Ambiente 26/09/2014

I mezzadri di un tempo sarebbero stati in grado di riconoscere i padroni di oggi?

Senza nostalgia di un passato, che è stato anche lotte e sfruttamento, occorre però riflettere sul rispetto della natura e del paesaggio in un contesto in cui rischiano di diventare schiavi del potere, dell'ingordigia e del profitto. Chi si nasconde dietro le quote azionarie, i consigli di amministrazioni, le lobby?


Ho conosciuto la Toscana prim’ancora della chiusura di quel contratto agrario, la mezzadria, che l’ha modellata sotto l’aspetto sociale, economico, politico e, soprattutto, culturale.

Parlo di aspetto culturale e faccio riferimento ai protagonisti di questo contratto, durato sette secoli, che ha caratterizzato un’organizzazione dell’agricoltura della quale non sento alcuna nostalgia, anche se è da rimarcare il vuoto lasciato e non colmato da altre forme di organizzazione, in Toscana come altrove in Italia. Un aspetto che rende ancor più debole la nostra agricoltura.

Ho avuto la fortuna di conoscere gli ultimi mezzadri rimasti quelli che avevano nella mente il duro rapporto con il proprietario della fattoria, il padrone, ma anche il rapporto, l’identità con il territorio che loro avevano contribuito ad arricchire di paesaggio.

Molti di essi impegnati nelle organizzazioni sindacali e professionali; nei partiti della sinistra, in particolare nel Pci; nelle amministrazioni locali e, anche, nel Parlamento e, con la nascita delle Regione Toscana nel 1970, anche in questa nuova istituzione, da protagonisti. Numerosi i consiglieri, gli assessori e, anche, presidenti della Regione Toscana, che ricordavano la loro origine e, per tanti, la diretta esperienza di mezzadri, insieme a una gran parte dei sindaci che si sono succeduti dopo la liberazione e negli anni che hanno caratterizzato la fine del secolo scorso.

Non sono pochi quelli che, nel corso del tempo vissuto in Toscana, sono diventati i miei maestri. È così che oggi, ancor più di allora, faccio ricorso a quanto da loro ho imparato per capire la realtà segnata da padroni senza volti (diversamente da quelli con cui avevano a che fare i mezzadri), che si nascondono dietro le quote azionarie, i consigli di amministrazioni, le lobby ed altro ancora, annullando ogni elemento umano e, primo fra tutti, il cuore, con la sua dose di amore e di odio.

Padroni senza volti che ci rendono tanti don Chisciotte della Mancia contro i mulini a vento, con la impossibilità di un confronto-scontro e di una mediazione.
C’è da credere che, una volta uccisa la vecchia dialettica, hanno preso il sopravvento gli elementi peggiori del carattere dei nuovi padroni, quali il potere, l’ingordigia, il non rispetto di sé e degli altri, soprattutto della natura, che è diventata la vittima di questo loro potere assoluto e tutto per il profitto.

Padroni senza più patria, che vuol dire senza identità, spietati, il più delle volte persone al disopra di ogni sospetto, grazie a un uso guidato e spregiudicato della comunicazione.
Contro questi nuovi padroni anche i miei maestri mezzadri avrebbero avuto un attimo di sbandamento, giusto il tempo di riprendersi e ridare spazio alla voglia di cercare la soluzione giusta a cui aggrapparsi per affrontare la nuova situazione. La soluzione capace di aprire ed aprirsi a un nuovo ragionamento e renderlo punto di appoggio per ripartire.

Basta girarsi intorno per guardare e studiare bene la realtà e costruire il progetto, il sogno del futuro. In pratica, prendere consapevolezza di quel grande valore che loro avevano collaborato a modellare, il territorio, fino a renderlo con suoi paesaggi un unicum. Un territorio vincente, punto di riferimento del mondo, e, come tale, ancora più a rischio di altri se non vengono prese le giuste misure per una sua salvaguardia, tutela e valorizzazione.

