Legislazione
Un'azienda agricola può acquistare e vendere prodotti di terzi mantenendo la ruralità?
E' stata un'annata agraria particolarmente infelice. Aziende vitivinicole e olivicole si trovano senza prodotto ma nella necessità di onorare contratti e mantenere relazioni commerciali consolidate. Come fare?
06 novembre 2014 | Ernesto Vania
Può un'azienda agricola vendere il prodotto di terzi con la propria etichetta? Può insomma comportarsi come un commerciante? La risposta alla domanda è sì, ma con alcuni limiti.
L’articolo 2135 del Codice Civile consente all’imprenditore agricolo di commercializzare oltre ai prodotti di produzione aziendale anche prodotti agricoli altrui sempreché questi ultimi non siano prevalenti rispetto a quelli propri.
In particolare è bene ricordare che l'articolo in questione è stato rivisto nel 2001, con l'articolo 1 comma 1 del decreto legislativo 228/2001:
“E' imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
2. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o
marine.
3. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonchè le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”
Nello stesso provvedimento normativo, all'articolo 4, è stato concesso agli imprenditori agricoli di esercitare la vendita diretta, ritornando sul punto della prevalenza.
“Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”
[…] “La presente disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa”
Ma come si deve interpretare il concetto di prevalenza? Viene in aiuto la Circolare Anci del 25 ottobre 2005 che fornisce indicazioni ai Comuni sull’applicazione dell’articolo 4 del d.lgs. n. 228 del 2001. Secondo l'Anci vi è prevalenza sulla base di un confronto in termini quantitativi tra i prodotti aziendali ed i prodotti acquistati da terzi, confronto che potrà effettuarsi solo se riguarda beni appartenenti allo stesso comparto agronomico. Ove sia necessario confrontare prodotti appartenenti a comparti diversi, la condizione della prevalenza andrà verificata in termini valoristici, ossia confrontando il valore normale dei prodotti agricoli aziendali e il valore dei prodotti acquistati da terzi. Il confronto va attuato nello stesso anno solare.
E' quindi lecito, per l'imprenditore agricolo, vendere anche prodotto di terzi, regolarmente acquistato, purchè sia in misura non prevalente rispetto al proprio, senza alcuna necessità di modificare o integrare la propria posizione fiscale o contributiva.
Naturalmente l'imprenditore non potrà vendere come proprio il prodotto acquistato da terzi. In particolare potrà venderlo con propria etichetta o sotto proprio marchio ma non potrà utilizzare la dizione “prodotto e imbottigliato da”.
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