Economia

Compro questo o quest’altro? Il consumatore arbitro del commercio

Dal piccolo al grande, passate al setaccio le diverse forme di distribuzione. E’ proprio vero che le botteghe di una volta saranno spazzate via dai supermarket? La soggettività del consumatore è cruciale per capire quale formula vincerà a lungo termine. Nel frattempo la nostra economia si disgrega e quella estera si rafforza. C’è un problema d’investimenti

05 novembre 2011 | Paola Cerana

Ogni volta che viaggio in treno tra Milano e Roma, ammiro con immutato stupore il paesaggio che si offre ai miei occhi. Un susseguirsi di coltivazioni, sempre più rigogliose, via via che si scende, asseconda l’avvicendarsi poetico delle stagioni. Risaie, vigneti, ulivi, girasoli e piante da frutta d’ogni specie s’alternano e animano la terra, trasformandola in una tavolozza variopinta di preziose bontà. Una volta consegnata alla città, però, mi accorgo che non è sempre facile recuperare sulla tavola quei prodotti buoni e belli che la nostra terra generosamente offre. I piccoli negozi alimentari sono sempre più rari, mentre nei grandi centri commerciali la poesia agreste sembra spegnersi sotto la massiccia coltre dell’offerta uniforme di prodotti spesso spenti e anonimi.

Perché? E’ proprio vero che le invitanti botteghe di una volta, dalle fragranze e dai profumi inimitabili, saranno spazzate via da giganteschi iper, super, mega e ultra – market?

Big&Small - il Convegno sul Commercio e il Marketing di filiera” tenutosi il 27 e 28 Ottobre presso l’Hotel Cavalieri di Roma, chiarisce con la sua quarta edizione questi interrogativi, illuminando ben oltre le mie ingenue perplessità.

I temi affrontati quest’anno riguardano le diverse forme di distribuzione al consumo: dal ‘piccolo – cioè, dalla tradizionale vendita al dettaglio – al ‘grande’, ovvero alle molteplici forme di vendita su larga scala sempre più diversificate nella struttura e nella logica di offerta. L’attenzione è rivolta sia all’interno, cioè al mercato nazionale, sia all’esterno, ovvero all’esigenza d’internazionalizzazione dei prodotti made in Italy e alle loro reti distributive. Dentro questo scenario macroscopico, fatto di numeri e statistiche, si snoda un intricato sottobosco psicologico e sociologico in costante mutamento, invisibile ma strategico, che è importante saper interpretare.

Comprendere il tempo cui si appartiene è sempre difficile. Basta ricordare la mattina del 14 luglio del 1789, quando re Luigi XVI scriveva sul suo diario semplicemente: “rien!” E’ difficile soprattutto in un periodo di crisi e di turbolenze economico-finanziarie come quello che stiamo attraversando a livello planetario. E’ a causa di questo difficile contesto che i relatori del Convegno hanno affrontato i vari argomenti settoriali con un piglio e una visione inevitabilmente connessi al quadro politico ed economico in cui il sistema produttivo, commerciale e di marketing deve e dovrà agire nei prossimi anni. L’identikit del consumatore, i comportamenti economici delle famiglie, il rapporto tra generazioni, la relazione tra desideri e bisogni, la ciclicità dei fenomeni sociali e culturali, sono alcune delle sfumature apparentemente impercettibili che, in realtà, dettano le regole e guidano il cambiamento.

Sapere cogliere e gestire questa grammatica psicologica è di vitale importanza per il successo strategico della filiera, non solo di quella agroalimentare ma di tutti i settori. Altrimenti, sarebbe come osservare la radiografia di un organo e azzardare una diagnosi senza capirne il funzionamento. Perciò, “Big&Small”, ha dato grande rilievo anche alla microstruttura portante di tutto il sistema emergente, attraverso gli interventi d’interlocutori esperti e da sempre attenti ai cambiamenti economici e sociali, in Italia, in Europa e nel Mondo.

E’ Carmine Fotina, giornalista del Sole 24 Ore e moderatore del dibattito, a dare inizio al  Convegno, presentando i numerosi relatori e le principali tematiche affrontate. Un inizio che già dalle prime battute s’annuncia fitto di provocazioni su cui riflettere.

