Cultura

Ninfe o giovinetti, vivevano nel raggio oscuro della foresta

Antenati di un specie che cambia luogo, a seconda del caso e del clima, senza mai variare d’aspetto. Una prosa di Nicola Dal Falco per dare corpo e fiato all'estate

25 luglio 2009 | Nicola Dal Falco



Se un dio li fece ripiombare nel mondo vegetale, ninfe o giovinetti, fu perché la curiosità e la ritrosia, facce della stessa porta mezza aperta e mezza chiusa, li indirizzavano verso una vita d’isolamento.

Li escludevano dalla procreazione – che ha bisogno di azioni più dirette –
da un’attrazione sessuale condotta alle estreme conseguenze, a favorire l’approssimarsi del tre, cambiamento assoluto.

L’assalto, che nessun dio ha necessità di giustificare, traeva il suo diritto dal fatto inequivocabile che tutti questi giovani vivevano nel raggio oscuro della foresta, entravano e uscivano dal suo cerchio primordiale.

Nessun contatto, nessun commercio, niente crisi se non la corsa che taglia il fiato.

Un’adolescenza prolungata, trattenuta nel suo invecchiamento, nel suo ascoltarsi.

Forse, nei momenti di ozio, si univano in bande della stessa età e dello stesso sesso, ma solo per rinsaldare nell’esempio reciproco la sfida individualistica a vivere come giovani predatori, di un’ira che soddisfi pancia e pelo.

E le attenzioni di un dio, parafrasi della loro stessa irrequietezza, finivano col misurarne la solitudine, la sconfitta, ricacciandoli ben in fondo ad un universo indifferenziato, diventando capostipiti vegetali, antenati di un specie che cambia luogo, a seconda del caso e del clima, senza mai variare d’aspetto.

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