L'arca olearia

ETICHETTATURA OLIO DI OLIVA. QUALCOSA NON VA. FIOCCANO LE MULTE. COME DIFENDERSI?

Le ispezioni sono in atto da qualche mese e già vi sono le prime lamentele. Ma perché in Italia manca il dialogo tra controllori e controllati? Non sarebbe utile per tutti assumere un atteggiamento più costruttivo? Le intenzioni ci sono. Nostra intervista a Giuseppe Fugaro, dell'Ispettorato centrale repressione frodi, con importanti rivelazioni

19 giugno 2004 | Luigi Caricato

La legislazione comunitaria in materia di etichettatura degli oli di oliva ha in qualche modo messo a soqquadro l’intero comparto. I provvedimenti legislativi hanno inevitabilmente causato problemi. E quando si parla di problemi non si fa solo riferimento alla burocrazia che si aggiunge a quella già pre-esistente, inducendo all’esasperazione soprattutto i piccoli e medi produttori, coloro che non hanno una struttura organizzativa tale da poter fronteggiare le continue novità del legislatore. Ora, in materia di etichettatura degli oli, i riferimenti sappiamo tutti essere ormai il regolamento comunitario 1513 / 2001, in cui si riportano le nuove descrizioni e definizioni dell’intera gamma degli oli di oliva. Novità che risultano in applicazione già dal primo novembre 2003.
Poi, a seguire, vi è stato il regolamento 796 / 2002, che ha introdotto invece altre novità, specificatamente alla valutazione organolettica degli oli vergini di oliva, per la quale si richiede una nuova metodica del cosiddetto “calcolo della mediana”.
Quindi è stata la volta del regolamento 1019/2002, quello, per intenderci, relativo alle norme di commercializzazione dell’olio di oliva; altra questione come al solito molto controversa e di cui abbiamo riferito già in precedenti servizi, riguardo per esempio alla imposizione della capacità massima di 5 litri per gli imballaggi destinati al consumatore finale da presentare con chiusura ermetica e relativa etichettatura.
Tale regolamento introduce peraltro i dettagli necessari per fornire al consumatore un’informazione sulla categoria dell’olio; la designazione dell’origine, quando prevista, e alcune indicazioni facoltative quali ad esempio quella di “prima spremitura a freddo” o di “estratto a freddo“; l’indicazione facoltativa dell’ acidità libera, a condizione però che sia accompagnata dai valori dell’ indice dei perossidi, del tenore in cere, e dei valori spettro fotometrici seguiti a loro volta dalla frase “valori massimi all’atto del confezionamento“.
Di questo e altro in allegato a tale articolo si fornisce un approfondimento schematico, potendo così consultare gli appositi documenti esemplificativi a cura dell’Ispettorato repressione frodi. Forse poco noti ai più, ma esistenti. Importa in ogni caso evidenziare come ancora oggi in molti abbiano le idee confuse, segno evidentemente o che poco sia stato detto e precisato poco e male al riguardo, o, per contro, che la disattenzione dei produttori sia stata tale da non comprendere a sufficienza quanto l’essere sul mercato comporti inevitabili obblighi che vanno rispettati.
Abbiamo ricevuto notizia di diversi casi di multe comminate ad aziende olearie, ma a seguito di una nostra specifica richiesta non abbiamo mai ricevuto finora lettere sul tema, segno tangibile, evidentemente, che tanta sia la vergogna a rendere pubblica la propria disavventura o che fiacco sia, comunque, il coraggio nel denunciare qualcosa che si ritiene essere in ogni caso iniqua.
Sono sempre giusti e doverosi gli interventi degli organismi di controllo?
Sono effettuati con professionalità e seguendo direttive valevoli per tutto il territorio? O ciascuno interpreta in modo personale le direttive comunitarie?
E poi: sono proprio necessarie le multe o è il caso di manifestare una certa flessibilità, soprattutto quando la materia appare poco chiara o comunque viene percepita come tale?
Ricordiamo peraltro che si è in un periodo di transizione e che molte indicazioni del legislatore sono oltretutto contestabili quando non addirittura penalizzanti il comparto olio di oliva a beneficio, come al solito, di altri oli vegetali.
E’ però l’indicazione dell’origine geografica, in particolare, che ha posto seri problemi agli olivicoltori che imbottigliano. Non tutti ancora hanno compreso che sia da ritenersi “olio italiano” non quello prodotto in Italia ed effettivamente italiano perché ricavato dalle proprie olive, ma solo quello che presenta in bottiglia il codice alfanumerico assegnato all’azienda confezionatrice e che comporta la relativa burocrazia. Ma inserire comunque l’indicazione “Italia” nell’indirizzo dell’azienda si può? A questi interrogativi si possono avere le risposte nei documenti allegati in coda all’articolo.