L’Assessore alle Attività Produttive di Roma Capitale, Davide Bordoni, saluta la folta platea con l’orgoglio d’essere il portavoce di una città straordinaria, simbolo del crocevia tra passato e futuro, culla ideale dove promuovere idee innovative che tutelino contemporaneamente tradizione e progresso. Cosa non certo facile, tuttavia possibile, soprattutto quando si ama la propria città e le sue possenti radici. L’Assessore Bordoni porta alcuni esempi pratici di investimenti pensati con rispetto verso i cittadini e l’urbanistica. “Occorre rendere più agili i tempi per i rilasci delle autorizzazioni ad aprire attività commerciali, cosa che si sta verificando finalmente, grazie anche alle pratiche on line, che stanno rendendo sempre più trasparente la burocrazia e più flessibile la capacità amministrativa della città. Inoltre, accanto ai vivaci mercati rionali, due grandi iniziative quali il Centro Agroalimentare sulla Tiburtina e il nuovo Centro Ingrosso Fiori, daranno una ventata d’ossigeno a Roma Capitale.” Non a caso Big&Small si tiene proprio qui, nella Capitale dell’Arte, della Storia ma anche del buon gusto, dell’accoglienza e del commercio.”

Mauro Loy, Amministratore Unico della Methos - la Società di consulenza di marketing che dal 2008 organizza la Convention – conferma l’importanza d’intrecciare passato e futuro con intelligenza, per non bruciare un presente ancora barcollante. Loy spiega, con animata passione, che Big&Small è una vera e propria fiera delle idee, voluta per favorire il confronto e la voglia di fare, volta quindi a sfidare il clima di grigiosità e d’incertezza degli ultimi anni. In questa centrifuga di idee, occorre interpretare gli scenari, dialogare con le sinergie in divenire, sforzandosi di dare indirizzi concreti e flessibili su un futuro ancora nebuloso. Dopo un altro anno d’intensi cambiamenti che stanno tenendo ancora tutti gli Italiani con il fiato sospeso, è difficile capire dove stiamo andando. Non esistono cambiamenti repentini e Loy somiglia al capitano di una grande nave quando ribadisce che le svolte partono da lontano, che bisogna saper cogliere e sfruttare le minime oscillazioni per poter mantenere la rotta senza farsi travolgere dalla tempesta. “L’internazionalizzazione del sistema economico e commerciale italiano è determinante per affrontare il futuro senza svantaggi. Le leve strategiche scelte finora non sono state adatte per favorire la nostra economia. I dati dimostrano che l’Italia può crescere ma come? Bisogna superare la dimensione di uno stato assistenzialista, che ci confina alla dimensione di una società nell’oblio. Le idee non hanno colore politico, sono vive e libere. E per fare le idee, ci vogliono giovani coraggiosi, affamati e folli. E’ stata interrotta la filiera umana, dove i padri insegnavano ai figli. Questo è un errore, perché non si è capito che i giovani possono e devono continuare il lavoro dei padri, nutriti di esperienza e animati di nuovi propositi.”

