Mondo Enoico

La paura della vitivinicoltura per la genomica

L’Università di Verona decodifica il Dna dell’uva Corvina mentre la Cina vuole fare “incetta di genomi” in giro per il mondo. Secondo i ricercatori italiani ''il pericolo cinese è reale e andrà a incidere significativamente nei prossimi anni sul nostro export agroalimentare”

27 febbraio 2010 | Graziano Alderighi

E’ stato decodificato il genoma dell’uva corvina. A individuare i 415 geni del frutto sono stati i ricercatori dell’Università di Verona.
La Corvina è il primo vitigno autoctono al mondo cui è stato sequenziato il Dna.
La scoperta, presentata a Verona, è la conferma scientifica delle teorie di viticoltori ed enologi: la bacca attiva dei geni unici proprio nella fase di appassimento, in cui le uve vengono adagiate nei fruttai in collina per 3-4 mesi. Dalle sequenze del Dna prelevate (quasi 60 milioni), Massimo Delledonne e Mario Pezzotti del Centro di Genomica Funzionale dell’università, hanno assemblato 479 geni fino ad oggi sconosciuti alla comunità scientifica. Inoltre è stato notato un minuscolo frammento genetico che nel caso del pinot nero risultava inattivo, mentre per la Corvina rappresenta tutta la peculiarità complessa del suo processo di maturazione.
L’appassimento risulta quindi un articolato processo biologico nel quale si attivano ben 415 i geni, incaricati di fronteggiare lo stress della disidratazione e di controllare la produzione di aromi e metaboliti secondari responsabili del sapore e del bouquet dell’Amarone.
La ricerca, messa a disposizione del territorio e dei produttori veronesi, apre dunque la strada ad un approccio sempre più innovativo nella gestione del prodotto in vigna e in cantina.
Mentre si celebra questo successo della ricerca “Made in Italy”, secondo Confagricoltura, sarebbero in pericolo le nostre prelibatezze agroalimentari. Grazie alla genetica presto dalla Cina potrebbero arrivare vino, e prodotti alimentari tipici italiani perfettamente clonati.
''La forte accelerazione della Cina nella ricerca biotech, per cui le produzioni tipiche Made In Italy potrebbero essere perfettamente riprodotte a breve scadenza - rileva la Confederazione - prepara drammatiche conseguenze commerciali per il nostro Paese''.

Un allarme confermato anche dai ricercatori veneti del Centro di Genomica Funzionale dell'Università di Verona, Massimo Delledonne e Mario Pezzotti: ''Il pericolo cinese è reale e andrà a incidere significativamente nei prossimi anni sul nostro export agroalimentare. E' quindi necessario incrementare l'attività di ricerca presso i nostri centri di eccellenza e successivamente trovare le formule idonee per proteggere il Dna delle nostre tipicità'.

Ma occorre fare in fretta, il Beijing Genomic Institute, principale centro cinese di ricerca ha da poco annunciato di voler sequenziare 1000 genomi (500 animali e 500 vegetali) nei prossimi due anni grazie ad un finanziamento statale di 100 milioni di dollari. Ora l'Istituto, che ha acquistato 130 sequenziatori di ultima generazione, sta contattando ricercatori di tutto il mondo per stabilire collaborazioni e decidere cosa sequenziare.

L'Istituto ha già sequenziato il Dna del riso e del melone e secondo l'Università di Verona le ricadute di questa massiccia attività di ricerca biotech sul business agroalimentare è enorme: una volta in possesso delle ''chiavi'' della vita dei nostri prodotti, individuato il microclima ideale e adottate le nostre tecniche di produzione, il passo verso la concorrenza sui mercati mondiali, attuata ''clonando'' scientificamente il made in Italy è immediato.

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