Intanto una riflessione. Sulla questione etichettatura persiste un silenzio generale. La sensazione è che manchi soprattutto un dialogo tra le Istituzioni che effettuano controlli e i controllati. Ma soprattutto emerge anche una grande “paura” da parte delle aziende nell’avviare tale confronto, cercando di costruire una salutare relazione di reciprocità e collaborazione. Di chi è la responsabilità?

INTERVISTA A GIUSEPPE FUGARO
Sull’argomento abbiamo ascoltato il parere del dottor Giuseppe Fugaro, responsabile dell’indirizzo e coordinamento attività ispettiva presso l’Ispettorato centrale repressione frodi.

Sono in diversi coloro che ci hanno contattato per le multe ricevute a ragione di una errata etichettatura degli extra vergini immessi in commercio. Ci chiamano un po’ allarmati e un po’ stupiti perché non si attendevano un giudizio di inidoneità da parte degli organismi di controllo. Può dirmi le novità emerse al riguardo? Si stanno intensificando i controlli, a quanto pare. Ecco, cosa sta emergendo in particolare?

I controlli sono la conseguenza della nuova regolamentazione comunitaria in materia di etichettatura. Ci sono indicazioni obbligatorie e una serie di indicazioni facoltative che tuttavia, per essere apposte in etichetta, debbono a loro volta rispettare le specifiche condizioni stabilite dal legislatore. La nuova norma impone che nello stesso campo visivo si includa una serie di riferimenti. Tra cui, nel caso dell’extra vergine, la dicitura: olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici. Certo, la lunga serie di riferimenti appesantisce, abbruttendola, l’etichetta...

Non le sembra che rispetto ad altri oli vegetali la categoria degli oli di oliva sia un po’ penalizzata? E’ come se il legislatore volesse “punire” uno specifico comparto adottando regole più restrittive ed esasperanti…

Sì, può sembrare per certi aspetti punitiva la disposizione, rispetto ad altre aree di prodotto. Però c’è la possibilità di trovare una soluzione. La legge chiede che certe disposizioni siano riportate nello stesso campo visivo, e complete, sull’etichetta. Ora, solitamente tutte le bottiglie d’olio sono provviste di doppia etichetta e non è specificato quale tra le due sia da considerarsi quella principale. L’importante è che sull’etichetta posteriore vi sia in maniera completa ciò che il legislatore chiede. Poi, sull’altra etichetta si può dare al marchio, al nome, alla rappresentazione grafica, la giusta evidenza. In ogni caso le nuove norme non le giudicherei penalizzanti, perché le disposizioni attuali tutelano sia il consumatore, sia lo stesso produttore. Il primo in quanto può disporre di un’informazione accurata sul prodotto che acquista; il secondo perché in tal modo può offrire garanzie chiare e specifiche sulla qualità del prodotto che presenta sul mercato.

