L'arca olearia

PRODUTTORI OLIVICOLI E AZIENDE DI MARCA. SONO ANCORA AI FERRI CORTI PER L’EXTRA VERGINE "MADE IN ITALY"? PROVE DI UN DIALOGO NON FACILE

Iniziamo con una testimonianza che può sembrare una provocazione. E in fondo lo è. Secondo Pompeo Farchioni, quando la cosiddetta industria dell’olio chiama, gli olivicoltori non rispondono. E’ così? C’è una vera guerra tra questi due mondi? Si attende la replica degli interessati

18 settembre 2004 | Luigi Caricato

Partiamo subito dalla testimonianza di Pompeo Farchioni, imprenditore a capo dell’omonima azienda olearia con sede in Umbria. La Farchioni vanta un grande e consolidato successo sul mercato e registra un tasso di crescita annuo, secondo l’Ismea, del 10-15 per cento. Ma ecco una sua dichiarazione su cui è opportuno riflettere:

“Noi lavoriamo con l’olio novello. Per essere presenti sul mercato in maniera tempestiva abbiamo cercato di fare un accordo con gli agricoltori italiani nel 2003. Servivano dai 15 ai 20 mila quintali di extra vergine e per la metà di tale quantitativo abbiamo cercato di fare dei contratti in cui si offriva dalle 7 alle 7.500 lire (dai 3 euro e 60 ai 3,90 circa, ndr), pagamento contanti con olio ritirato appena prodotto presso le loro aziende. Non è poco per un prodotto di massa. Eppure non è stato facile. Mi hanno costretto a comperare gran parte dell’olio dalla Spagna. Io, azienda italiana, ho dovuto acquistare un extra vergine Arbequina, di qualità, allo stesso prezzo che avevo proposto agli agricoltori italiani. Mi si spieghi perché io debba andare all’estero, quando l’olio potrei acquistarlo benissimo nel mio Paese.
Poi, sei mesi dopo, mi vengono a dire che non si comperano gli oli dei produttori italiani. Ma quando lo si deve comperare – dico io – un olio novello? Quando non è più tempo di proporlo come tale?


Come si può notare la testimonianza di Pompeo Farchioni è inequivocabile. Qualcosa non ha funzionato. C’è da chiedersi il perché. Anzi, lo chiediamo ai produttori, ma soprattutto a ciascuno dei riferimenti implicati: agli olivicoltori, ai frantoiani e, nondimeno, alle associazioni che rappresentano produttori e frantoiani. Attendiamo con fiducia una risposta.

Intanto procediamo con una questione a lungo al centro del dibattito nel corso degli ultimi anni, soprattutto a partire dal 1998, quando si è cercato di avviare senza successo una legge a tutela dell’olio “made in Italy”.
Ebbene, a distanza di tanti anni, sono ancora da considerarsi ai ferri corti produttori e aziende di marca? Sulla nota querelle il dibattito è diventato nel tempo incandescente, poi nulla, il silenzio, segno che non si è mai trattato di un vero e proprio dibattito, ma solo di un puro flatus voci, giusto per accendere gli animi e dimostrare che la situazione è da cambiare, che alzare la voce è indispensabile. Ma poi?

Ecco ancora Pompeo Farchioni: ”Finché l’olivicoltore italiano sarà prospero e vincente, noi lo saremo altrettanto. Nel momento in cui l’olivicoltura italiana arretrerà, anche noi, aziende di marca, non saremo più vincenti sui mercati.
Siamo strettamente legati al mondo agricolo, anche se gli olivicoltori non sempre lo comprendono”.


Occorre dunque tentare il dialogo. E’ una strada obbligata, d’altra parte. “Sicuramente” ammette Farchioni. “Il problema è che trovare un accordo non è facile”.

Non è proprio facile trovare unità e coesione all’interno della filiera? Siamo sicuri? Lo chiediamo ai lettori di “Teatro Naturale”.
Si attendono risposte in tal senso.
C’è tanto da riflettere sulla testimonianza resa da Pompeo Farchioni intorno alle difficoltà nel reperire dell’olio novello.

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