L'arca olearia

LA REGGIA DI PORTICI TRA OLIVO E OLIO

Nel corso del recente convegno sul "Miglioramento qualitativo dell'olio di oliva" sono emersi alcuni utili spunti di riflessione. Ma anche i risultati dell'attività scientifica degli ultimi anni e le prospettive di crescita per l'olivicoltura campana. Di notevole interesse il riscontro di uno studio sull'effetto di varietà e ambiente sulla microstruttura oliva

15 maggio 2004 | Mario Chiurazzi, Rosaria Romano

Lo scorso 29 aprile si è svolta la terza edizione del convegno sul Miglioramento della Qualità degli Oli di Oliva in Campania, che ha avuto come scenario la splendida Reggia di Portici, sede della illustre ed ormai centenaria Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli Federico II.
Con il convegno, in cui sono stati presentati i risultati della ricerca applicata in Campania relativamente al comparto olivicolo-oleario e il cui responsabile scientifico è stato il professor Raffaele Sacchi (Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Facoltà di Agraria di Portici), si è concluso il “Progetto Regionale di Miglioramento Qualitativo dell’Olio di Oliva–Reg. CE 2136/2002”, il quale a sua volta, si inserisce nel Programma Europeo sul Miglioramento della Qualità dell’Olio di Oliva che nasce qualche anno fa con il Reg. 528/1999. Quest’ultimo, nel corso degli anni, è stato integrato con altri regolamenti fino ad arrivare al 2136/2002 di cui sopra, il quale prevede, tra i vari sottoprogetti, la collaborazione con organismi specializzati nella realizzazione di programmi di ricerca, al fine di migliorare la qualità dell’olio di oliva vergine. Ancora incerta è la situazione per il 2004/2005, spiega il dott. Roberto Gelone (Se.S.I.R.C.A., Assessorato Agricoltura, Regione Campania), in quanto in sede comunitaria è stato approvato il nuovo Reg. 1334/2002, il quale prevede che il programma di miglioramento dell’olio di oliva venga affidato direttamente alle associazioni dei produttori, escludendo sia la Regione dal ruolo di guida, controllo e coordinamento del progetto, sia la collaborazione con gli organismi di ricerca di cui sopra.
Al convegno sono intervenuti i responsabili scientifici dei gruppi di ricerca coinvolti nel progetto di “Miglioramento qualitativo dell’olio di oliva”. Tra questi il prof. Raffaele Sacchi, nel corso della sua relazione, ha dato ampio risalto alle sostanze fenoliche dell’olio, responsabili dell’amaro e del piccante, sottolineando il loro ruolo fondamentale, in quanto antiossidanti, nella stabilità e quindi nella shelf–life degli oli. “L’importante è convincere il consumatore ed il vecchio olivicoltore che l’amaro ed il piccante sono pregi e non difetti”, dice il relatore; questo, infatti, rappresenta ancora un ostacolo al consumo degli oli di qualità in Campania, in quanto, nonostante i vari tentativi di far conoscere l’importanza delle proprietà chimiche degli oli, ancora molti sono i consumatori, nonché i produttori, legati alle vecchie abitudini e tradizioni alimentari.
La professoressa Rosa Rao (Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e dell’Ambiente, Facoltà di Agraria di Portici), ha sottolineato, invece, l’importanza della certificazione genetica delle innumerevoli varietà di olivo presenti nella nostra regione, soprattutto se si tiene conto del ruolo fondamentale che esse hanno nella certificazione di un olio Dop. La relatrice spiega che tale certificazione può essere realizzata o mediante l’utilizzo di descrittori morfologici, che richiedono l’acquisizione di esperienze e competenze sempre più difficili da trovare nella maggior parte dei tecnici operanti nel settore, o grazie all’utilizzo di tecniche di biologia molecolare, mediante descrittori molecolari, ormai di semplice e rapido utilizzo nei più comuni laboratori di analisi. A tal proposito sono state analizzate, mediante profili distintivi AFLP, 15 varietà di olivo campane in precedenza descritte morfologicamente dal prof. Giuseppe Pugliano (Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale, Facoltà di Agraria di Portici) nel suo libro “La risorsa genetica dell’olivo in Campania”, trovando significative differenze fra i patterns distintivi di ciascuna varietà. Lo scopo è quello di creare una banca dati multimediale (www.olivocampano.it) delle varietà campane di olivo che affianchi ai dati morfologici e fisiologici, quelli molecolari. Durante l’attività di ricerca, inoltre, è stato possibile individuare ben 6 gruppi di varietà probabilmente omonime e 7 gruppi di varietà sinonime, a testimonianza della sensibilità e dell’importanza del metodo utilizzato. Altra rilevante attività di ricerca del gruppo della prof.ssa Rao è stata la messa a punto di un protocollo di estrazione del DNA dall’olio e la successiva analisi dei relativi acidi nucleici mediante sonde molecolari capaci di supportare le attuali analisi chimiche e biochimiche nella tracciabilità del prodotto.