La dicitura “olio di oliva di categoria superiore” riservata all’extra vergine non rende però piena giustizia al prodotto in sé. Ovvero, un extra vergine d’eccellenza viene equiparato inevitabilmente – da chi non se ne intende – a un extra vergine mediocre, in quanto rientranti nelle medesima categoria merceologica. Ecco, per intenderci, una bottiglia da tre euro ed una invece da trenta euro, sono entrambe accomunate dalla riduttiva definizione, appunto, di olio di oliva di “categoria superiore”. Non le sembra mortificante, lo dico per i produttori di qualità, tale livellamento imposto dal legislatore?

Sì, ma attenzione. L’accezione “di categoria superiore” non è una denominazione. Non può essere riportata oggi come oggi. Denominazioni diverse da quelle obbligatorie non possono essere inserite in etichetta. Il fatto che un olio sia indicato come “genuino”, per esempio, non è ammesso, può trarre in inganno il consumatore.

No, io faccio riferimento a quanto disposto dal legislatore con il regolamento comunitario 1019 del 2002, secondo cui l’olio extra vergine di oliva dovrà riportare la seguente specifica “olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”…

Non è però solo “superiore”, c’è anche il resto della frase…

Certo, resta comunque di “categoria superiore”, indistintamente, sia un extra vergine da tre euro, sia uno da trenta euro…

L’olio è tutto di una medesima qualità. O venduto a tre o venduto a trenta euro deve possedere obbligatoriamente le indicazioni di legge. Se poi quello da trenta euro ha una qualità peculiare, perché ottenuto per esempio a freddo, vi sono allora le indicazioni facoltative, che però devono essere dimostrate.

I produttori che ci hanno contattato hanno dovuto pagare delle penalità per avere inserito in etichetta un’indicazione di provenienza al di fuori dell’istituto giuridico delle Dop. Avete riscontrato molte anomalie di questo tipo?

Sì, molte. Noi abbiamo le Dop, le denominazioni di origine protetta. Secondo tali indicazioni, l’olio dovrà necessariamente corrispondere ai requisiti previsti dalla legge. Non si possono utilizzare riferimenti geografici in modo improprio.

Ritiene che ci sia stata la giusta e tempestiva comunicazione da parte della Istituzioni, per informare sui criteri di realizzazione delle etichette? Alcuni produttori hanno per esempio lamentato una scarsa conoscenza, un’incertezza in certi casi, o comunque una interpretazione delle norme variabile da regione a regione, in base agli uffici periferici di ciascun organo di controllo. Ciò è possibile o si tratta di una libera fantasia dei produttori? E poi, è giusto parlare di “errori” commessi da chi confeziona ed etichetta? O ritiene che si tratti invece di infrazioni vere e proprie, volontarie, che non possono essere quindi giustificate?

Abbiamo riservato grande attenzione a questa fase di transizione. Certo, ci sono operatori che sbagliano, ma in buona fede io credo. Infatti in questi mesi abbiamo fatto anche da consulenti, a chi ci chiedeva chiarimenti sulla corretta applicazione delle norme. Molte volte riusciamo ad arrivare a fare controlli prima che le bottiglie vengano poste in commercio in modo da evitare le sanzioni. Nello stesso tempo non possiamo nascondere che vi sono alcuni che lo fanno in mala fede. Noi comunque siamo attivi. Abbiamo undici uffici periferici, i quali a loro volta hanno altre sedi staccate. Tutti gli uffici operano sotto il coordinamento centrale. Proprio ieri ( 17 giugno, ndr) abbiamo diffuso una circolare diretta ai nostri uffici periferici - e per conoscenza anche alle associazioni di categoria - in cui si annunciavano controlli sull’etichettatura degli oli di oliva. Questo anche a seguito del fermo applicativo dovuto alla sospensione determinata dal Tar della Liguria. Ora tuttavia abbiamo ripreso in maniera organica e completa.

Possiamo comunque sostenere che in generale la maggioranza dei confezionatori segue le norme…
Sì, non possiamo dire che ci sono frodi a tutto spiano, né che tutto vada bene. Certo, la maggioranza segue le norme o cerca di adeguarsi.