Il dialogo tra sapere e innovazione, va ripreso, dunque. E’ necessario conoscere i consumatori mondiali, non limitandoci più a seguire solo la scia americana. Loy ricorda con un amaro sorriso un articolo letto su un quotidiano, che s’intitolava più o meno così: “Se Steve Jobs fosse ‘Stefano Lavori’ e fosse nato a Napoli …” sarebbero forse apparse come miraggi le sue fantascientifiche invenzioni? Forse. Eppure, la fantascienza può divenire realtà, evidentemente. “Il punto è che molti, purtroppo, non vedono l’orgoglio italiano. Ci vogliono nuovi modelli del made in Italy, perché soprattutto nelle economie emergenti possiamo dimostrare la qualità e avere la possibilità di crescere ancora”. Non solo nell’agroalimentare, pensiamo anche al Tessile-Moda, al Design, alla Meccanica, tutti campi in cui l’Italia è pioniera dell’eccellenza. Servono strumenti che incoraggino la realizzazione delle idee: la nuova anagrafe digitale, l’iper-connessione e i social network rappresentano la base per materializzare un’osmosi tra generazioni, dove chi sa, insegna e chi può, apprende e costruisce il futuro. Loy, prima di concludere, ruba ad Einstein un pensiero molto pertinente: “Senza crisi non ci sono sfide. La crisi può essere una benedizione perché porta progressi, la tragedia è nel non voler lottare per superarla.” Ecco, allora, che deve vincere non un’Italia immobile e paralizzata da uno Stato soffocante ma un’Italia propositiva e innovativa, rispettosa delle regole ma libera da fardelli asfissianti e mortiferi. Il ‘piccolo’ è una grande opportunità e può diventare ‘grande’, anche all’estero. Perché il piccolo è agile e versatile. La logica, quindi, non è quella del grande che supera il piccolo, bensì quella del più veloce che supera il più lento: più veloce a leggere i cambiamenti e investire in idee alternative.“L’attuale incertezza fa si che il consumatore voglia essere rassicurato in ogni momento della scelta e della spesa: il consumatore chiede prossimità, strutture ridotte, assortimenti meno ampi ma di qualità certa.”

L’esortazione con cui Loy conclude è questa: l’internazionalizzazione è indispensabile e va affrontata facendo tesoro del patrimonio storico e culturale di cui l’Italia è ricca. “Diamo il via a una rivoluzione delle idee: senza sfide non ci sono rivoluzioni, senza rivoluzioni non ci sono progressi. Le forze mature si devono legare a quelle giovani e la materia viva e grezza va plasmata dalla mano lungimirante dell’esperienza, per liberare energia dalla forza dei cromosomi. Questo lo si può fare con la moltitudine delle piccole aziende, grazie ai giovani arguti e caparbi, capaci di trasformare un Stato assistenzialista in uno Stato leggero e dinamico, al servizio dei cittadini e delle imprese. Solo chi saprà trasformare la nuvola di idee in tempesta di innovazioni ce la farà!”

Luigi Scarola, portavoce di Nomisma, conferma con il rigore di tabelle e dati statistici il panorama dipinto con passione da Mauro Loy. I dati numerici fotografano un mondo economico in crescita, a tratti vertiginosa, ma non in Italia purtroppo. I Paesi asiatici e sudamericani ci hanno superato da tempo. I Bric e i Mikt continuano a investire in tecnologie occidentali: Brasile, Russia, India, Cina, Messico, Indonesia, Korea del Sud e Turchia ottengono brevetti e investono a casa nostra, sulle nostre spalle. Così, la nostra economia si disgrega, mentre quella estera si rafforza. “C’è un problema d’investimenti in Italia rispetto al resto dell’Europa e del mondo intero. Mentre Francia e Germania hanno investito anche in momenti di grave crisi (la Francia ha puntato sull’istruzione, per esempio, la Germania sull’industria dell’automobile), l’Italia è rimasta ferma, risultando ultima quasi in tutti i campi di investimento, dal ’95 fino ad oggi.” Scarola conferma, con l’inequivocabile chiarezza dei numeri, l’esigenza appassionata di Loy: si deve investire in ricerca, istruzione e cultura per nutrire un gregge di laureati affamati non solo di lavoro ma anche di tanta voglia di inventare, di creare e di fare del futuro il proprio Futuro.

Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, scava ancora più in profondità, analizzando con minuzia le dinamiche psicologiche del consumatore, attore e spettatore di questo scenario in costante movimento. “La crisi non modifica omogeneamente la società, a livello macro ci sono differenziazioni interne sempre più importanti che vanno raccolte per capire dove si sta andando. Pensiamo all’area della Salute e delle Assicurazioni, per esempio: sembra che la dimensione psicologica e sociale della protezione, nel senso più ampio, vinca su quella della diversione. Il consumo non è più una libertà ma diventa coerente con quei bisogni di base senza la soddisfazione dei quali ogni altro diletto perde senso. Si spende per le medicine, per la badante, per assicurare l’auto, la casa, e questo se da un lato aumenta il senso di responsabilità, dall’altro rivela il clima preoccupato e difensivo dello stile di vita. Ci copriamo le spalle per domani, perché oggi abbiamo paura.” Questo è evidente nei comportamenti dei consumatori.

