L'arca olearia
COMPARTO OLIO DI OLIVA SOTTO COSTANTE PRESSIONE. LA BATTAGLIA E’ DURA, MA E’ NECESSARIO RESISTERE
Dapprima la questione dell’olio sfuso, con il via libera del Tar ai produttori. Ma Alemanno si oppone e ricorre al Consiglio di Stato. Come se non bastasse, il ministro Matteoli confonde l'extra vergine con gli oli minerali per automobili. Impone una tassa iniqua mettendo in pregiudizio i già fragili equilibri di un sistema. Ecco i retroscena, con un occhio al passato
13 marzo 2004 | Luigi Caricato
Eâ qualcosa di incredibile. Due ministri della Repubblica italiana, Alemanno e Matteoli, minacciano gli equilibri già fragili di un comparto che vive momenti alterni, ora di euforia, ora invece pesantemente infausti. Da una parte si annuncia infatti un futuro roseo, perché mai come ora le attenzioni per gli oli di oliva sono state così evidenti e tangibili; dallâaltra, per contro, si intona un inquietante de profundis, proprio in ragione di una serie di assurde e inique disposizioni volute dal legislatore italiano e comunitario.
Procediamo dapprima con la questione della tassa sullâolio
Altero Matteoli è ministro dellâAmbiente. Eâ un politico puro, quindi non è la persona adatta per affrontare tali argomenti con competenza. Ci rivolgiamo pertanto ai suoi sottoposti, che tuttavia hanno dato comunque il via libera a una disposizione non soltanto iniqua, ma tecnicamente impropria, oltre che inopportuna.
Il perché? Eâ molto semplice: lâolio vergine ed extra vergine di oliva non può essere considerato soggetto alla tassa in questione perché si tratta di un alimento destinato a essere impiegato soprattutto a crudo, quale condimento o ingrediente, e solo in minima parte quale liquido di frittura. In questâultimo caso sono soprattutto le imprese industriali (quelle per esempio che confezionano patatine fritte) a farne ampio ricorso, ma non certo affidandosi allâolio di oliva extra vergine, quanto invece ai generici oli di semi, in ragione del loro più basso costo. Inoltre, è la stessa ristorazione a ricorrere a quantitativi enormi di olio di semi per la frittura. Lo sanno anche i bambini.
Stupisce dunque che un tale Altero Matteoli, proveniente comâè dalla Toscana, ignori la realtà della sua terra, le tradizioni di un popolo e in particolare la inopportunità di una decisione che, come tale, può solo essere a vantaggio esclusivo di pochi. Lo stesso ministro alle Politiche agricole Gianni Alemanno, nonché compagno di partito di Matteoli, nonostante si sia disinteressato allâolivicoltura italiana (come del resto è capitato con chi lo ha preceduto al dicastero) ha manifestato seri dubbi sul decreto.
Non è, in ogni caso, soltanto una questione di costi aggiuntivi â anche se lâiniquità della tassa incide comunque, a livello nazionale, per un totale di circa un milione e mezzo di euro â ma è il principio in sé châè sbagliato: non ha infatti alcun senso ritenere lâextra vergine inquinante quanto, per esempio, lâolio minerale utilizzato per le automobili.
Le ragioni delle associazioni di categoria
Un comunicato diffuso dalla Confederazione italiana agricoltori esprime il proprio âno!â, perentorio, circa la tassa sullâolio. Secondo la Cia, infatti, la nuova disposizione si tramuterebbe per i consumatori in un ennesimo aumento dei prezzi. Non contenti, quelli della Cia denunciano lâassalto da parte dellâolio-pirateria sui mercati a danno della qualità e della tradizione del nostro Paese. Uno scenario difficile si sta infatti prospettando a breve.
Secondo Massimo Pacetti, presidente nazionale Cia, la sua organizzazione si sta impegnando nel promuovere un organico sviluppo del settore. Intanto per la Confederazione il decreto del Ministero dellâAmbiente, entrato in vigore il 4 marzo scorso, âha stabilito per lâolio destinato ad uso alimentare un contributo da versare al Consorzio obbligatorio nazionale di raccolta e trattamento degli oli grassi vegetali ed animali esausti. Un contributo pari a 3,09 euro a tonnellateâ.
