Cultura

QUANDO LE MODERNE MACERIE DIVENTANO MANUFATTI STORICI

Abbiamo il piacere di ospitare alcuni appunti e osservazioni di Massimo Rondi, dai libri catarifrangenti ai librai a rischio, dalle edicole con tanti gadget in bella mostra alla pubblicità come anima del commercio, dalla Torino dagli alberi belli, vecchi e tutti in fila alle tragiche vestali schiave del sesso

10 aprile 2004 | Massimo Rondi

LIBRI CATARINFRANGENTI E LIBRAI A RISCHIO

Ben sapevano misurare il tempo, i greci, pur senza orologi, meridiane o clessidre. Quando scrivevano "all’ora del mercato pieno" indicavano un’ora esatta ed errabonda, le dieci e mezza della mattina o giù di lì, allorché i banchi dei venditori erano al completo.

Per gli inventori della filosofia e della politica, la piazza era una cosa seria, che fosse mercato oppure agorà. Noi abbiamo reverente timore del mercato azionario e superiore condiscendenza per il mercato rionale. Assai pepati - mi dicono - i mercati à la page, ma un giretto fra i banchi della piazza sotto casa può tirare su il morale. Oasi faunistica da proteggere contro l’estinzione?

Altro il discorso degli ipermercati. Qui noi dimostriamo di avere le idee più confuse dei greci, quando facciamo di questi luoghi i veri templi della modernità. E le antiche categorie del sacro e del profano?

Se poi il discorso riguarda la carta stampata, libri e giornali, i pareri si dividono. Perché il megastore appare agli uni un sontuoso banchetto, agli altri uno squallido fast food con cibi preconfezionati e incellofanati tutti uguali. Alcuni vi si sono smarriti. Altri hanno rischiato l’indigestione (per modo di dire: la dieta libraria non conosce altra controindicazione che l’illeggibilità).

Per non smarrirsi occorre una bussola, ma anche chi possiede un buon orientamento non snobbi una guida sapiente! Un libraio esperto. Un librario di fiducia è come il sarto che conosce le tue misure e i tuoi gusti e ti cuce addosso esattamente l’abito che pensavi. Puoi rilassarti, non ti deluderà. E mai farai magra figura.

Anche i librai di questo stampo sono specie in estinzione? In estinzione forse - e mi perdonino gli amici librai, facciano gli scongiuri – in estinzione forse, protetta no. Le piccole librerie a volte reagiscono travestendosi da iperstore in miniatura, oppure servendo brioche e cappuccini. La soluzione non è questa, perché la quantità non sostituisce mai la qualità...

Già le edicole, simpatici mercati di tutte le ore, sono ormai iperstore in miniatura. Vi fanno bella mostra i gadget più svariati: profumi, cappelli, creme, dentifrici, tazzine, mutandine, posate, pantofole, saponi, sciarpe, giubbotti catarinfrangenti omologati, caramelle al cioccolato e infine enciclopedie, libri, tanti libri, e persino quotidiani che nascondono articoli in mezzo alla pubblicità.

Ma non esisteva una legge secondo la quale non era permesso al gadget di superare in valore commerciale l’oggetto giornale?

In base alla par condicio, le librerie dovrebbero poter vendere i giornali, invece una rigida normativa prevede qualità necessarie... assai accessorie. Se fosse possibile, anche i librai riuscirebbero tranquillamente a vendere libri, per di più ai prezzi appetibili e sfilacciati di un quotidiano. Ma forse con maggiore libertà, condizione ineluttabile dell’amore.

Torino, 29 marzo 2004


SPECCHIETTI PER ALLODOLE

Bella giornata, ieri, o forse non bella ma uggiosa, bianca però e iridescente come una perla. Sarà per questo che l’edicola mi sembrava singolarmente invitante: desiderio di una mattinata ancora tepida di letto, a leggere fruscianti giornali odorosi di stampa. Magari stampati a caratteri un po’ piccoli, ma gli occhiali servono pure a qualcosa, no?

E l’edicola appariva in effetti ridondante. Forse, con la sua bella mostra di gadget, era simile più a un bazar in miniatura che a un semplice chiosco, ma tant’è, i giornali in fondo c’erano. Quotidiani, periodici, gazzettini, corrieri...

"Prenda la tessera, professore…" Ohibò, giornali o raccolte punti? All’improvviso tutto il desiderio se n’è andato, il piacere si è tramutato in fastidio: non è deprimente che un quotidiano, per attirare clienti... pardon, lettori debba ricorrere ai bollini? E promettere premi dal valore esorbitante, superiore all’oggetto giornale?

