Legislazione

Ramaglie e stoppie si possono bruciare. E' attività agricola

La Corte Costituzionale ha bocciato il ricorso governativo contro due leggi regionali, di Marche e Friuli Venezia Giulia, che permettono la bruciatura di sarmenti, considerandola normale pratica agricola

02 aprile 2015 | R. T.

Il Codice dell'Ambiente (Dlgs. n. 152/2006) all’art. 184 classifica come “urbani” i “rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali” (comma 2/lettera e) e come “speciali” “i rifiuti da attività agricole e agro-industriali ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 cod. civ.” (comma 3/lettera a).

Ramaglie e stoppie sono quindi da considerarsi rifiuti speciali e come tali andrebbero smaltiti.

Lo stesso legislatore, con il Dlgs. n. 205/2010, ha riconosciuto l'evidente eccesso e ha voluto intervenire, introducendo l'articolo 184 nel Codice dell'Ambiente e modificando il testo dell'articolo 185 per escludere dalle procedure di smaltimento rifiuti “paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggino l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Il problema è: la bruciatura danneggia l'ambiente e mette in pericolo la salute umana?

Diversi legislatori regionali sono intervenuti sulla questione, sottraendo la materia alla disciplina dei rifiuti e inquadrandola, invece, in quella agricola.

Tra queste l’art. 9 della legge della Regione Marche 18 marzo 2014, n. 3 e l’art. 2 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 marzo 2014, n. , su cui si è pronunciata la Corte Costituzionale, su ricorso del Governo,  con la sentenza n. 16 depositata il 26 febbraio 2015.

La Corte costituzionale, nella sentenza, ha ricordato che recentemente anche il legislatore statale è intervenuto sulla materia, con l’art. 14, comma 8, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116. Tale disposizione esplicita, con una novella al codice dell’ambiente, che "attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti" (art. 182, comma 6-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006).

Al tempo stesso, il legislatore statale ha vietato la combustione di residui vegetali agricoli "in periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni" e ha attribuito ai comuni e alle altre amministrazioni competenti in materia ambientale "la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)".

Così facendo, secondo la Corte Costituzionale, lo Stato ha riconosciuto di annoverare tra le attività escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti l’abbruciamento in loco dei residui vegetali, considerato ordinaria pratica applicata in agricoltura e nella selvicoltura.

In questa chiave, dunque, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il legislatore regionale sia legittimamente intervenuto sul punto, nell’esercizio della propria competenza nella materia agricoltura.

 

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