L'arca olearia

Qualità e tipicità degli oli, le influenze delle tecnologie

Non basta la qualità cui siamo abituati: occorre andare oltre. Migliorare le proprietà salutistiche e sensoriali dell’olio extra vergine di oliva è l’impegno del mondo della ricerca

24 ottobre 2009 | Carlotta Baltini Roversi



Con questa quarta e penultima puntata la nostra rassegna concepita per fare il punto sulle sei sessioni che si sono svolte nei giorni 1 e 2 ottobre scorso, nell’ambito della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II a Portici, si aprono nuovi scenari circa lo stato dell’arte della scienza elaiotecnica.

Dopo le prime due puntate, la prima concernente gli aspetti relativi al mercato e alla valorizzazione degli oli di oliva (link esterno), la seconda sui modelli colturali e la loro gestione (link esterno), e la terza incentrata sul tema relativo al germoplasma, al miglioramento genetico e alle biotecnologie (link esterno), ora è giunto il tempo iniziare ad affrontare gli studi incentrati sulle tecnologie e sulle conseguenti influenze su qualità e tipicità degli oli


Come sempre, si ringrazia per la cortese disponibilità il professor Claudio Di Vaio, il quale è stato sensibile nel fornirci gli abstracts, da cui abbiamo appunto ricavato una libera e sintetica panoramica.
Buona lettura.


TECNOLOGIE, QUALITA’ E TIPICITA’ DELL’OLIO


Una chiave eco-fisiologica per le tipicità sensoriali

Il professor Raffaele Sacchi, del Dipartimento di Scienza degli Alimenti della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha una posizione netta riguardo alle chiavi eco-fisiologiche della tipicità sensoriale degli oli extra vergini italiani. Sacchi offre intanto una chiave lettura per chiarire ciò che si deve comunemente intendere per prodotto agro-alimentare tipico. Un extra vergine è tipico, pertanto, “quando, oltre ad essere tradizionalmente legato a un territorio e a una materia prima particolare, presenta caratteri compositivi e sensoriali nettamente distinguibili rispetto a prodotti simili. Nel panorama degli oli extra vergini italiani – ha tenuto a precisare Sacchi – a tale definizione rispondono diversi oli monovarietali e alcune produzioni a Denominazione di origine protetta, la cui composizione varietale e le cui condizioni pedoclimatiche sono sufficientemente caratterizzate”.
Il profilo sensoriale sarebbe dunque una caratteristica tipicizzante, e il tutto è da considerarsi frutto dell’espressione di specifiche note amare e piccanti “determinate dalla componente biofenolica dell’oliva”, da cui, di conseguenza, “i diversi sentori vegetali (erbaceo, pomodoro, carciofo, erbe balsamiche, mandorla) influenzati dalla composizione delle molecole volatili di impatto sensoriale originate dal metabolismo primario e secondario dell’oliva”.

Sacchi insiste e porta all’ettenzione “le biogenesi dei diversi componenti di impatto sensoriale dell’olio extra vergine (i biofenoli, i composti volatili derivanti dalla via delle lipossigenasi, i terpeni, etc.), cercando di interpretarne la tipicità in chiave eco-fisiologica”, seguendo cioè “il significato semiochimico dei componenti che l’oliva produce in diverse situazioni ambientali, di stress biotico e abiotico, e in diverse condizioni agronomiche”.
E’ un impegno che Sacchi vuol portare avanti con determinazione: l’individuare i “marcatori molecolari della tipicità potrebbe fornire un utile strumento di difesa delle produzioni nazionali di pregio”, affiancando così, all’analisi sensoriale, metodiche strumentali di misura oggettiva della qualità-provenienza dell’olio. Si tratta perciò di studiare a fondo quei “profili compositivi capaci di consentire una rintracciabilità di alcune produzioni a marchio Dop, con particolare riferimento alle molecole volatili di forte impatto
sensoriale”.
Sacchi fa esempi concreti, e per questo motivo ha citato “le tipiche note di rosmarino-erbe balsamiche degli oli della Penisola Sorrentina ottenuti dalla varietà Minucciola, o di erba-pomodoro verde caratteristiche degli oli Irpini ottenuti dalla tradizionale varietà Ravece”.
Per ora siamo alle prime fasi, ma presto ne sapremo sen’altro di più. “Una lettura eco-fisiologica dei come e dei perché alcuni aromi traggano origine dal punto di vista biochimico, e di come esaltare tali aromi modulando le scelte agronomiche (irrigazione, epoca di raccolta) e quelle
tecnologiche (condizioni di estrazione in frantoio e conservazione dell’olio), potrà rappresentare un elemento utile per consolidare e difendere la tipicità ed il valore territoriale delle nostre produzioni olearie di pregio. Tutto ciò – conclude il professor Sacchi – per avere efficacia sulla competitività dei nostri sistemi olivicoli, dovrà ovviamente tradursi in mirate azioni e strategie di riorganizzazione produttiva, nonché di comunicazione e marketing”.