La crisi, tuttavia, non fossilizza tutto in maniera uniforme ma agisce diversificando a seconda di aree territoriali e sociali. “Ci sono hotel e ristoranti costosissimi sempre affollati, c’è una realtà turistica, un terziario romano per esempio, più ricco della media, che gozzoviglia accanto a una realtà che invece arranca tutt’attorno. C’è una differenziazione enorme dentro la medesima città, non solo a Roma ma anche in Veneto o in Piemonte, dove la compressione del consumo è legata alla decisione di vivere in borghi e in comuni che consentono una vita benestante con livelli di consumo modesti, ma dove la voglia di futuro è pari a zero perché non ci sono stimoli per cambiare.” De Rita tocca senza remore un tasto scottante: gran parte dei consumi più visibili vengono da chi non paga le tasse, da cittadini quindi invisibili. Questo si vede dai suv, dalle belle case e da ville impossibili, insomma, da una ricchezza sregolata diretta da un modo di vivere sregolato. La crisi aumenta le distanze, modifica i rapporti già asimmetrici tra fasce di età, di gruppi sociali e territoriali. E chi fa politica deve tenerne conto. “L’evasione fiscale è un male mortale da combattere. Non è misurabile, però c’è e rompe gli equilibri di simmetria tra chi può e chi non può.” Tutto questo a livello macroscopico. A livello microscopico, poi, emerge il primato della scelta. “Compro questo o quest’altro? Il consumatore è diventato un arbitro del commercio, sceglie una cosa o l’altra non tutte e due. Il suo comportamento non è prevedibile ora, è un duello implicito tra un consumatore arbitro e un consumatore offerente, specialmente nei settori che non hanno l’onda lunga. Se non si ha la fortuna di vendere un I-Phone, non si sta sicuri, si diventa una specie di venditore ambulante e chi passa forse compra forse no, patteggiando magari persino sul prezzo.”

La soggettività del consumatore è cruciale per capire, dunque, quale formula vincerà a lungo termine: il discount, il supermarket, l’ipermercato o il negozio sotto casa? Il consumatore non è vittima della crisi ma un protagonista, insiste De Rita. Un protagonista costretto all’infedeltà e al nomadismo negli acquisti guidati dal down-grading. “Il segreto sta nel desiderio. L’offerta negli ultimi anni è stata un’offerta alla cieca, come quando al bambino si regalano giocattoli con cui non gli piace giocare, perché non li ha desiderati e non ci giocherà mai. L’offerta sovrabbondante ha distrutto il desiderio (Marcuse lo insegnava, dicendo che l’offerta sarà il suicidio del desiderio). Il consumatore, non sapendo più con certezza cosa desidera, è incapace di esprimere il desiderio, quindi i suoi comportamenti diventano incomprensibili all’offerente che, non sapendo cosa fare, resta disorientato. Il cervello degli offerenti si deve, quindi, ingegnare sempre di più, altrimenti si resta fermi in un mondo apparentemente fermo che invece sta galoppando!”

