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Il vino al sapore di topo: tutta colpa della riduzione delle solfitazioni

Il vino al sapore di topo: tutta colpa della riduzione delle solfitazioni

Stanno aumentando, sui mercati internazionali, i vini con difetti sensoriali a causa della riduzione dell'utilizzo dell'anidride solfosora. Non tutti i difetti sono immediatamente percettibili al naso, per scoprirne alcuni bisogna ricorrere a qualche trucco

15 maggio 2015 | Graziano Alderighi

L'anidride solforosa fa male alla salute e, per una larga fascia della popolazione, è ormai un allergene, che scatena sintomatologie più o meno gravi e fastidiose.

L'anidride solforosa è però anche il principale elemento di stabilizzazione microbiologica del vino, specie quando in bottiglia, per evitare la formazione di composti indesiderati, quali i difetti organolettici.

Specie nei vini naturali, o in quelli biologici, laddove l'uso dell'anidride è bandito o ridotto al minimo, è possibile riscontrare difetti organolettici che, in taluni casi, vengono scambiati per tipici.

In realtà certi sentori sono indice di fermentazioni anomale oppure dello sviluppo di colonie di lieviti e/o batteri nel vino, con formazione di metaboliti secondari.

Se è vero che l'utilizzo di lieviti specifici e territoriali, recentemente anche batteri, può conferire tipicità al vino, certe sensazioni sono chiaramente dei difetti.

E' il caso del sentore di topo.

Tale sentore è stato classificato, più di un decennio fa, da ricercatori australiani che, anzi, lo hanno suddiviso in tre classi sensoriali: pop-corn, vomito, urina di topo.

Sono state individuate anche le tre molecole responsabili di questi difetti: ATHP (2-acetil-tetraidropiridina) ETHP (2-etil-tetraidropiridina) e APY (2-acetil-1-pirrolina).

Secondo recenti studi dell'Isituti del Rodano, proprio la prima sarebbe quella a maggior impatto organolettico, perchè riscontrabile anche in quantità più elevate.

Il problema di tale molecola è che il suo apporto sensoriale non è percettibile al naso, ma solo in bocca, quando il vino si mescola alla saliva, poiché ATHP è instabile a pH superiori a 4,5.

Quando, insomma, percepiamo il difetto è già tardi. Stiamo già assaggiando il vino e liberarsi dalla sensazione non è affatto facile visto che può avere una lunga persistenza, fino a dieci minuti.

Quali trucchi utilizzare? E' certamente poco elegante, ma si può intingere il dito nel vino, poi aspettando che si asciughi sulla mano. A quel punto percepiremo chiaramente il difetto.

In alternativa è possibile aggiungere una piccola quantità di bicarbonato di sodio al vino “incriminato” per capire se è difettato.

Ma a cosa è dovuta la comparsa del difetto? A un problema avvenuto in cantina, dove lo sviluppo di alcuni batteri ha dato avvio a una iperossidazione della matrice (reazione Maillard per ossidazione del glucosio).

E' quindi sempre necessario monitorare con attenzione la carica microbica del vino.

Ma se il difetto è già presente? Secondo l'Istituto del Rodano si può intervenire con, in ordine decrescente di efficacia, ellagitanini, solfitazione e chitosano.

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