Ecco, tornando ancora una volta sulla disparità di trattamento verso chi opera nel comparto oli vegetali non d’oliva, non le pare che vi sia un accanimento verso le aziende produttrici di extra vergine? I confezionatori di oli di semi, per esempio, non mi pare siano sottoposti a controlli altrettanto meticolosi. Si legge spesso – riguardo a un noto olio di riso - la definizione di “olio della salute” usata in maniera impropria, senza che nulla accada per contrastare tale anomalìa? In altri casi invece si ricorre alla definizione, riportata in etichetta, di olio dietetico. Ecco, perché accade tutto ciò, senza che vi sia un intervento specifico di contrasto e di dissuasione, senza che vi siano – soprattutto – le doverose sanzioni?

Perché gli altri oli sono oli commerciali che hanno alle spalle un imprenditoria di carattere appunto commerciale, molto più ricca di quella agricola. Gli oli vergini di oliva fanno invece riferimento a una espressione tipica della nostra agricoltura e pertanto è chiaro che soffrano maggiormente rispetto ai prodotti di tipo industriale. Il potere economico di chi pubblicizza un olio non di oliva è di gran lunga superiore rispetto a chi invece opera nel comparto olio di oliva e deve difendersi con il prodotto e basta.

Ciò non toglie che la definizione di “olio della salute”, tanto esibita da un’azienda che pubblicizza l’olio di riso, sia oltre che fuori luogo anche illegittima…

Lo dovrebbero quanto meno dimostrare. Ora, dicendolo tra di noi – anzi, dicendomelo a me stesso…

Tutti i quotidiani hanno riportato nei mesi scorsi un’intera pagina pubblicitaria con l’esplicita indicazione di “olio della salute”…

Ciò mi spinge a pensare a un’attività di controllo in quel settore…

Un extra vergine è un olio che sul piano salutistico e nutrizionale è ineguagliabile, ma non può riportare tale specifica caratteristica, in quanto sono previste severe sanzioni. Perché allora alcuni oli, come l’olio di riso, nettamente inferiori, abusano di tale lasciapassare per far breccia sui consumatori?

Perché l’olio di riso si difende esclusivamente come prodotto commerciale. Lo si può sanzionare solo in base alla legge generale dell’etichettatura, nel momento in cui, analizzato, risultasse che invece che avere le proprietà salutistiche avesse il contrario. Però fra breve ci sarà una direttiva comunitaria che punterà a sanzionare tutte le indicazioni dei benefici effetti che non siano documentabili scientificamente. Oggi purtroppo non c’è questa legge e tutto può accadere, tali prodotti possono girare liberamente, tranne che non facciano male. L’olio di oliva invece fortunatamente questa legge ce l’ha.

E invece ciò invece diventa punitivo proprio per l’olio di oliva…

Ma io la vedrei invece secondo una valenza positiva.

Intanto però vi sono in circolazione oli di semi che possono vantare in etichetta la qualifica di “dietetici”. E’ un assurdo.

E’ il potere dell’industria rispetto all’agricoltura.

Mi permetta infine un’osservazione di carattere linguistico. Non ritiene anacronistica e poco convincente l’espressione “repressione frodi”? Non si poteva pensare di mutare nome, pensandolo in un’ottica positiva. L’esistenza di un Ispettorato Repressione frodi presuppone che il Paese sia frequentato in gran parte da abili truffatori? Oppure che in Italia vi sia un regime punitivo e per nulla propositivo, educativo e collaborativo…

La nostra origine risale alla vicenda del metanolo, quindi parte in un momento in cui occorreva fronteggiare un problema piuttosto grave. Occorreva reprimere una grossa frode e ci siamo portati avanti da allora tale denominazione. Oggi per cambiarla è necessaria una apposita legge. Però il nostro logo si completa in questo modo: tutela del consumatore e difesa della qualità dei prodotti. Cerchiamo di smorzare il carattere repressivo che viene dal nome. Però le assicuro che stiamo cercando di trovare una soluzione al nome. Oggi facciamo valere in particolare la sigla “Icrf”.

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