Camillo De Berardinis, Presidente di Adm, conferma che il cambiamento dei consumi è dato da fattori contingenti e strutturali. La crisi continua a cambiare la società: calano le reti distributive ma aumentano le aree di vendita e questo paradosso incentiva la concorrenza sleale. In Italia la distribuzione è sempre stata frammentata e si è finora orientata verso la concentrazione delle quantità. Tuttavia, la formula dell’ipermercato è in forte difficoltà: la superficie degli spazi di vendita è aumentata ma le vendite non sono in linea con le attese. Ciò sta comportando un cambiamento: sembra essere finita l’epoca delle grandi strutture. I supermarket si stanno rimpicciolendo, non solo in Italia ma anche in Francia, la patria per eccellenza degli ipermercati. Oggi, si cerca un po’ ovunque di inserirsi meglio nel contesto economico, urbanistico e sociale. “La competitività di prezzo e le promozioni erano i jolly degli ipermercati ma ora non valgono più, ciò che prima era attrattivo ora non lo è più. La marca commerciale sta erodendo quote anche alla marca industriale: il consumatore vuole risparmiare, cerca il giusto rapporto qualità-prezzo. Interessante è notare che c’è una differenza tra aree di consumo, per esempio tra Nord e Sud Italia: nel Sud la diffusione dei discount è maggiore e più resistente rispetto quella dei supermarket. E ancora: nei centri urbani, si ha una maggior espansione degli store medio-piccoli. Poi emerge la logica dei cosiddetti Category killers, i market specializzati (come Trony) che si stanno espandendo sempre più, avvelenando il mercato, impoverendo il carrello e stravolgendo anche l’assetto urbano e della circolazione. Sono tutte sfide con cui dobbiamo misurarci.” La crisi della distribuzione grava anche sulle spalle delle imprese ma qualcosa si può fare: lavorare sull’efficienza, sulla marginalità dei punti di vendita e, soprattutto, andare incontro alle esigenze e alle preferenze del consumatore. Occorre sorprendere il consumatore con l’innovazione, conquistando la sua fiducia. “In Francia, per esempio, esiste una nuova formula di distribuzione, il “Drive”: si ordina da casa la spesa un’ora prima di ritirarla, si parte dopo aver stampato l’ordine con un codice, si giunge alla struttura di riferimento, si passa il codice a barre davanti a un distributore e un operatore consegna la spesa ordinata.” Che questo piaccia o no è soggettivo, resta comunque un esempio di conversione di vecchie strutture distributive in nuove logiche. Perché innovazione significa partorire idee inesistenti e formule alternative. Ma significa anche organizzazione: saper costruire partnership e aprire i mercati alla concorrenza. De Berardinis conclude, ribadendo che “la liberalizzazione è indispensabile: significa lasciar decidere all’imprenditore la propria politica, compresi gli orari e i tempi dei turni di lavoro. L’imprenditore commerciale deve essere lasciato libero di assecondare al meglio i bisogni dei suoi clienti, da città e città, da zona a zona, e questa libertà di scelta non costa nulla allo Stato.”

Albino Russo, direttore del Centro Studi ANCC-Coop, esordisce con un tono particolarmente preoccupato. Punta la sua analisi su un soggetto chiave dell’economia del Paese: la famiglia. “Le famiglie sono il soggetto silente della società italiana, eppure rappresentano la colonna portante dell’economia. La solidità finanziaria delle famiglie non è in discussione, perché se i cittadini sono forse pessimi elettori e pagatori di tasse, sono però ottimi gestori del budget familiare. Se la solidità è indiscutibile, il risparmio però cede sempre più, causando un progressivo deteriorarsi della capacità di accumulare ricchezza. Siamo in svantaggio rispetto a Francia, Germania e Spagna: in Italia non si risparmia perché non si guadagna e non si guadagna perché la crescita del Paese è pressoché zero.” Le famiglie hanno una percezione piuttosto chiara e omogenea circa il proprio reddito: riconoscono un netto arretramento del tenore di vita dei figli rispetto ai genitori ma mentre la maggioranza degli Europei crede in un‘inversione positiva, i giovani italiani non mostrano fiducia nell’istruzione e nel superamento dello stallo. “I dati di casa nostra svelano sfiducia e poco interesse. Nei prossimi due anni l’Italia rischia di tornare in recessione! La timida crescita sembra essersi spenta sotto le misure politico-economiche di quest’estate. La variazione negativa dei consumi delle famiglie sembra scaricarsi sui ‘beni belli e buoni’: calano le spese per gli alimentari, il vestiario e le calzature, restano invece alti i consumi per le abitazioni, la sanità e le comunicazioni. E’ il consumatore a scegliere se gli viene data la possibilità! Non può certo risparmiare sulle medicine o sul mutuo o sul carburante. Esiste, oltretutto, il rischio di un’ulteriore pressione fiscale e questo porterebbe il mercato ancora più in crisi, perché aumenterebbe il risparmio delle famiglie e la concentrazione di spese dirette ai consumi di sicurezza.” Insomma, un circolo vizioso asfissiante, secondo lo scenario pessimistico tracciato da Russo, perché le abitudini difensive apprese sono dure a morire e sembrano destinate a durare a lungo, condizionando negativamente anche i prezzi.