I nuovi approcci tecnologici

Migliorare le proprietà salutistiche e sensoriali dell’olio extravergine, è questo l’impegno dei ricercatori. Non basta la qualità cui siamo abituati: occorre andare oltre. Andare avanti, soprattutto.
Il team di lavoro del Dseea, la Sezione di tecnologie e biotecnologie degli alimenti dell’Università di Perugia, con Servili, Esposito, Taticchi, Urbani, Selvaggini e Di Maio, ha presentato al riguardo un quadro d’insieme molto chiaro. “L’olio extra vergine di oliva – hanno voluto ribadire – oltre ad avere un’ottima composizione acidica, contiene un gruppo di composti, che essendo presenti in piccole quantità (2% circa del peso dell’olio) vengono definiti composti minori. Tra questi ultimi, ricordiamo in particolare, i composti fenolici e volatili fondamentali nel definire un olio extra vergine di oliva di alta qualità. La loro presenza nel prodotto – hanno ribadito nel corso dello studio – è fortemente influenzata da diversi fattori agronomici, e tra questi in particolare dalla varietà di appartenenza della drupa, oltre che da numerosi aspetti tecnologici”.
Per tale motivo, tutto il settore dell’elaiotecnica ha quale obiettivo almeno tre propositi principali, il primo: “la definizione di parametri tecnologici implicati nella produzione dei costituenti minori degli oli di oliva
nel processo di estrazione”; il secondo: “l’ottimizzazione delle variabili di processo, al fine di migliorare le proprietà salutistiche e sensoriali dell’olio, direttamente legate all’espressione genica delle cultivars”; il terzo: “la valorizzazione dei prodotti secondari (acque di vegetazione, sanse vergini denocciolate), previo uso di sanse per l’alimentazione animale e recupero di molecole ad alto potere antiossidante (polifenoli) dalle acque di vegetazione, per la produzione di alimenti funzionali”.
Messi nella giusta evidenza i tre scopi primari, si tratta ora di agire concretamente su questa strada, avvalendosi al meglio dei nuovi approcci tecnologici.


