Economia

Molte ombre sul futuro dell'export vitivinicolo italiano

Se gli Stati Uniti hanno toccato il massimo storico di importazioni di vino, la Cina ha registrato una flessione per il secondo anno consecutivo. Brexit e Coronavirus gettano ombre sul futuro dei commerci enoici internazionali

06 marzo 2020 | C. S.

Gli ultimi dati diffusi da Wine Monitor, l’Osservatorio di Nomisma dedicato al mercato vinicolo, forniscono una panoramica dell’andamento delle importazioni totali di vino registrate nel 2019.

Nei mercati terzi, le importazioni sono cresciute quasi ovunque, fatta eccezione per Cina, Hong Kong e Australia. Contestualmente, quelle dall’Italia hanno registrato tendenze simili nei medesimi mercati, salvo evidenziare una leggera riduzione nel caso del Brasile.

Sempre nel 2019, gli Stati Uniti hanno toccato il massimo storico in termini di importazioni (per un valore di 5,55 miliardi di euro), probabilmente sostenuto da un accumulo di scorte in previsione dell’applicazione dei dazi sui vini europei (esclusi quelli italiani) collegati al contenzioso «Airbus-Boeing». A dimostrazione di questa ipotesi, i dati rilevano una chiusura annuale positiva per la Francia (+6% nell’import di vini fermi), con un calo del 36% nell’ultimo bimestre (vale a dire nel periodo di applicazione dei dazi) rispetto allo stesso periodo del 2018.
La Cina invece, per il secondo anno consecutivo, ha subito una sensibile flessione (arrivando quasi a -10%). A farne le spese è stata soprattutto la Francia (-31%), a testimonianza di come la riduzione sia collegata principalmente al rallentamento economico del Paese. Un rallentamento che, a fronte dell’epidemia del Coronavirus, non migliorerà tanto facilmente ed è probabile che rimandi la ripresa delle importazioni alla seconda metà del 2020.

L’export del vino italiano nel 2019
L’Italia ha chiuso l’anno con una crescita nelle esportazioni del 2,9% rispetto al 2018 (si tratta di una stima Nomisma, l’effettiva chiusura si saprà a metà marzo con il rilascio dei dati Istat). Nel 2019, siamo cresciuti negli Stati Uniti (+4,2% l’import di vino italiano), in Svizzera (+3,8), in Russia (+12%) e in Francia (+6%). Quest’ultimo si sta rivelando un mercato molto interessante per l’Italia per le importazioni, a gran sorpresa, di Prosecco.

Se nel Regno Unito e in Norvegia non si sono registrati cambiamenti significativi rispetto l’anno precedente, due piccoli nei sono invece rappresentati dalla Germania, dove le importazioni di vino italiano si sono ridotte del 3,6%, e dalla Cina, mercato in cui l’Italia, nonostante abbia ridotto le perdite, registra un calo del -1,9%.

Tuttavia, il 2019 ha messo in risalto due importanti opportunità per i nostri prodotti: il Canada e il Giappone, due paesi con i quali vige un accordo di libero scambio con l’Unione europea. Qui, nell’ultimo anno, infatti, le nostre importazioni sono cresciute molto: +15,6% in Giappone e +5,4% in Canada. Una dimostrazione del fatto che dove i commerci sono agevolati è molto più semplice trarne guadagno. D’altronde, la crescita in Giappone non è un dato ad esclusivo appannaggio dell’Italia: la Francia ha, infatti, aumentato le importazioni del 15%, mentre la Spagna addirittura del 24%.

Le potenzialità e le incognite

Come rileva Denis Pantini, Responsabile di Wine Monitor, sulle sorti delle esportazioni del vino gravitano alcune incognite.
La prima proviene da oltreoceano e risiede nella lista di prodotti europei colpiti dai dazi americani che il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America aggiorna ogni sei mesi. Finora possiamo dire di averla scampata: è notizia di qualche giorno fa che l’ultima revisione della lista, risalente alla metà di febbraio, non abbia fortunatamente contemplato il vino italiano (a differenza di quanto avvenuto invece per altri prodotti alimentari). Tuttavia, nulla vieta che tra 180 giorni le cose possano cambiare e che anche ai vini italiani venga riservato lo stesso trattamento toccato a quelli francesi dall’ottobre scorso.

Per l’altra grande incognita dobbiamo spostarci in Oriente, e precisamente in Cina.
Questa rappresenta per l’Italia un mercato marginale: la quota dei nostri vini sull’import del Paese pesa per poco più del 6%, a differenza di quelli australiani divenuti oggi leader con un’incidenza di oltre il 35% e che, grazie anche all’accordo di libero scambio vigente tra Cina e Australia, sono riusciti a scalzare il predominio dei vini francesi che durava praticamente da quando la Repubblica Popolare ha iniziato ad importare vini. Il colosso orientale, però, proviene da due anni di flessione economica, sui quali adesso si innesta pesantemente il fenomeno del Coronavirus che, tra i suoi numerosi effetti negativi, annovera anche il blocco della produzione e delle importazioni.

Altri due punti interrogativi provengono da due paesi importanti per l’export del vino italiano: il Regno Unito e la Germania. Il primo vive l’incognita della Brexit, dalla quale potrebbero derivare nuovi dazi a seguito di mancati accordi doganali che preoccupano i nostri produttori. La Germania, invece, nel 2019 ha registrato il Pil più basso degli ultimi sei anni; inoltre, al pericolo di una flessione economica si associa il fatto che, rispetto ad altri popoli, i tedeschi non sono di manica larga nell’acquisto dei vini (il prezzo medio al litro di un vino fermo in bottiglia si aggira attorno a 3,18 €, vale a dire il valore più basso tra i top mercati mondiali)

In sintesi, fenomeni come il Coronavirus in Cina o incognite come la revisione quadrimestrale della lista dei prodotti toccati dai dazi americani, rendono imprevedibile l’andamento del 2020 in termini di scambi commerciali di vino.

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