Mondo Enoico

E' TEMPO DI VINO NOVELLO. PIACCIA O NO, E' UN FENOMENO CHE HA ASSUNTO PESO E RILIEVO

Ecco una lettura critica e ragionata intorno a un prodotto che, almeno in apparenza, evoca facili guadagni e successo. Sarà vero? I pareri di alcuni tra i protagonisti dello scenario enoico italiano

15 novembre 2003 | T N

Novello sì, novello no. Le posizioni al riguardo sono contrastanti. C’è chi ne esalta la novità, che poi vera novità non è, visto che si tratta di un fenomeno recente, nato sull’onda del successo in Francia del Beaujolais nouveau. In ogni caso, piaccia o no, non si può comunque ignorare il fenomeno, perché esiste, visto che a Vicenza si organizza peraltro ogni anno una apposita manifestazione fieristica, il Salone del vino novello, appunto, dove partecipano circa 180 aziende; ma anche in altre regioni d’Italia, va detto, le iniziative al riguardo sono tante e tali da dover riconoscere effettivamente un peso, anche di natura commerciale, non certo trascurabile.
Raggiungono quasi quota 19 milioni, infatti, le bottiglie poste in commercio e, in particolare, oltre il sessanta per cento della produzione viene ottenuta nelle cantine del Nord Italia. Una tipologia di vino che ha durata breve, circoscrivibile al solo spazio di un inverno, ma che, si dice, piace tanto ai giovani.



Noi abbiamo raccolto i pareri di alcuni protagonisti del mondo enoico, ed esattamente dei giornalisti Roger Sesto e Andrea Gabrielli, dell’enologa Laura Zuddas e del produttore Lorenzo Brugali.

Roger Sesto, in particolare, è redattore del mensile “Fuoricasa”, periodico specializzato dell’industria dell’ospitalità, della ristorazione e dell’entertainment; Andrea Gabbrielli è tra l’altro autore della recentissima guida Vini novelli italiani. Tutti i vini buoni da bere subito, pubblicata da Hobby&Work; Laura Zuddas è un'apprezzata enologa del Gruppo Matura; e Lorenzo Brugali è agronomo e titolare dell'azienda agricola Valdamone.


E' un fenomeno spontaneo, il vino novello, o come al solito è stato creato ad arte per imitare i francesi con il Beaujolais nouveau?

Roger Sesto: E’ stato creato ad arte, per una pura operazione di marketing.
Andrea Gabbrielli: Bene o male il novello ha una storia che risale agli anni Settanta. Sicuramente le aziende, visto che già all’epoca hanno pensato di competere su questo fronte, ricorrono a una tecnica che si può mutuare in qualsiasi condizione. Rispetto alla Francia non esiste paragone; oltralpe viaggiano al di sopra dei 50 milioni di pezzi. Il nostro novello non può misurarsi su un piano competitivo, seppure cresca costantemente nei volumi di produzione. Il Beaujolais era una regione profondamente in crisi, schiacciata com’era dai colossi di altre regioni vinicole più importanti. Dovendo trovare uno sbocco per risolvere i propri problemi, ha individuato la strada del nouveau, con grande fortuna. Il primo ad aver avuto l’intuizione è stato Louis Pasteur, alla fine dell’Ottocento. Poi è stata codificata la pratica della macerazione carbonica negli anni Trenta e da lì è iniziata poi questa storia. A partire dal secondo dopoguerra, fino a giungere agli anni Sessanta, quando il Beaujolais nouveau è approdato a Parigi. Il novello italiano, inoltre, si differenzia da quello francese anche dal fatto di essere ottenuto non da uno specifico vitigno e in una ristretta area di produzione, ma da oltre sessanta vitigni differenti e in ogni regione del Paese.
Laura Zuddas: Credo che sia nato come fenomeno spontaneo per porre in anteprima sul mercato un prodotto fruttato, fresco e dal prezzo contenuto.
Lorenzo Brugali: È stato creato per non restare al palo rispetto ai nostri cugini d'Oltralpe.

Sono stati usati toni trionfalistici per evidenziare i successi del novello italiano. Hanno funzionato bene le agenzie stampa e di comunicazione oppure si tratta di un'esigenza effettiva del consumatore?