La produzione di oli funzionali di alta gamma

Per il futuro? Occorre puntare non soltanto a una qualità superiore, ma anche a oli ad elevato impatto bionutrizionale e salutistico. Non è un proposito da poco. Ranalli, Contento, Girardi, Perilli, Micozzi e D’Amico ne sono perfettamente consapevoli.
Lo scenario non è tra l’altro uno dei migliori possibili. “A causa degli alti costi produttivi e di altre circostanze negative, quali la probabile totale soppressione degli aiuti comunitari al settore olivicolo (2013) e l’apertura totale dei mercati (2010) ai competitivi paesi produttori nordafricani (Algeria, Tunisia, Marocco), è oggi divenuto altamente prioritario e improcrastinabile per il nostro Paese valorizzare sempre più la qualità e la tipicità, promuovendo la sicurezza alimentare”.
Il gruppo di studiosi in questione dimostra di guardare in faccia la realtà e nessuno di loro intende certo nascondere una verità che tutti cvonoscono ma che la gran parte evita di affrontare: “occorre riorientare il settore pianificando nuovi indirizzi”, hanno tenuto a evidenziare, aggiungendo che si tratta di “perseguire l’obiettivo strategico dell’eccellenza qualitativa”.
Per acquisire tale consapevolezza è necessario studiare “nuove strategie produttive, ponendo l’enfasi sui processi di oleificazione”.
Nel corso del convegno di Portici il team di lavoro ha riportato i risultati che si riferivano a oli destoned e a oli biodestoned (comparati ad oli testimone), ottenuti con tecnologie innovative-emergenti, da un blend varietale di un extra vergine Igp toscano (da cultivar Leccino, Frantoio, Moraiolo e Pendolino). “I dati ottenuti, utilizzando approcci analitici HRGC, HPLC, HPSEC, GC-MS, spettroscopici ed altri, vanno ad incrementare il già vasto database da noi realizzato prelevando da oltre cinque anni un gran numero di campioni su tutto il territorio nazionale (comprese le regioni del Nord). Le ricerche afferiscono ai Progetti strategici Valorolio e Disossolio. Sono state esaminate in particolare oltre cento variabili analitiche afferenti alle diverse frazioni gliceridiche e nongliceridiche, comprendendo tra queste ultime sia fitomolecole terpeniche che nonterpeniche, sia cicliche che lineari. Questo lavoro è tuttavia essenzialmente un focus sulla frazione biofenolica e su quella volatile aromatica. I prodotti destoned, ottenuti dalla sola polpa delle olive, eliminando cioè preventivamente il nocciolo e la mandorla, hanno fatto registrare concentrazioni significativamente più alte di acidi fenolici, alcoli fenolici, flavanoidi, lignani, e derivati agliconici dell’oleuropeina e del ligstroside. Questa positività, da rimarcare, è certamente correlata alla rimozione delle elevate concentrazioni di perossidasi e polifenolossidasi presenti nella mandorla e all’azione soft del destoner, il quale a differenza del crusher non causa lo stress meccanico-termico della pasta oleosa e dunque la chinonizzazione termica degli antiossidanti fenolici. Il destoning - hanno opportunamente evidenziato il gruppo di studio composto da Ranalli, Contento, Girardi, Perilli, Micozzi e D’Amico - ha fatto inoltre aumentare significativamente i metaboliti volatili green biogenerati dalla LOX pathway, a partire principalmente dai 13-idroperossidi (con un sistema cis-cis-1,4-pentadienico) dell’acido linoleico (LA) e dell’acido α-linolenico (α-LnA). Ciò è verosimilmente legato alla minore inattivazione della idroperossidoliasi (un enzima coinvolto nella suddetta pathway), il quale è sensibile già alla temperatura di 15°C. Tali fenomeni - - si legge nel testo della relazione – sono apparsi ancora più marcati negli oli Biodestoned, ottenuti da olive prodotte con tecniche organiche ecosostenibili e trasformate col ciclo estrattivo integrale basato sul destoning. Anche i livelli di altri nutraceuticals e phytochemicals bioattivi, in particolare quelli dell’α-tocoferolo e dell’α-tocotrienolo,
sono risultati più alti negli oli destoned e biodestoned. Più in generale questi oli, in particolare quelli biodestoned, hanno evidenziato un più alto livello qualitativo globale, contraddistinguendosi soprattutto
per la marcata naturalità, l’intenso flavour, aroma, e fragranza, la prolungata shelf-life, la maggiore armonicità, nonché preferenza e accettabilità da parte dei panelist. Usando approcci chemiometrici, parametrici e non parametrici, essi sono risultati facilmente rintracciabili e discriminabili dai campioni
testimone, a conferma del loro diverso metaboloma. Essi sono prodotti funzionali ad alto valore aggiunto, di elevato valore bionutrizionale e salutistico, e con marcate proprietà edonistiche. Inoltre, sono idonei per
prevenire e combattere lo stress ossidativo, la sindrome metabolica, l’ossidazione delle LDL e l’arteriosclerosi, l’aggregazione piastrinica, la resistenza insulinica, l’invecchiamento precoce, e altri disordini e forme morbose dell’era moderna. Essi possono concretamente contribuire al riposizionamento competitivo del made in Italy sui mercati internazionali. Insieme agli oli Dop e Igp e agli oli bio, essi concorrono a formare il patrimonio delle eccellenze olearie del nostro Paese”.