L’onorevole Antonio Martino sdrammatizza quest’inquietante panorama, raccontando un divertente aneddoto su Mark Twain, per poi proseguire l’analisi psicologica proposta da De Rita. “L’Italia è un Paese vecchio. Tutto ciò che smette di crescere, comincia a marcire e l’Italia oggi cresce meno dell’errore statistico: praticamente zero. Come sbloccare questo stallo? Il destino della democrazia e del benessere è nella demografia: quando il tasso di fertilità scende a 1,5 o meno, un paese muore. Se l’Italia cresce demograficamente, oggi, è quasi esclusivamente per via dell’immigrazione. Tuttavia, ciò non basta, l’Italia resta la Nazione più vecchia d’Europa e, paradossalmente, non incoraggia l’attività produttiva degli ultrasessantenni, cioè della maggior parte della popolazione. Il nostro Governo, da un lato spinge a rinunciare al lavoro chi ancora potrebbe lavorare o, peggio, costringe a lavorare in nero. Dall’altro lato, non sviluppa una sana istruzione: noi sforniamo un gregge di fanatici ignoranti.”

L’Onorevole Martino azzarda un confronto con la Svizzera: “Paese più giovane, ricco e istruito, che pur non avendo risorse naturali proprie ha saputo crescere mantenendo una spesa pubblica bassa. Al contrario della Svezia, che pur partendo da presupposti simili, s’è impantanata a causa di dissennate spese pubbliche. Fino a che la spesa pubblica di un Paese resta sotto il 40 %, il progresso è possibile, altrimenti lo sviluppo non può essere. In Italia, l’eccessiva invadenza dello Stato nella spesa pubblica è un male e aggrava una demografia già sofferente.” Siamo prossimi a una svolta epocale? L’Onorevole mette in guardia: “Gli ultimi trent’anni sono stati entusiasmanti, c’è stata una vera e propria marcia delle libertà e le previsioni fatte negli anni ottanta si sono avverate, quando sembravano fantascienza. La globalizzazione è un fenomeno antico, non è nato oggi, e la ricchezza si è diffusa più rapidamente della povertà proprio grazie alla globalizzazione. In Italia ora ci vogliono riforme, non manovre. I tagli non servono perché agiscono su un sistema predefinito che ora va cambiato. Qualche esempio concreto? Ecco: bisogna sbaraccare il teatro del servizio sanitario, inefficiente, corrotto e costosissimo; diminuire gli enti locali inutili; alzare i salari; migliorare la qualità dei prodotti mediocri, perché la mediocrità non fa progresso.” Così conclude l’Onorevole Martino, con un esplicito riferimento all’Olio, accenno che mette d’accordo tutta la platea, strappando un caloroso applauso.

Valerio Valla, Founding Partner dello Studio Valla, torna a fotografare il sistema economico dall’alto, in particolare dall’ottica dei finanziamenti europei. “Immaginiamo un ‘Condominio Europa’ in cui ogni Paese paga una quota per entrare. C’è chi paga di più e chi meno, a seconda del ruolo e delle carte in gioco. I dati raccolti tramite Simest e Sace dimostrano che i fondi necessari allo sviluppo e all’internazionalizzazione ci sono ma si deve avere la libertà di usarli e la capacità di usarli bene.”

