Ambiente

Il delitto quotidiano contro il bene comune: la nostra storia, le nostre radici

La Dieta Mediterranea e gli stili di vita a cui eravamo abituati diventano le vittime sacrificali sulla via di un progresso e di uno sviluppo su cui, dopo la crisi del 2008, pesano importanti interrogativi. Ecco allora la necessità e l’urgenza di ridare all’agricoltura quel suo ruolo di centralità

11 settembre 2015 | Pasquale Di Lena

L’altro giorno a Oliveto Citra (SA), un piccolo delizioso paese che, con le sue minute case, scivola sotto l’antico Castello e guarda il fiume che sfocia tra Eboli e Paestum, il Sele, ha dato il mio personale contributo all’incontro “Dieta Maditerranea e stili di vita tradizionali”, organizzato nell’ambito della XXXI edizione del “Premio Sele d’oro Mezzogiorno”, ricco di interessanti iniziative.

Carmine Pignata, sindaco di questa Città dell’Olio (una delle ventiquattro del coordinamento campano) ha voluto presentarmi non solo come autore del libro “Agricoltura e Territorio”, uscito nel 2012 per la collana “Cibo e identità” dell’AGR Editori di Ripalimosani (Cb), ma, anche, come presidente onorario dell’ANCO (Associazione Naz.le Città dell’Oli), dandomi, così, la possibilità di iniziare il mio intervento con un saluto del Molise e della mia Larino, culla (dicembre 1994) di una realtà che oggi rappresenta oltre 350 comuni e enti associati.

La presenza di un pubblico prevalentemente di giovani mi ha dato ancor più la stimolo a parlare di territorio che, con la sua ruralità e la sua agricoltura, è tanta parte degli stili di vita tradizionali che la Dieta Mediterranea raccoglie e rappresenta e, per questo, dal 2011 riconosciuta dall’Unesco patrimonio dell’Umanità per la sua valenza culturale e sociale.
Il territorio, questo Bene Comune fondamentale, patrimonio inestimabile di risorse e di valori, sempre più vittima sacrificale di un tipo di sviluppo, che la pesante crisi, esplosa nel 2008, ha mostrato ormai decrepito, fallito.

E’ questo suo stato di fallimento e, forse, la consapevolezza che c’è sempre meno da sfruttare, che hanno incattivito ancor di più i protagonisti del crollo del sistema, che, con più violenza di prima, continuano a perseverare lungo un percorso che, se non viene fermato in tempo, va diritto verso il baratro nel momento in cui continua a divorare fette importanti della Terra, che proprio in questa settimana ha vissuta la sua Giornata.

Se è vero, com’è vero, che quest’anno, la natura ha già dato tutto quello che poteva dare il 13 di agosto, con un anticipo di sei giorni di fronte allo scorso anno, c’è da pensare che un’altra fetta di pianeta è venuto a mancare. E, se prossimamente questo accade il 30 di giugno c’è da dire, inoltre, che il giorno in cui questo succederà, dobbiamo prendere atto che l’umanità ha bisogno di un altro pianeta!

L’Amazzonia è solo un esempio (il più clamoroso), dello sperpero di risorse naturali, dei cambiamenti climatici, dei rischi che corre l’umanità.

Un processo che rischia di diventare inarrestabile se, chi è vittima della situazione, soprattutto le nuove generazioni, non si organizza e mette in piedi azioni, strategie che diano vita a una vera e propria lotta di resistenza di cui la natura, la terra ha bisogno.

E tutto questo sfracello per il denaro e il potere!

Intanto, nel mondo, ogni anno il pianeta perde 24 miliardi di tonnellate di terra fertile. Un tasso di furto di suolo fertile tra le 10 e le 40 volte superiore – come prima si diceva - alla capacità di rigenerazione. Parlo della terra, quella che dovrebbe - come dichiara l’Expo 2015 - “nutrire il pianeta”, proprio quando essa è sommersa da cemento e asfalto o scavata e trivellata. Come dire che la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra e viceversa.

Alla perdita di terreno fertile dovuto al furto di territorio, è da aggiungere la perdita di quello, ormai esaurito, sottoposto a eccessi di apporto chimico con il solo obiettivo di produrre quantità. In pratica, una perdita netta di cibo che vede il nostro Paese già in deficit del 20% il suo fabbisogno alimentare. Un dato preoccupante che può diventare presto drammatico se non si pone fine, appunto, alla perdita di suolo.

Un vero e proprio delitto contro un bene comune, che, in Italia, continua a registrare la perdita di 8 metri quadri il secondo, ciò che vuol dire che, alla fine di un anno, sparisce una superficie pari a 240.000 campi sportivi, che, nella generalità dei casi, è quella più vocata all’agricoltura di qualità.

Il 6,7% del territorio nazionale (dati 2012) è coperto da cemento e asfalto, con la pianura padana, quella dei grandi formaggi e dei salumi e insaccati speciali (prosciutto, mortadella, salumi), che ha un 16,4% del suo territorio interessato dalla cementificazione. C’è da credere che il sud è al disotto della media e questo, da fatto positivo può diventare negativo, perché il territorio è ancor più appetibile, con tanti segnali (trivellazioni, elettrodotti e gasdotti, parchi eolici, inceneritori biomasse e biogas), che stanno a dimostrare che non c’è alcun intento da parte di chi governa il Paese, di rilanciare il Meridione, ma, anzi, di affossarlo definitivamente sotto colate di cemento ed asfalto.

Tutto questo proprio quando c’è più bisogno del sud e della sua agricoltura, dei suoi paesaggi e dei suoi ambienti, della sua storia e delle sue tradizioni, per avviare quel nuovo tipo di sviluppo di cui ha bisogno il Paese. E c’è bisogno di stili di vita all’insegna della sobrietà, così come detta la Dieta Mediterranea, che tanto ci appartiene.

Ecco allora che si sente davvero la necessità e l’urgenza di ridare all’agricoltura quel suo ruolo di centralità, se si vuole assicurare al Paese il cibo di cui ha bisogno e quello che serve per rispondere alla domanda di qualità che arriva dalla nuova globalizzazione dei mercati.

Pensare al territorio, al luogo, vuol dire dare senso e forza al significato dell’origine della qualità che, sin dall’inizio di questo secolo, vede il nostro Paese primeggiare con le indicazioni geografiche, Dop e Igp.

E questo, soprattutto se si vuole liberare il futuro dai rischi di un indebitamento pericoloso per la stessa autonomia e indipendenza del Paese.

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