Gli oleifici di grandi dimensioni e gli effetti su resa e qualità

Non meno importante lo studio presentato dal gruppo di lavoro del Centro di ricerca per l’olivicoltura e l’industria olearia di Città S. Angelo – costituito da Serena Maria Preziuso, Maria Gabriella Di Serio, Giuseppina Di Loreto, Maria Regina Mucciarella e Luciano Di Giovacchino – incentarto sulle attuali tendenze, in Italia, nella lavorazione delle olive in oleifici di grandi dimensioni.
Nel documento si legge in particolare che “in Italia, dove numerosi sono i frantoi di medio-piccole dimensioni, l’opera di ristrutturazione si è concretizzata, in tempi recenti, con l’istallazione, in alcuni oleifici industriali ubicati in regioni ad alta densità olivicola, di impianti continui di centrifugazione operanti a 2 fasi ed aventi elevata capacità oraria, anche superiore a 5 t/h. Nei predetti oleifici, inoltre, la lavorazione delle olive si effettua, talvolta, secondo il ciclo complesso della doppia centrifugazione che permette, da una parte, di recuperare la maggior parte dell’olio vergine che l’estrazione meccanica consente, e, dall’altra, di separare la parte legnosa della sansa, da utilizzare come combustibile”.
Gli autori dello studio scendono nel dettaglio: “In un grande oleificio operante in Puglia, dotato di 4 decanter centrifughi, ciascuno della capacità teorica di 5 t/h, e che adotta il diagramma della doppia centrifugazione delle paste di olive, preparate con due metodi di frangitura, e il recupero del nocciolino, sono state effettuate prove sperimentali che hanno consentito di verificare la validità tecnica del ciclo adottato, sia in termini di resa e qualità dell’olio sia per quanto riguarda le caratteristiche del nocciolino separato dalla fibra”.
La questione delle rese viene anch’essa affrontata con precisione di particolari: “I rendimenti di estrazione in olio, ottenuti nella prima centrifugazione della pasta di olive, sono variati tra l’85% e l’86% con leggere differenze dovute al diverso metodo di frangitura. La resa in olio, mediamente ottenuta dalla seconda centrifugazione, è stata di circa 0.3 kg di olio/100 kg di olive e, pertanto, il rendimento totale del ciclo è variato tra l’86 e l’88%”.
E per ciò che concerne gli extra vergini ottenuti dalla prima centrifugazione della pasta di olive, ricorrerendo a olive Coratina, “sono risultati di buona qualità, anche organolettica, con valori molto bassi dell’acidità libera, del numero di perossidi e degli assorbimenti spettrofotometrici specifici nell’UV, mentre elevati sono risultati i valori del contenuto di fenoli totali e delle clorofille”.
Per uqnato invece riguarda gli extra vergini ricavati dalla seconda estrazione, questi presentavano invece “un intenso colore verde e qualche anomalia di composizione, relativamente alla percentuale dei dialcoli triterpenici (eritrodiolo e uvaolo), risultata superiore ai limiti previsti dalla normativa per gli oli di oliva , ed al contenuto di alcoli alifatici”.
“Il nocciolino, separato dalla parte fibrosa, presentava infine buone caratteristiche come combustibile, poiché molto bassa era la percentuale di acqua, mentre è stato accertato che la quantità recuperata era da ritenere non elevata anche perché una percentuale intorno al 20-25% di nocciolino veniva lasciata nella parte fibrosa della pasta al fine di esercitare una funzione drenante nella successiva centrifugazione nel decanter a 3 fasi”.


La qualità degli oli con un’estrazione in atmosfera inerte

Gli studi presentati sono perfettamente entrati nel vivo delle questioni, fino a cponsiderare anche alcune specifiche aree di produzione, ma tra tutti i documenti presentati al convegno di Portici è senz’altro da segnalare per importanza la relazione circa gli effetti del processo di estrazione in atmosfera inerte (N2) sulla qualità dell’olio vergine d’oliva, di cui sono autori Romano, Giordano, Formato, Sacchi e Spagna Musso, espressione del Dipartimento di Scienza degli alimenti e del Dipartimento di Ingegneria Agraria e Agronomia del Territorio, entrambi operativi a Portici.
E’ merso che “durante la fase di estrazione dell’olio, la matrice grassa subisce inevitabilmente una degradazione ossidativa influenzata dalla presenza degli enzimi endogeni: polifenolossidasi (PPO), perossidasi (POD), lipossigenasi (LPO); e dalle condizioni tecnologiche di lavorazione: tempo e temperatura, concentrazione di ossigeno nella fase di molitura (sistema tradizionale) e gramolatura. In tale contesto, è stata valutata l’azione dell’azoto sulle caratteristiche qualitative dell’olio. E’ stato necessario costruire un sistema di estrazione a due fasi con la possibilità di mantenere la molazza e la gramola sotto flusso di gas inerte. I risultati ottenuti hanno evidenziato che abbassando la concentrazione dell’ossigeno con azoto durante l’estrazione, gli idroperossidi si riducevano del 20% circa rispetto all’estrazione in aria. L’acidità e gli indici spettrofotometrici non subivano apprezzabili variazioni, mentre le sostanze fenoliche erano presenti ad una concentrazione maggiore nell’olio estratto sotto flusso di azoto”.