Pierpaolo Celeste, esperto d’internazionalizzazione, conferma i dati di Valla: ci sono nuove opportunità per le imprese italiane ma occorre che ci sia la libertà di attuarle e sfruttarle. “Come ex ICE ma soprattutto come cittadino, vorrei che ci fosse un Organo che si occupasse della presentazione del nostro paese all’estero. A seconda del Paese cui l’Italia si rivolge, quest’Organo ideale dovrebbe giocare una carta o l’altra: turismo, tessile, alimentari, beni di lusso, tutte risorse potenziali del nostro Paese. Questo dovrebbe avvenire indipendentemente dai singoli ministeri e dalle bandiere politiche!” Le slides mostrano dati confortanti lungo tutta la filiera c’è il 92,7 % di piccole e medie imprese che impiega un terzo di tutta la manodopera nazionale. Sono imprese che vanno bene, che sanno gestire il loro budget, esportando più di quanto importano, nonostante i pesanti costi energetici che rendono il saldo spesso negativo. Le piccole e medie imprese si affacciano sempre più a una moltitudine di mercati, non solo a uno. E qui, Celeste si riallaccia al discorso di De Rita, confermando che i numeri restano senza senso se non si comprendono i meccanismi psicologici sottesi alle statistiche. “I retailers dovrebbero suggerire desideri: la funzione di branding è fondamentale oggi per segmentare il prodotto, cucirlo su misura sul cliente, offrendogli qualità e personalità. Pensate che nei momenti di maggiore crisi, s’è visto che i consumatori maschili compravano più cravatte. Sembra una sciocchezza, eppure conoscere queste informazioni è indispensabile per poter restare sul mercato da vincenti anche in momenti di crisi.”

A chiudere il lungo e partecipato dibattito è l’Onorevole Antonio Tajani, Vice Presidente della Commissione Europea. Le provocazioni dei relatori sono state decise e unanimi e l’Onorevole pare voler raccogliere la sfida. “Senza assunzione di responsabilità politica, dalla crisi non si esce. Bisogna utilizzare la crisi per cambiare il sistema italiano ed europeo. La finanza non crea ricchezza, la ridistribuisce. Oggi, serve una terza rivoluzione industriale. Presto proporremo un’iniziativa per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane. La ricetta innovativa si chiama ‘cluster’: la realizzazione, cioè, di distretti tra aree produttive, distributive e formative, che coinvolgano la sinergia tra industria, città, formazione e istruzione. La ricerca tout court non basta, ci vuole una ricerca applicata e specializzata. Le prospettive politiche economiche del 2014 innoveranno anche la ricerca. Dobbiamo essere ottimisti per uscire dalla crisi.”

 Nella giornata successiva, Big&Small affronta nel dettaglio i rapporti all’interno della filiera agroalimentare e abbozza i nuovi scenari di innovazione e sviluppo. Il dato che balza immediatamente agli occhi è un calo numerico, per quanto esiguo, nel numero dei punti vendita dedicati alla grande distribuzione. Erano 29.482 nel 2010, sono 29.011 oggi. In particolare si blocca la crescita degli iper (vale a dire quelli con una superficie superiore ai 4.500 mq) che passano da una percentuale del 19% del 2001 al 19,5% attuale; mentre crescono i medi (quelli tra i 1.500 e i 4.500 mq) che nello stesso decennio passano dal 20,5% al 27,3%.

“In particolare – spiega Giuseppe Girelli, Sales Manager della Nielsen – è da registrare nell’ultimo biennio la crescita esponenziale dei superstores e dei drusg speciality. Vale a dire quei punti vendita in grado di intercettare in modo più agile i desiderata dei consumatori.”

E quali sono i desideri del cliente della grande distribuzione? Trovare quello che cerca, trovarlo rapidamente e riscontrare un ottimo rapporto qualità-prezzo. Passano in secondo piano esigenze un tempo fondamentali, come il parcheggio, mentre si danno per ovvie strategie promozionali come il classico 2x3. Sale il desiderio di una completezza di servizi anche ancillari, la disponibilità del personale e la specializzazione. Amatissime le private labels, che garantiscono qualità, e la profondità dell’offerta. Lo scaffale vuoto rimane uno spauracchio che inibisce anche il cliente più affezionato.

