Mondo Enoico

E' GIUNTO IL TEMPO DEI GRANDI BIANCHI DA INVECCHIAMENTO

La minaccia di una liberalizzazione completa degli impianti nel 2013 pone seri problemi, ma il punto di forza della qualità fa la differenza. Ci si muove tra sperimentazione di cloni, studi per limitare l'anidride solforosa, sfruttando antiossidanti naturali volti a salvaguardare il potenziale aromatico dell’uva, e altro ancora

19 maggio 2007 | Monica Sommacampagna

Sabato 12 maggio, nel chiostro rinascimentale del Palazzo Vescovile di Monteforte d’Alpone, nubi grigie seguite da radiose schiarite sulle prospettive che interessano i grandi bianchi italiani. “Tutti i colori del bianco”, manifestazione promossa dal Consorzio di Tutela Vino Soave e Recioto di Soave, è stata infatti un’occasione non solo per degustare bianchi fino a oltre vent’anni di età e per fare apprezzare agli operatori i frutti una qualità radicata nella passione e nella perseveranza, ma anche per permettere ad alcuni dei produttori più rinomati della nostra penisola di fare quadrato su temi che ci proiettano, ancora una volta, in un futuro globale.

Il primo fotogramma “in bianco e nero” l’ha presentato Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, confederazione nazionale dei consorzi volontari per la tutela delle denominazioni dei vini italiani. Se è vero, infatti, che i vini a denominazione di origine stanno cavalcando un periodo particolarmente positivo e che i bianchi oggi riscuotono particolari consensi sul mercato, la minaccia di una liberalizzazione completa degli impianti nel 2013 e delle etichette con la riforma dell’Organizzazione Comune di Mercato per il settore vino può non farci dormire sonni tranquilli. “Se questa preoccupazione dovesse tradursi in futuro in realtà rischiamo di vedere vanificati anni di impegno per la valorizzazione dei vini legati al territorio” ha detto il presidente di Federdoc.



Il fronte della produzione, rappresentato nel talk show a Monteforte d’Alpone da diciotto testimoni del successo della viticoltura italiana, ha dimostrato, però, grande compattezza su valori che costituiscono la nostra bandiera nel mondo. Pur nella diversità dei vini e delle filosofie, infatti, gli interventi dei produttori hanno evidenziato alcuni orientamenti chiave.

Qualità e, soprattutto, onestà sono fattori imprescindibili secondo Ambrogio Folonari. Sperimentazione di cloni adatti allo specifico terreno hanno segnato la crescita dell’azienda di Giuseppe Benanti. Studi per limitare l’anidride solforosa sfruttando antiossidanti naturali volti a salvaguardare il potenziale aromatico dell’uva caratterizzano l’azienda Pojer e Sandri, che dal 2002 preserva acido cinamico e glutatione grazie ad ambienti privi di ossigeno.

La ricchezza e l’eterogeneità dei vitigni autoctoni italiani sono valori apprezzati nel mondo secondo Lorenzo Zonin. Sperimentazioni per evidenziare il contributo che possono apportare vitigni autoctoni sono state annunciate da Valentina Tessari, a proposito del Trebbiano di Soave.

Vinificazioni di vitigni vocati in purezza, senza anidride solforosa, per Sandro Gini, che ha proposto in degustazione un Soave con 100% Garganega del 1990. Eccellenza produttiva anche se di nicchia per Joseph Reiterer, con una cantina metodo classico a 1.200 metri d’altezza. Voglia e coraggio di sperimentare in vigna e in cantina sono stati testimoniati da Silvio Jermann e da Livio Felluga, che in Friuli hanno contribuito ad esaltare le peculiarità degli uvaggi, e da Giorgio Soldati, da anni impegnato a testare la capacità del Gavi di sfidare il tempo.



Il territorio gioca un ruolo chiave e offre notevoli opportunità di personalizzazione, come ha dimostrato Susy Ceraudo. L’originalità legata al terroir è anche la filosofia di Zenato. Sempre a proposito di territorio, il Consorzio Tutela Vino Soave e Recioto di Soave ha recentemente pubblicato uno studio originale, che segue la zonazione del 2002 e che sottolinea la stretta relazione tra paesaggio e mondo viticolo, intitolato “Un paesaggio … Soave”.

Se poi, a questi fattori, aggiungiamo la tendenza a puntare su rese limitate, spesso al disotto di quelle previste dai disciplinari di produzione, selezioni rigorose in vigna e vinificazioni e invecchiamenti rispettosi del vino, comprendiamo come l’Italia si stia giocando la carta della competitività con idee che traggono la loro forza dalla valorizzazione.

Così, mentre il cielo di Monteforte d’Alpone, offuscato momentaneamente da timori “globalizzanti”, si è fatto terso, un’ulteriore nota positiva ci è giunta da Alberto Bertelli, medico e farmacologo, ricercatore del dipartimento di Morfologia Umana dell’Università di Milano e vicepresidente della Commissione “Vino e Salute” dell’OIV, l’Organizzazione Internazionale del Vino: “Nel vino bianco – e non solo nei rossi – esistono composti oggi in fase di studio che svolgono una significativa azione antiossidante e che possono dare una mano alla longevità umana, nell’ambito di un consumo moderato e di un regime alimentare corretto”.
Un motivo in più – in attesa dei risultati completi della ricerca – per volere bene a noi stessi scegliendo di bere bene.



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