L'arca olearia

COORDINAMENTO DELLE UNIONI OLIVICOLE, TANTI BUONI PROPOSITI MA PER L’OLIO DI OLIVA MANCA LA VOLONTA’ POLITICA

E' una vera patata bollente la situazione attuale. Vi sono troppe anomalìe. Secondo Antonio Ricci l’idea di un Piano olivicolo nazionale non regge più. Ci stiamo purtroppo aprendo a oli che arrivano da tutte le parti del mondo; e per assurdo in Puglia si vende a meno di due euro l’olio alla Spagna, per poi rivederlo imbottigliato in Italia

16 ottobre 2004 | Luigi Caricato

Secondo il vertici dell’Unaprol il dibattito sul futuro dell’olivicoltura italiana, alla luce delle novità introdotte dalla riforma della Pac, è sempre più attuale e anche i tempi sono maturi per promuovere un momento di riflessione ed elaborare, di concerto con tutti gli attori di questo importante momento di evoluzione e confronto, una piattaforma per lo sviluppo del sistema olivicolo del nostro Paese.

E' questo il succo di quanto voluto dalla più rappresentativa unione tra produttori olivicoli italiana. Recepita questa esigenza, l’Unaprol, d’intesa con le altre Unioni nazionali del settore, ha ritenuto bene di promuovere a Roma una riunione di tutti gli operatori delle istituzioni e delle Organizzazioni dell’olivicoltura italiana, ciò nell’intento di avviare un “importante confronto all’interno della filiera”

E’ con tale spirito, dunque, che l’11 e il 12 di ottobre si sono approfonditi, tra gli altri, temi come il mercato e la politica della qualità, la promozione, lo sviluppo (considerando dunque gli investimenti, la ricerca, l’innovazione e i nuovi impianti di produzione e trasformazione), la riorganizzazione della filiera, oltre che l'applicazione della nuova Ocm attorno ai quali va costituita una nuova progettualità.

Ecco, la parola progettualità non è certo fuori luogo, qui, in un comparto che per decenni l’ha sentita solo pronunciare, ma non ne ha mai visto gli esiti, soprattutto per il colpevole disimpegno da parte dei vari attori della filiera e, in primis, delle Istituzioni. E ora, quando un po’ si intravede che la nave è ormai prossima ad affondare, o comunque ad arenarsi, ci si sveglia dal letargo in cui si è precipitati e poi, chissà, vedremo quel che accadrà. Perché d’altra parte è caratteristica esclusiva del nostro Paese il tirare a campare, il far finta di agire rassicurando che tutto va bene, che tutto procede per il meglio. Ma è proprio così? Vediamo nei dettagli il punto della situazione attraverso la testimoninanza di Antonio Ricci, direttore scientifico del mensile “Olivo & Olio”.



Cosa si può ricavare dalla due giorni romana?
Alla fine dei lavori sono state individuate alcune linee guida che il ministro Alemanno ha sottolineato essere un buon punto di riferimento, da tenere presente nell’applicazione della nuova Ocm. Ormai i tempi sono stretti e occorre infatti iniziare a definire i regolamenti applicativi e le modalità.

E cosa emerge, in particolare?
La necessità di dare un punto di riferimento ai produttori e agli operatori, in modo da creare un sistema olivicolo ben definito, dal momento che ancora non si è ben delineato, considerando peraltro che in Italia le Organizzazioni dei produttori, le cosiddette Op, navigano tuttora in acque poco tranquille. I parametri per il riconoscimento delle Op sono stati sì definiti, ma non tengono in debito conto la situazione olivicola italiana. Manca, inoltre, anche uno stretto collegamento con le Regioni.

Un tempo si accennava ciclicamente all’idea di un Piano olivicolo nazionale, salvo poi dimenticarsene. E ora?
Ritengo sia ormai un’idea tramontata. Credo che non ci sia neanche più la volontà politica per arrivare a tale proposito.

“Qualità” è un’altra parola chiave per l’olivicoltura italiana. Quando questa si incontra con il mercato scoccano però le scintille…
Al forum è stata in linea di massima denunciata l’insufficienza della politica europea sulla strategia della qualità. E’ rimasto tutto a livello di enunciazione perché in effetti questa strategia non è che abbia avuto una sua estrinsecazione a livello di interventi finanziari, ma soprattutto in termini di decisioni nel far rispettare determinate regole. Consideriamo peraltro il fatto che noi ci stiamo aprendo, con delle tariffe preferenziali, a oli che arrivano da tutte le parti del mondo. E’ necessario che i contrasti che ancora sussistono tra la normativa italiana e quella europea su origine, etichettatura e qualità degli extra vergini siano ripianati. Occorre che si giunga a una soluzione di compromesso per evitare di innalzare barricate. Occorre una azione forte da parte del Governo italiano.