“E questo spiega il successo di alcuni format per ora utilizzati soprattutto all’estero, come i mini killer, gli specialist del food and drugs, dell’etnico e del biologico: dimensioni minori ma maggior attenzione alla clientela che ama sentirsi coccolata.” E’ ciò che sottolinea Daniele Tirelli, Presidente Popai Italia e autore di un bellissimo libro: “Pensato & Mangiato” (edito da Agra Editrice), una vera e propria ‘bibbia filosofica’ del cibo nel vissuto e nell’immaginario degli Italiani del XXI secolo, raccontato in maniera saggia e gustosa. “Condensare il sapere sull’alimentazione umana è come salire su una torre per guardare il panorama sottostante. Il risultato può essere, a seconda dei casi, molto diverso” scrive Tirelli nel suo libro. E il suo contributo in chiusura di Big&Small offre una prospettiva in più per completare il variegato panorama fin qui delineato.

In conclusione, Big&Small allarga i riflettori anche verso una distribuzione specialistica e non food.“I numeri parlano chiaro – dichiara Marco Cuppini, Direttore Centro Studi Indicod-Ecr – nel 2010 il consumo in Italia di prodotti non food si è attestato intorno ai 166 miliardi di euro, con una quota che supera quindi il 50% dei consumi totali. Eppure il fatturato medio di un ipermercato nel versante non alimentare raggiunge appena il 27%. E’ un dato che fa riflettere e che molti esperti della GdO stanno analizzando con attenzione.”

Big&Small si chiude in un clima amichevole che sembra far dimenticare la parola crisi.

Tornando a Milano dopo quest’intensa full immersion culturale, ripasso con lo sguardo lo stesso panorama agreste, assaporandolo con l’usuale piacere ma anche con inaspettati pensieri. Due parole mi ronzano in particolare per la testa: “piccolo e grande”. Due parole che, improvvisamente, mi sembrano nuove e tanto più importanti del solito. Penso al loro significato in matematica, in fisica, in sociologia, in economia. Penso al nostro amato Pianeta, grande, anzi immenso fino a meno di un secolo fa, per chiunque viaggiasse o trasferisse oggetti da un punto all’altro della Terra, e che ora è diventato una specie di Villaggio globale dove masse di persone e di denaro si spostano in un batter di ciglia e si scambiano informazioni, beni e servizi con un semplice ‘click’. Il fatto è che tutto sembra diventare sempre più piccolo in questo mondo, tranne i problemi e le difficoltà. Dunque, l’ostacolo non è più la dimensione, che è diventata relativa, ma l’organizzazione, ovvero il modo di porsi di fronte alle difficoltà e ai repentini cambiamenti del contesto. Una cosa è certa: un piccolo ben organizzato può essere più flessibile e aggressivo di un grande non altrettanto pronto. Penso ai lillipuziani che, con astuzia, catturano Gulliver. Penso a Ercole che, con le sue fatiche, sconfigge un toro, un leone, un cinghiale. Ma mi chiedo: avrebbe vinto anche di fronte a mille api ben organizzate? Probabilmente no. Così, penso che tutte quelle piccole e medie aziende italiane, ben gestite e cooperanti in filiere omogenee, nonché sostenute da una forte azione di governo, di appoggio creditizio e di marchio nazionale, possano brillantemente affrontare e vincere la sfida internazionale. Ed è questa, tra le tante, la considerazione più interessante che mi è sembrato di cogliere in questo Convegno.

Torno a guardare il panorama fuori dal finestrino e d’improvviso mi libero da ogni pensiero professionale. Fuori, ritrovo l’amata campagna splendidamente colorata che mi riporta alla memoria una bella frase di Montaigne: “La Natura non è altro che una poesia enigmatica.”

Ancora mi chiedo se, per caso, non alludesse alla natura umana!

 

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vittorio salvati

05 novembre 2011 ore 10:42

Questo articolo di Paola Cerana è molto di più un resoconto di un convegno. E' un bellissimo affresco dell' avvenimento raccontato attraverso il ricordo degli argomenti trattati e il clima emotivo vissuto personalmente. Ragione ed emozione perfettamente a braccetto. Sembra quasi di essere stati con lei ad ascoltare tutti gli interventi e perfino vicino a lei sul treno mentre ripensa a quanto ascoltato nel corso del convegno. Un argomento molto interessante. Un grande articolo davvero. Complimenti!