L’intensità di amaro e piccante

Alessandro Biasone, Giuseppina Di Loreto e Serena Maria Preziuso, del Centro di ricerca per l’olivicoltura e l’industria olearia di Città S. Angelo, hanno presentato lo studio delle correlazioni tra le intensità degli attributi organolettici di amaro e piccante e le concentrazioni dei composti che ne sono responsabili.
“L’attuale metodologia di assaggio dell’olio d’oliva vergine – sostengono gli autori – prevede l’impiego di personale addestrato al riconoscimento olfattivo e gustativo dei suoi attributi. Tuttavia, pur riconoscendo un ruolo di estrema rilevanza all’analisi sensoriale (panel test) nella classificazione merceologica degli oli, l’impiego di tale test presenta dei problemi legati agli alti costi per la formazione e il mantenimento della performance degli assaggiatori , alla necessità di un elevato numero di sedute di assaggio nonché di una continua disponibilità dei membri del panel. Ma non sempre il punteggio del panel rispecchia i gusti del consumatore, a volte carente di un’adeguata e chiara informazione sulle caratteristiche qualitative del prodotto. Indagini di mercato, infatti, indicano che il consumo di oli dolci e con aroma delicato sta
rapidamente conquistando aree sempre più vaste, anche nel sud del Mediterraneo, sebbene le abitudini alimentari di questa zona prediligessero il consumo di oli caratterizzati da aroma abbastanza intenso e da
pronunciate sensazioni di amaro e piccante. È evidente che oli troppo amari e piccanti possano non essere graditi, ma un fruttato con una nota di amaro e piccante è senz’altro più completo.
È noto che gli attributi di amaro e piccante dell’olio sono da imputare alla presenza delle sostanze fenoliche, la cui determinazione, al momento, non è prevista dalla legislazione vigente. Ciò nonostante c’è grande attenzione, da parte delle aziende olivicolo-olearie, ad una valutazione economica e veloce
degli attributi di amaro e piccante al fine di commercializzare i diversi oli indirizzandoli, in base alle caratteristiche sensoriali più o meno spiccate, verso i mercati più idonei.
Pertanto si è ritenuto di grande utilità avviare uno studio che mettesse in evidenza le correlazioni tra le intensità di percezione, al panel test, delle note di amaro e piccante e le concentrazioni delle sostanze fenoliche responsabili di tali attributi, mediante HPLC.
A tal fine sono stati analizzati 36 campioni di oli extravergini di diversa provenienza commerciale.
I dati ottenuti hanno effettivamente rilevato una buona corrispondenza tra la maggiore percezione degli attributi amaro e piccante determinati tramite panel test ed il contenuto delle sostanze fenoliche con l’intensità di amaro (aglicone decarbossimetiloleuropeina forma dialdeidica, aglicone oleuropeina forma aldeidica e idrossilica, oleuropeina, tirosilacetato) e di piccante (aglicone decarbossimetilligstroside forma dialdeidica).
Tale studio – ammettono gli autori – potrebbe gettare le basi per un rapido screening degli oli; riducendo così il numero di campioni da sottoporre all’assaggio e scartando a priori quelli che, a causa dell’elevato contenuto fenolico, risultassero disarmonici. Ciò consentirebbe inoltre ai produttori di preparare blend dal gusto armonico e apprezzato da grandi fasce di mercato.



(4. Continua)

LEGGI ANCHE

1. Cosa bolle in pentola sul fronte olivo, olio e mercati?
link esterno

2. Tutti alla ricerca del modello olivicolo perfetto
link esterno

3. Occhi puntati sul miglioramento genetico dell’olivo
link esterno