La prof.ssa Giovanna Aronne (Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale, Facoltà di Agraria di Portici) ha presentato i risultati di uno studio condotto circa l’effetto della varietà e dell’ambiente sulla microstruttura dell’oliva. Al fine di una più accurata e oggettiva identificazione delle diverse varietà di olivo, sono state individuate differenze anatomiche e citologiche significative nelle olive delle cultivar analizzate, anche in relazione all’effetto che la maturazione e l’irrigazione possono avere sul loro sviluppo. Ad esempio, nelle cultivar esaminate l’effetto varietale si manifesta nella diversa dimensione e forma della cuticola, delle cellule dell’epidermide e del mesocarpo, il cui contenuto in olio, che si presenta sotto forma di gocce (tecnicamente definite oleosomi), sembra rimanere invariato nelle olive mature rispetto a quelle verdi. Inoltre, nel corso della maturazione e in assenza di irrigazione le dimensioni delle cellule del mesocarpo diminuiscono significativamente, mentre aumentano in irriguo.
Il prof. Umberto Tomati (Istituto di Biochimica Agro–Ambientale e Forestale, CNR, Roma) ha trattato della problematica inerente l’utilizzo dei reflui dell’industria olearia, l’aspetto meno “nobile” del comparto, mettendo in evidenza tanto le tradizionali possibilità di impiego degli stessi, quanto quelle meno convenzionali e probabilmente anche più remunerative. Oltre a brevi cenni riguardanti lo spargimento sui terreni agricoli dei reflui tal quali ed il compostaggio degli stessi al fine di ottenere un compost di qualità, sono state esplorate dal relatore altre vie per la valorizzazione degli scarti dell’oleificio. In particolare è risultata molto interessante la possibilità di estrarne le sostanze fenoliche, particolarmente abbondanti nelle sanse, o l’utilizzo di queste ultime come substrato di crescita per la produzione di biomasse batteriche e fungine. In particolare si è parlato dell’utilizzazione dei residui come ottimo substrato per la crescita di funghi edibili, come quelli del genere Pleurotus, per la produzione di biomasse microbiche da utilizzare poi come fertilizzanti o per la produzione di chitosani (attualmente estratti con bassa resa dai gusci di gamberetti), B – glucani, esopolisaccaridi fungini, o chitine. Per la convenienza economica di tali applicazioni, sarebbe però opportuno operare a livello di comprensorio, istituendo imprese specializzate capaci di raccogliere i residui di parecchi frantoi.
Dunque, negli ultimi anni notevoli passi avanti sono stati compiuti nel comparto olivicolo campano; si pensi ad esempio, come spiegato dal dott. Roberto Gelone, che la superficie olivetata campana nel 2002 è arrivata a 75256 ha, rispetto ai 69288 ha del 2000, facendo registrare un incremento dell’8% circa. La produzione, invece, ha un trend di crescita inferiore in quanto sono molti i giovani impianti non ancora in piena produzione.
Lo sviluppo dell’olivicoltura campana passa attraverso due strade obbligate e parallele: il miglioramento della qualità e la valorizzazione delle tipicità; allo stato attuale, infatti, sono tre le DOP riconosciute in Campania (Penisola Sorrentina, Colline Salernitane e Cilento) ed altre 5 sono in via di riconoscimento (Colline Caiatine, Terre Aurunche, Sannio Caudino – Telesino, Colline Beneventane, Irpinia – Colline dell’Ufita). Di notevole importanza a tale proposito è la netta crescita, dal 2000 al 2004, di superfici ed aziende olivicole iscritte all’albo per la certificazione, e l’aumento del consumo di oli certificati.
Comunque nonostante i successi degli ultimi anni, non siamo che all’inizio rispetto alle enormi potenzialità di un settore, quello olivicolo – oleario, purtroppo ancora parzialmente in ombra.

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