Ambiente
AVERE A CUORE UN TERRITORIO E' UNA COSA SERIA. LE CRETE SENESI VANNO DIFESE
Una delle aree rurali più autentiche e incontaminate d'Italia si prestano ovviamente a essere oggetto di continui attacchi. Troppa distratta accondiscendenza, anche da parte delle pubbliche amministrazioni, non lascia scampo, ma allo scempio è necessario opporre un secco no
17 settembre 2005 | T N
Le Crete Senesi sono una delle aree rurali più autentiche, fotografate e incontaminate d'Italia. Per questo sono sotto attacco: crisi economica, bassi prezzi di immobili e terreni, cattivo gusto, distratta accondiscendenza delle pubbliche amministrazioni e una serie di leggi tanto assurde quanto compiacenti rendono possibile e legale uno scempio lento e inesorabile destinato a breve a cambiare il volto delle colline rese famose dal Buongoverno del Lorenzetti: antichi poderi trasformati in villette, capannoni agricoli che diventano condominii, borghi rurali che di notte sembrano Las Vegas.
C'è un'azione di contrasto, in un sito
Si tratta di link esterno Questo sito intende creare un movimento di pensiero e di pressione capace di sensibilizzare e mobilitare tutti gli amanti del bello e coloro che non vogliono trasformare la ruralità in un prodotto di massa.
A breve il sito sos-cretesenesi.net sarà pronto, ma il blog - importante strumento telematico - è già attivo. Fate dunque sentire la vostra voce.
Parola di Stefano e Daniela Tesi, gli ideatori dell'iniziativa.
Ecco, qui di seguito il testo di saluto. Lo riportiamo tal quale a beneficio dei lettori.
Le Crete - definite da qualcuno "il paesaggio più bello del mondo" - sono l'area del Senese che, dal dopoguerra, è rimasta culturalmente ed economicamente più marginale. Non ha conosciuto "rinascite" che al massimo non fossero l'immigrazione dei pastori sardi negli anni '60 e l'avvento della monocoltura a cereali negli anni '70. Di fatto, il tessuto rurale e il sistema degli appoderamenti è rimasto lo stesso rispetto a 100 anni fa. L'unica differenza, a parte la scomparsa di vigneti e frutteti a vantaggio del "campo", è che gran parte dei poderi non sono più abitati, ma talvolta vuoti, abbandonati e spesso ridotti a ruderi. Mantenendo intatta tuttavia la loro unità tipologica, la loro bellezza e la loro peculiarità architettonica, in un tessuto paesaggistico che, non a caso, negli ultimi vent'anni è stato saccheggiato dalla pubblicità e dalla fotografia.
La scarsa appetibilità commerciale rispetto ad altre zone della Toscana e gli alti costi di restauro hanno poi, finora, frenato la colonizzazione agrituristica e quella delle "seconde case" che, altrove, hanno già fatto i loro danni. Insomma, il paesaggio nel suo insieme qui è rimasto quasi intonso.
Pur ben lungi dal poter essere dipinte come un'isola felice, le Crete Senesi avevano quindi beneficiato della loro emarginazione come di solito ne beneficiano certi vecchi mobili di qualità , ma passati di moda, che vengono dimenticati in soffitta fino al momento in cui qualcuno delle generazioni successive li riscopre e li valorizza per quello che rappresentano.
Il problema nasce quando, in soffitta, questo qualcuno ci va prematuramente. Prima, cioè, di aver acquisito il gusto e la cultura per riconoscere il pregio intrinseco di quei vecchi mobili, ma tardi abbastanza da avergli fatto accumulare polvere e ragnatele tali da farli sembrare un inutile ciarpame. Risultato: distruzione o riuso maldestro. Non a caso, la storia dell'antiquariato è piena di capolavori della pittura riutilizzatii come base per dipingere croste, di prezione cassapanche smembrate per fare legna da ardere, di polittici segati a pezzi per ricavare quadretti, eccetera.
Ecco, in campo architettonico questa precoce e distruttiva riscoperta sta avvenendo oggi nelle Crete Senesi e il risultato è desolante. Un territorio ricco fino a ieri di diruti, trascurati, ma sostanzialmente integri esempi di architettura rurale va trasformandosi a vista d'occhio in un insieme di improbabili villette tipo Disneyland tirate su in cima ai poggi, di ridicoli ranch stile Dallas, di grottesche dimore in stile provenzale. Il tutto di solito preceduto da inutili cancellate monumentali e da altrettanto illogici filari di cipressi. Il cattivo gusto impera, in una perversa catena di responsabilità che unisce, da sola, committenti, progettisti e autorità locali.
Intendiamoci: tutto regolare sotto il profilo formale, ci mancherebbe. E così, anche per effetto di una perniciosa emulazione, come in un domino decine e decine di gloriosi poderi stanno per essere risucchiati in questo massacro. Ecco come funziona il meccanismo.