Il Piano d’interesse territoriale (Pit) con valenza di piano paesaggistico, in fase di approvazione in Toscana, sembra ispirato a questa necessità e trova, stranamente, critici proprio quelli che lo dovrebbero applaudire, non foss’altro che per il coraggio avuto da chi si è fatto promotore della sua stesura e presentazione in una fase in cui il potere economico vuole essere applaudito per le capacità che ha di distruggere il territorio e, con esso, il suo paesaggio.

Ecco che il territorio vincente della Toscana, rafforzato dal piano, per il padrone di oggi, che del territorio ha bisogno più che mai per alimentare il suo profitto, può diventare un esempio pericoloso proprio nella parte in cui si vuole dare forza e continuità al rapporto agricoltura-territorio, che è tanta parte del successo del paesaggio.

E, così, là dove il paesaggio è diventato un valore aggiunto per l’impresa agricola, soprattutto vitivinicola, si trasforma in una ragione di scontro proprio da parte di chi dovrebbe appellarsi alla salvaguardia e tutela di questo paesaggio, non solo per difendere l’impresa e la centralità dell’agricoltura, ma il territorio, e, con esso, il paesaggio e il suo prezioso valore aggiunto.

In Toscana e, ancor più, nel resto dell’Italia, dove l’assalto al territorio continua con cento ettari di superficie rubati ogni giorno alla produzione di cibo per dare spazio al cemento.
Tutto questo alla vigilia della grande esposizione internazionale, Expo 2015 di Milano, che parla di “nutrire il pianeta”, e, per di più, nel momento in cui vengono messi in luce i primati che le eccellenze agroalimentari danno all’Italia. Ricordo che queste eccellenze sono tali perché devono la loro qualità al territorio e alla professionalità dei nostri produttori e trasformatori.

Lo sanno bene i produttori e trasformatori toscani che hanno dato i primi vini Doc e Docg (Dop), come pure quelli veneti o emiliano romagnoli, che si contendono il primato delle eccellenze, con la Sicilia che va recuperando posizioni per dimostrare la bellezza e la bontà del suo splendido territorio.

La Toscana può diventare davvero, con l’approvazione del piano prima citato un importante esempio per le altre regioni e, se questo succede, mettere in atto quell’inversione di tendenza di cui ha urgente bisogno il nostro Paese per ridare fiato al territorio e porre fine al saccheggio dell’unica miniera d’oro che abbiamo.

Ma, ripensando ai miei maestri mezzadri e alla lunga esperienza vissuta in Toscana, sono certo che il confronto in atto porterà questa stupenda regione a indicare la buona strada, quella sulla quale vale la pena incamminarsi.


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Commenti 2

Marino Mari
Marino Mari
28 settembre 2014 ore 07:14

L'unica cosa condivisibile di questo articolo è che l'autore non ha nessuna nostalgia del mondo dei mezzadri

Romano Satolli
Romano Satolli
27 settembre 2014 ore 19:11

L'amico Pasquale di Lena mi ha ricordato i tempi della mia giovinezza nelle Marche. Mio nonno era un proprietario terriero, aveva nove poderi, e mio padre li amministrava, registrando tutto in un suo libretto tenuto con l'elastico che teneva nella tasca della giacca. Nelle Marche i mezzadri non erano politicizzati come quelli Toscani ed umbri, forse perchè c'era un rapporto con il padrone a livello familiare, senza distanze soaciali, ma uniti nel progetto comune di ricavare la rendita dai terreni. Diversi mezzadri a loro volta divennero proprietari di terreni affidati a mezzadria, per cui erano mezzadri e padroni nello stesso tempo. Invero c'erano anche dei padroni che sfruttavano i loro mezzadri, capaci quasi di cannibalizzare i loro mezzadri, e sicuramente erano da condannare. Ma oggi, come arebbe la mezzadria, quando dietro i padroni si nasconderanno società, lobby, finanziarie, gruppi di investimento? Sicuramente molto diverso dalla mezzadria di un tempo, però rimarrebbero sicuramente una cura migliore del territorio, meno terreni incolti, meno cementificazione. Dall'altra parte ci sarebbe comunque un coinvolgimento dei lavoratori, che parteciperebbero alla rendita delle coltivazioni, e quindi maggiormente coinvolti ed interessati rispetto al semplice operaio agricolo spesso assunto stagionalmente.