E riguardo alle politiche di sviluppo?
Bisogna sperare nel buon esito della conferenza Stato-Regioni. Siamo molto indietro, sui progetti di ricerca. Al mattino il primo che si sveglia e si alza decide di fare quello che più gli aggrada, senza però pensare che ogni decisione deve avvenire nell’ambito di un preciso contesto generale oltre che di una specifica finalizzazione. Le risorse sono già poche, se poi si pensa di disperderle in mille rivoli non si viene più a capo di nulla. A mio parere ci dovrebbe essere una maggiore attenzione da parte dei Piani di sviluppo rurale di ciascuna Regione, in modo da rilanciare l’olivicoltura favorendo nel contempo la ricerca.

Qual è invece un punto di debolezza dell’attuale sistema che ad oggi appare ancora lontano dall’essere affrontato con la dovuta risolutezza?
Noi siamo molto indietro con gli accordi di filiera. Sono tante le difficoltà, è vero, ma bisogna pur far qualcosa. Nel settore dei cereali si è risolto con i contratti di coltivazione, anche se resta senza dubbio più semplice rispetto al comparto olio di oliva.

Circa invece la comunicazione con i consumatori?
Rimane anche questo un nodo irrisolto. L’aspetto della promozione è un punto dolente. Ritengo però valido il progetto di “Buon’Italia”, ch’è un organismo snello. Soprattutto all’estero, noi ci presentiamo in modo sparpagliato, quando invece occorre dare una immagine forte, unitaria e organica, non certo dispersiva come spesso accade. Occorre puntare a un’identità forte e riconoscibile. Si ritorna poi sul concetto di educazione alimentare da avviare nelle scuole, la strada è lunga, occorre una maggiore sensibilizzazione anche da parte della stessa ristorazione. Tutto ciò va però contestualizzato secondo le varie realtà.

Intanto siamo alla vigilia dell’applicazione della nuova Ocm per l’olio di oliva, cosa si prospetta?
Non abbiamo ancora ben chiaro il da farsi, né tanto meno abbiamo una prospettiva immediata che ci faccia vedere delle soluzioni che ci consentano di partire con il piede giusto. Siamo molto, molto indietro; e ciò ci creerà senza dubbio tanti problemi, non solo a livello operativo, ma soprattutto a livello di peso politico in Europa. Piaccia o non piaccia, la riorganizzazione della filiera è l’unica opportunità per ridare un segnale di speranza e riprendersi le posizioni perdute.

Quindi di fronte all’attuale scenario quale può essere la strada della svolta?
Tra quanto ho sentito a Roma mi sembra che le posizioni di Lamberto Baccioni siano le più illuminanti. Il noto manager di Alfa Laval individua due distinti mercati: quello delle commodities, dove non possiamo metterci neppure il naso; e quello del prezzo, sul quale occorre invece puntare. Quest’ultimo profilo di mercato è però da definire, in quanto la situazione italiana si presenta un po’ ballerina.

Con troppe anomalie di fondo, purtroppo…
Già, è il caso della Puglia per esempio. C’è una produzione che non si riesce a collocare, ma avendo però una base di produzione buona si potrebbe dar luogo a un processo di qualificazione che punti tranquillamente sul fattore prezzo. Alcuni pugliesi hanno però detto di avere ancora le posture piene di olio; dicono che non riescono a venderlo a due euro. Tuttavia, parlando poi con altri, ho saputo che l’olio pugliese lo si sta vendendo agli spagnoli, i quali poi lo rimettono di nuovo in circolazione nel nostro Paese vendendolo come olio italiano. La situazione deve farci riflettere: a Bari si sta vendendo l’olio a un euro e ottanta centesimi! Tutto ciò va assolutamente evitato, non si può infatti continuare su questa linea, altrimenti si svilisce il mercato.

Ma l’assurdo che si sta verificando sui mercati lo si comprende? Si avverte per davvero l’esigenza di far qualcosa, di reagire?
Al ministro ho posto una domanda, alla quale però mi ha risposto il presidente dell’Unaprol Ruggiero. Ecco la questione: noi abbiamo in Italia un milione e 350 mila olivicoltori. Di questi, 500 o 600 mila lo fanno solo per hobby, con costi esageratissimi peraltro. Perché allora non consentiamo la cessione delle quote, organizzando una sorta di camera di compensazione dove appunto il produttore hobbystico cede la propria quota di produzione all’olivicoltore di professione? Si può in questo modo dare una “buona uscita” all’olivicoltore hobbistico, in modo tale che chi vorrà fare un oliveto di 50 ettari, con impianti nuovi di varietà più funzionali, potrà farlo senza problemi. A fronte di questa mia questione, Ruggiero mi ha risposto che con l’attuale regime del disaccoppiamento ci sarà una grandissima disponibilità di quote; ragione per cui chi vorrà fare nuovi impianti, oppure chi pensa in tal modo di regolarizzare quelli realizzati dopo il ’98, sarà presto possibile. Io ci credo poco, però se lo dice Ruggiero, non intendo certo mettere in discussione la sua parola.