Legislazione

Non si possono impugnare gli avvisi bonari

Ai fini dell’impugnabilità, un atto tributario emanato dall’Amministrazione finanziaria deve qualificarsi come avviso di accertamento o di liquidazione

30 ottobre 2010 | R. T.

“Avvisi bonari” a prova d’impugnabilità. Non trova spazio nel quadro della giurisdizione tributaria vigente, il ricorso contro una pretesa impositiva di fatto ancora “in bozza”, come nel caso delle comunicazioni indirizzate ai contribuenti e ai sostituti d’imposta, cosiddetti “avvisi bonari”, il cui unico fine consiste nell’evitare l’eventuale reiterazione di errori e, al contempo, nel consentire al contribuente di evidenziare dati e notizie non considerati dall’Amministrazione finanziaria. In questo caso, come chiarisce la Risoluzione 110/E dell’Agenzia delle Entrate, diffusa oggi, si tratta di comunicazioni che si sostanziano in un mero invito al contribuente a fornire, in via preventiva, elementi chiarificatori delle anomalie riscontrate in sede di liquidazione automatizzata della dichiarazione che, dunque, non sono espressione di un potere pubblicistico autoritativo e, come tali, non producono effetti negativi immediati per il destinatario.

Impugnabilità a misura d’accertamento
In pratica, ai fini dell’impugnabilità, un atto tributario emanato dall’Amministrazione finanziaria, spiega il documento di prassi, allineandosi con le recenti pronunce in materia della Corte di Cassazione, deve qualificarsi come avviso di accertamento o di liquidazione. Questi atti, infatti, a differenza degli “avvisi bonari” sono espressione d’una pretesa impositiva definita e non condizionata. Requisiti questi che aprono la strada, di fatto, ad un eventuale impugnazione da parte del contribuente. E questo vale, ricorda la Risoluzione, anche se l’atto non si chiude con l’intimazione al ricorso a strumenti esecutivi, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto.

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