Roger Sesto: Hanno fatto credere al consumatore di volere il novello. Ci sono in realtà altri vini, teoricamente simili per filosofia, che sarebbero invece da preferire. I lambruschi, le bonarie, certi rosati e cerasuoli… Non c’è alcun reale bisogno del novello, si tratta solo di un fenomeno imposto.
Andrea Gabbrielli: Trovo che si tratti di un fenomeno reale. C’è l’esigenza del consumatore, altrimenti non si spiegherebbero i 18 milioni e passa di bottiglie. Da parte del consumatore c’è il desiderio di consumare un vino fresco, poi, certo, l’evento mediatico ha senza dubbio spinto il fenomeno.
Laura Zuddas: In questo caso ha funzionato bene la comunicazione che è riuscita a far conoscere ed apprezzare questo prodotto.
Lorenzo Brugali: Credo che abbiano funzionato molto bene i mass media, creando quindi l'esigenza al consumatore. Il novello è per antonomasia un prodotto di marketing, creato per generare utili in tempi brevi per le aziende vitivinicole a anche, non secondariamente, per smaltire quei quantitativi residui di vino rimasti in cantina.

Il novello è ottenuto mediante macerazione carbonica, un processo chimico diverso dalla fermentazione alcolica comune a tutti i vini. Si può allora veramente definire il novello come vino?

Roger Sesto: Sì, si tratta di vino perché la macerazione è solo la fase iniziale, in seguito completata con la fermentazione. Però il novello ha senso solo se lo è al cento per cento. Invece la legislazione italiana al riguardo è piuttosto blanda. Di fatto ci troviamo dinanzi a un vino spacciato per novello che novello invece non è. Non ha le caratteristiche del novello, anche perché non tutte le uve si adattano all’operazione. In Francia si fa ricorso al solo vitigno Gamay, da noi viene impiegato qualsiasi vitigno. E allora c’è da chiedersi: se per gli spumanti vale il ricorso a determinati vitigni, perché ciò non avviene anche per i novelli, come accade giustamente in Francia? Ecco, anche dal punto di vista tecnico il novello italiano è poco giustificato.
Andrea Gabbrielli: Mi sento di definirlo vino a tutti gli effetti. Oggi, in genere, anche a livello internazionale si prevede una piccola parte, non rilevante, di aggiunta di vino da macerazione carbonica al vino ottenuto per fermentazione. Sono in molti che cercano in un vino fruttuosità (mi sia consentito il termine) e freschezza. Poi, è vero, c’è anche una forma di snobberai nei confronti del novello. Lo posso comprendere. Di positivo in ogni caso va detto che si tratta comunque di un vino che ha sempre mantenuto un prezzo accettabile, abbordabile per tutte le tasche, aggirandosi intorno ai tre, quattro euro la bottiglia.
Laura Zuddas: Assolutamente sì.
Lorenzo Brugali: Secondo me no. La fermentazione alcolica è un processo naturale che il cantiniere guida e coadiuva, la macerazione carbonica è invece un processo interamente artificiale. Da definizione il vino è quel prodotto ottenuto da uve fermentate. Credo quindi che non sia corretto chiamare vino quel blend composto da un minimo dell'85% di uve che hanno subito il processo di macerazione carbonica e da un massimo del 15% di vino "vecchio".

Ma ha senso farne una moda?

Roger Sesto: Non ha alcun senso in maniera assoluta, consapevoli del fatto che si tratta solo e unicamente di una moda. Con ciò non si rifiuta pregiudizialmente il vino novello, esiste come esiste la Coca Cola, ciascuno fa la propria scelta, purché si informi il consumatore ch’è solo una moda e nulla più. Ecco, possiamo comunque dire che non ha un senso “etico”, questo sì.
Andrea Gabbrielli: Stiamo parlando del novello, con una produzione che rappresenta lo 0,3 per cento del totale di vino prodotto in Italia. Forse si fa un eccessivo rumore. La mia guida ai Vini novelli italiani nasce dal fatto di spiegare di cosa si tratti. Tutti parlano di novello senza sapere cosa sia. Oggi al consumatore occorre comunicare un aspetto importante: che il vino novello sia fatto bene. Io consiglio sempre di non comperare senza prima averne verificato la qualità. Comunque, per far capire i motivi che spingono le aziende a produrre il novello, valga una considerazione. A impegnarsi su questo fronte vi sono le più importanti e blasonate aziende italiane. Perché lo fanno? Perché lo si produce su prenotazione. Si tratta di un importantissimo volano economico, in quanto si riesce a incassare direttamente del denaro a sessanta giorni. Rispetto a un vino d’invecchiamento, i costi non sono lontanamente paragonabili e il guadagno è immediato.
Laura Zuddas: Sì, perchè non dovrebbe?
Lorenzo Brugali: Sì. È una moda che si ripete annualmente e che genera profitti. Il novello è fondamentalmente un'operazione di marketing.

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