Clienti. La parola mi è uscita involontariamente, per similitudine. Sarò antiquato, preferisco il fascino, magari attempato ma vero, ai lustrini appiccicati. Specchietti per allodole.

La pubblicità è l’anima del commercio, dicono. Non sapevo fosse l’anima anche dell’informazione... o forse fingevo di non sapere, come un marito tradito. Questa mattina così bianca, perfetta come una perla, mi ha reso insopportabile il barocco di plastica dell’edicola.

Come il marito di cui dicevo, mi sento tradito. Come lettore mi sento deluso. E tuttavia... non sono sposato, mi è sufficiente non comprare più il giornale...

Torino, 1 aprile 2004


KITSCH A TORINO

Mi scuso in anticipo di riprendere la parola dopo così breve tempo e di dover parlare, per giunta, di un singolare obbrobrio, deciso colà dove si puote ciò che si vuole, e già così largamente criticato.

Di solito mi schiero istintivamente dalla parte di coloro che vengono criticati, poiché non mi piacciono i linciaggi, neppur se verbali. Ma vorrei apportare qualche argomento di riflessione … e non è trascurabile che in fondo l’amministrazione provinciale dimostri di reggere le critiche con ammirevole quanto spossante indifferenza.

Atrium era anticamente la stanza "annerita" dal fumo del camino, più tardi la prima e ampia sala di una casa. Nell’atrio, recita il mio dizionario, trovavasi il letto coniugale; quivi erano esposte le immagini degli antenati. Il cuore della tradizione.

Anche gli edifici pubblici avevano un atrium, e i templi avevano un atrium: la biblioteca di Asinio Pollione, la più antica biblioteca pubblica romana, era situata nell’atrio del tempio di Vesta, ai piedi del Palatino. Il cuore della cultura.

Oggi, a Torino, il nome evoca due edifici assai discutibili, vuoi dal punto di vista estetico vuoi da quello funzionale. Nelle intenzioni degli ideatori dovrebbero rappresentare la città: strana idea, affidare questo compito a un allestimento che smentisce la tradizionale eleganza subalpina.

Qualcosa destinato a effimera vita, per giunta… ma che, se rimanesse, farebbe danno peggiore! I padiglioni fabbricati per le Esposizioni che, all’inizio del secolo scorso, celebravano Torino come città all’avanguardia, avevano almeno il pregio della leggerezza, architettonica ed economica.

Negli Atrium di piazza Solferino si organizzano presentazioni et similia. Ci sono stato anch’io (stretto). Se Pollione avesse tenuto qui le sue famose letture, invitando l’amico Virgilio, qualche poeta nuovo e Mecenate con i suoi proverbiali artisti... be’, un po’ di cultura sarebbe rimasta fuori.

Torino, 2 aprile 2004



GLI ALBERI, LE FOGLIE

Scrive Giovanni Arpino che Torino è una città in cui gli alberi sono belli e vecchi tutti in fila, non t'accorgi mai dell'ora precisa in cui mettono le foglie. Aggiungerei che forse, gli alberi, aspettano che tu sia appena passato per mettere le foglie. Possibile che sabato il Valentino, sotto una pioggerella, mi apparisse ancora invernale?

Oggi non c’è nulla di invernale, tutto è un rigoglio di primavera. Prendo un sentiero, perciò, senza badare alle cartacce e ai sacchettini di nylon di dubbia provenienza, e vado, come i viaggiatori per la "selvaggia" Italia. Intanto comincia ad imbrunire, sarà per questo che l’atmosfera mi ricorda le Notti romane del Verri? Viaggiando verso sud, si scoprono rovine.

Il fantasma di Italia ’61 aleggia attorno a un triste laghetto artificiale, che una ineffabile ruota a stella potrebbe trasformare nell’immagine del Mulino Bianco, se non fosse per un mozzicone di rotaia, anzi di "monorotaia", stile Cassandra Crossing. Ma qui non ci sono larve, né Penati né Lari, e neppure vestali antiche (ché tragiche vestali sono le schiave del sesso di Corso Unità d’Italia, immolate senza un briciolo d’onore).

Il medesimo fantasma vedo aleggiare in piazza Solferino, ma più come un infausto presagio che come uno spettro. I ruderi antichi sono a volte sinistri, ma incutono rispetto e venerazione. Le moderne macerie diventano manufatti storici solo quando non temono più né l’incuria né il ridicolo.

Ormai il sole è calato e mi affretto verso casa. La delinquenza è rimasta l’unico retaggio antico nelle metropoli del futuro.

Torino, 8 aprile 2004

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