Un tizio, di solito un impresario, compra un podere o ciò che ne resta. Ormai tutti conoscono il trucco: si cercano remote foto aeree o vecchie istantanee ingiallite; si dimostra poi che una certa costruzione "c'era", anche se non ne rimane in piedi quasi nulla (meglio!); si compra l'area per due soldi da un agricoltore per il quale, comunque, vista l'aria che tira quei due soldi sono parecchi in cambio del sacrificio di un paio d'ettari di terra. Così il primo cerchio si chiude. Si chiede quindi la ricostruzione del podere: si presenta un progetto di restauro, di solito abbondamentemente fantasioso (tanto nessuno sa qual era esattamente l'aspetto originale del fabbricato) e, davanti all'amministrazione, si spaccia il tutto come un'operazione di "sviluppo" per il territorio, così i comuni sono contenti (anche perchè dalla concessione delle licenze incassano pingui contributi). Far approvare il progetto grazie alla "dichiarazione di asseveramento" di un professionista o da commissioni edilizie distratte, spesso composte da membri che hanno lo stesso pessimo gusto dei progettisti e dei committenti, e quindi chiudono un occhio o anche due sulle aporie e le brutture architettoniche, è un gioco da ragazzi.
Morale: l'antico podere settecentesco in mattoni, raso al suolo fino alle fondamenta vent'anni fa perchè ingombrava e non serviva più, come un fungo rispunta ora nelle forme (si legge testualmente) di una "residenza stile Chianti" (!), rivestita in "ciottoli di fiume". Naturalmente nelle Crete non c'è un ciottolo di fiume (per la verità , neanche un ciottolo tout court) nel raggio di decine di chilometri.
Sul tetto, crescono di colpo tanti comignoli da farlo sembrare un clone della villa medicea di Artimino. Sulla collina di fronte, nel frattempo, in pochi mesi un altro ex podere viene trasformato in villa di campagna, munito di una cancellata in ferro battuto abbellita da stormi di uccellini dello stesso materiale. Fari accecanti incassati nel terreno ai lati del viale d'accesso lanciano verso il cielo fasci di luce degni di una discoteca, inframmezzati a piante di cipresso (varietà Bolgheri, tutti uguali come se fossero fatti con lo stampino) che nessun contadino avrebbe mai messo lì per il semplice fatto che il cipresso, al contrario del gelso o dell'olivo, non è pianta produttiva. Mancano per fornuna (per ora!) i nanetti sul muro di cinta, ma gli escavatori sono già in azione per realizzare piscine sebbene, spesso, nell'area manchi persino l'acquedotto comunale. L'elenco potrebbe essere lunghissimo. Aborti, trionfi del kitsch, sagre del trash.
L'alternativa, ancora più perversa, sono poi i "piani di recupero" dei volumi agricoli, resi possibili da una sconcertante normativa regionale. In base a tali norme, senza troppe difficoltà si possono in pratica trasformare in residenze, villette e condominii tutti i fabbricati rurali esistenti, compresi i capannoni di lamiera abiditi un tempo al ricovero dei trattori o le stalle delle pecore coperte con l'eternit. Risultato? Tenuto conto che in teoria per ogni podere esistevano almeno una stalla o un capannone, il potenziale volume del "fabbricato" delle Crete potrebbe raddoppiare (e il valore quintuplicare, andando così ad alimentare il meccanismo). Naturalmente senza nessun criterio nè logica che non sia quella dell'alveare e del cattivo gusto.
Sia chiaro: nessuno contesta la necessità del recupero dei fabbricati rurali abbandonati. Anzi, ben vengano. E nessuno ha nulla contro le ragionevoli trasformazioni strutturali destinate a rendere abitabile un rudere. Ma da qui a riempire il territorio di porcherie ce ne corre. Anche perchè, di solito, fare cose belle costa uguale o forse meno che farle brutte. Basterebbero un po' più di controllo, un po' più di severità , un po' più di attenzione, un po' più di buon gusto e un po' più di competenza.
E' vero che qualche timido segnale di allarme contro questo scempio montante già viene da studiosi, da appassionati e da intellettuali, che perorano la creazione di una carta delle emergenze architettoniche delle Crete. Ma si tratterebbe comunque di uno strumento destinato a un sistema di controllo dall'"alto".
Il rischio che invece stiamo correndo viene dal basso, è molto più diffuso e polverizzato. Non sono in pericolo gli "esempi", i "campioni" dell'architettura rurale, che in qualche modo verranno sempre e comunque tutelati, ma quel vastissimo patrimonio di elementi insignificanti di per sè, ma importantissimi per la qualità dell'insieme. Trascurare la loro conservazione significa, domani, avere i primi assediati, soffocati, circondati dai secondi.
Il tutto nel nome di un ridicolo concetto di sviluppo che, accontentandosi di raccogliere qualcosa oggi, distrugge ciò che è sopravvissuto per secoli e potrebbe davvero rappresentare una risorsa durevole.
La marea è montante, contrastarla è difficile. Ma rallentarla e magari far rinsavire qualcuno è possibile.
Ci proviamo?