrofarmaci, il 39% delle imprese rischierebbe di perdere dal 25% al 50% della propria produzione annuale; un altro 22% rischierebbe un calo dal 50% al 75% mentre un altro 13% potrebbe vedere andato perduto l’intero raccolto (tra questi ultimi rientrano principalmente le imprese vitivinicole, frutticole e floricole).

Per quanto riguarda l'accesso al credito, questo rappresenta un problema da risolvere per circa la metà del campione intervistato. Le principali problematiche collegate, oltre alla questione dei tassi percepiti troppo elevati, sono riconducibili alla mancanza di comprensione da parte degli istituti di credito delle peculiarità del settore agricolo nonché all'inesistenza di strumenti di credito bancario adeguati alle esigenze dell'impresa.

Nel caso invece delle assicurazioni, circa l’80% delle imprese lo ritiene un fattore strategico di competitività che non sembra presentare rilevanti criticità nella gestione aziendale. Chi invece rileva problemi, evidenzia principalmente costi e franchigie troppo elevate.

Un occhio sull’export
Aumenta la quota mondiale dell’Italia nell’export agroalimentare, grazie a forti riposizionamenti qualitativi, in particolare nel vino.
Ma nell’ortofrutta il confronto con la Spagna ci vede perdenti.
Nel corso degli ultimi dieci anni, la quota dell’Italia nel commercio agroalimentare mondiale è passata dal 2,8% al 3,1%, posizionando il nostro paese al decimo posto nella graduatoria internazionale dei Paesi esportatori.
La crescita nei valori dei nostri prodotti agroalimentari esportati è del +72%, contro una media mondiale che si è fermata al 58% ma l’export di Brasile, Cina, Germania e Spagna è aumentato a ritmi superiori a quelli italiani. Chi va peggio sono sicuramente gli Stati Uniti che dal 1997 al 2006 hanno calato la loro quota dal 13% a meno del 10%.

Vino, ortofrutta fresca e trasformata rappresentano i principali comparti dell’export agroalimentare italiano. Ognuno di questi però evidenzia posizionamenti competitivi differenti, soprattutto dal punto di vista del prezzo.

Nel caso del vino, che pesa per oltre il 14% sull’export agroalimentare italiano, il prezzo medio di vendita all’estero è inferiore a quello mondiale, sostenuto in particolare dalle esportazioni francesi (trainate dallo Champagne). Ma gli ultimi dieci anni evidenziano un rilevante riposizionamento qualitativo dei nostri vini. Se infatti nel 1995 la quota di vino italiano che veniva esportato ad un prezzo superiore a quello medio mondiale rappresentava solamente il 17% dei quantitativi venduti oltre frontiera, nel 2006 tale quota è arrivata al 27%. La Francia, all’opposto, è calata dal 50% al 46%.

Diverso il caso dell’ortofrutta fresca. Il confronto con il nostro principale concorrente, la Spagna, ci vede perdenti per molti dei principali prodotti. Nel caso di pesche e nettarine, grazie ad un incremento decennale delle esportazioni superiore al 300%, la Spagna è passata da un export del prodotto da 119 a 478 milioni di euro, contro i nostri 308 milioni di euro del 2006 (+4% rispetto al 1995). E se anche nelle fragole contrapponiamo un prezzo medio all’export più elevato, ciò non basta a tamponare la perdita di quota mondiale in atto da diversi anni e che ha portato ad una diminuzione delle vendite oltre confine di circa il 50% rispetto ad una crescita messa a segno dalla Spagna del +34%.
Per non parlare degli agrumi, dove in virtù di una maggior organizzazione commerciale e logistica, la Spagna continua a sottrarci quote di mercato. Ai nostri 115 milioni di euro di export agrumicolo (+7% rispetto a dieci anni fa), la Spagna contrappone oggi 2.187 milioni di euro (+32% tra il 1995 e il 2006).

Risultati economici
Nell’ultimo triennio, il 36,5% del campione intervistato ha registrato incrementi nel fatturato, a fronte di un 28% che invece evidenzia risultati economici in calo. L’incidenza delle aziende che mostrano performance in crescita aumentano sensibilmente tra quelle che realizzano la vendita con marchio proprio (46,3%) o che realizzano produzioni certificate (44%). In merito invece al canale di commercializzazione, le differenze risultano significative solamente nel caso di chi esporta direttamente (53%).
In merito alle previsioni future per i prossimi tre anni, la percentuale di aziende che si dichiara ottimista (con fatturato in crescita) cresce fino al 42,7%. (rispetto ad un 19% pessimista). La presenza di un marchio proprio o collettivo così come la possibilità di esportare, di attivare contratti con la GDO o di vendere direttamente favorisce tale ottimismo (55%).

Fonte: Nomisma - XI Rapporto sull'agricoltura italiana

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