Legislazione

Un'altra condanna definitiva per aver sparso acque reflue di frantoio in campo

Vale anche la prova dell'odore per comprendere la natura del liquame sparso. E' così che la Corte di Cassazione conferma una sentenza del Tribunale di Taranto

20 luglio 2013 | R. T.

Confermata la condanna a 3500 euro di ammenda per violazione degli articoli 112-137 comma 14 del Dlgs 152/2006, ovvero violazione delle regole sullo spandimento delle acque di frantoio per il legale rappresentante dell'oleificio sociale di San Marzano in San Giuseppe.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, terza sezione penale con sentenza 2520/2012, confermando quanto deciso dal Tribunale di Taranto nel 2011.

La Corte ha riconosciuto che il frantoio effettuava l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione dei frantoi al di fuori dei casi e delle procedure previste e in particolare in violazione della disciplina posta dagli articoli 2 e 4 comma 2 della legge 574/1996, relativa ai limiti di accettabilità e alle modalità di spandimento.

Secondo il capo di imputazione l'oleificio sociale era accusato di provocare su un terreno di 8o.000 mq, fenomeni di ruscellamento e formazione di pozzi e acquitrini di materiale putrescente.

Il legale rappresentante dell'oleificio obiettava, in sede di Cassazione, l'illogicità della motivazione fondata su una doppia presunzione: la prossimità del fondo in cui sarebbero state sversate le acque rispetto al fondo su cui insiste l'opificio e l'odore percepito dagli agenti di Polizia Giudiziaria, ritenuto caratteristico delle acque derivanti dalla molitura delle olive. Secondo la difesa sarebbe mancata la prova positiva relativa alla qualità dei liquidi rinvenuti sul fondo interessato.

La Corte, dichiarando infondato il ricorso, ha così motivato: “Nel caso di specie il Tribunale, con motivazione congrua e immune da vizi logici, ha accertato che l'imputato, titolare di un'autorizzazione allo spandimento delle acque di vegetazione derivante dalla molitura delle olive, eseguiva il reimpiego delle acque agronomiche sul terreno vicino all'opificio con modalità non conformi alla legge. Il giudice di merito, sulla base delle risultanze processuali, ha dato conto del fatto che la suddetta attività era eseguita versando sul terreno e sui canali appositamente realizzati le acque provenienti dalla molitura, dando luogo a un fenomeno di stagnamento acquitrinoso sulla superficie erbosa, senza che le acque venissero assorbite dal suolo.”

La Corte di Cassazione ha quindi rilevato che non è sufficiente la prova provata che i liquidi siano effettivamente acque di vegetazione purchè l'insieme delle carte processuali, ivi comprese le testimonianze relativa all'odore dei suddetti liquami, porti a tale conclusione logica.

 

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