âSi trattaâ, per la Cia, âdi una âgabellaâ assurda e assolutamente ingiustificata, che peserà sia sui consumatori che sulle impreseâ. Una tassa per lo smaltimento dellâolio che inciderà per circa 0,005 euro/litro!
Anche la Coldiretti insorge: âl'introduzione di una 'tassa' sull'olio destinato all'alimentazione determinerà un aumento dei costi per le famiglie, stimabile in quasi un milione e mezzo di euro, senza alcuna reale motivazione ambientale e con effetti sugli acquisti, proprio mentre gli imprenditori agricoli sono impegnati in una campagna di valorizzazione dell'extra vergine nazionale, in Italia e in Europa. A differenza degli oli industriali, o di quelli delle automobili, gli oli vegetali destinati all'alimentazione vengono normalmente utilizzati come condimento o come ingrediente di particolari ricette per essere consumati e non generano quindi rifiuti da riciclare con l'unica eccezione di una minima parte destinato alla frittura, soprattutto nella ristorazione. Per questa ragione â proseguono dalla Coldiretti - la fissazione di un contributo indiscriminato sulle vendite di tutti gli oli, destinato al finanziamento delle attività di un Consorzio non risponde a reali esigenze di carattere ambientale, trasformandosi in un prelievo ingiustificato a danno delle imprese e dei consumatori, che non mancherà di determinare effetti negativi sugli acquisti. Si tratta di un costo aggiuntivo che colpisce sopratutto la produzione nazionale di extra vergine di oliva, che è il preferito dagli italiani e che rappresenta una componente importante della dieta mediterraneaâ.
La questione dellâolio sfuso.
Ne abbiamo già ampiamente scritto nei numeri precedenti. Però non abbiamo espresso la nostra posizione al riguardo. Ebbene, siamo contrari allâidea che si continui a praticare la vendita dellâolio di oliva, vergine ed extra vergine, allo stato sfuso.
Primo: perché non è la soluzione ideale per ridare slancio a un settore dalle ottime potenzialità , ancora inespresse. Infatti il valore aggiunto lo si può conseguire soltanto attraverso il canale commerciale dellâimbottigliato.
Secondo: perché in alcune aree del Paese, laddove si producono ancora grossi volumi di lampante, questâolio continua a essere venduto come tale, quando in realtà non lo si può in nessun caso destinare al consumo diretto.
Terzo: perché è inattuale e pertanto anacronistico un tale sistema di vendita. Immagino il consumatore di città con la tanichetta dâolio da portare giù in cantina, da travasare in bottigliette, magari già unte dâolio della passata campagna olearia, e da riempire con lâimbuto impolverato, e via a seguire.
Tuttavia, a parte queste annotazioni, va pure precisato che il mercato dellâolio allo stato sfuso riguarda comunque una quota importante del mercato che neppure può essere sottovalutata.
Cosa significa? Che se il mercato insiste con tale formula âprimitivaâ di commercio, non si concepisce certo il motivo per cui una legge dello Stato, o della Comunità , debba poi imporne il divieto. Non lo si dice qui perché si è contro le imposizioni per partito preso, ma semplicemente perché la forzatura è da ritenersi comunque impropria e inutile. Si tratta semmai di educare il produttore (ma anche il consumatore, in verità ) a compiere da solo il passaggio dallâolio sfuso allâolio imbottigliato, favorendo peraltro, con opportuni e adeguati incentivi, le aziende agricole e i frantoi che già confezionano il prodotto.
La posizione del viceministro Delfino
Al riguardo il viceministro alle Politiche agricole Teresio Delfino ha risposto in Aula allâinterrogazione del parlamentare Basilio Catanoso, dichiarando testualmente che: âil Ministero, allo scopo di venire incontro alle diverse esigenze delle varie componenti della filiera oleicola aveva richiesto e ottenuto dalla Commissione Europea una proroga di un anno, valida fino al novembre 2003, della disposizione riguardante gli imballaggi. Inoltre, ha previsto, con il Dm 3115 del 2003, di consentire per gli oli destinati alle collettività lâutilizzo di imballaggi fino a 25 litriâ.
Quanto poi alla decisione del Tar Liguria di annullare il decreto ministeriale 3115/2003, il Ministero ha già presentato appello al Consiglio di Stato: âDobbiamo tutelare â ha insistito Delfino â i consumatori, la valorizzazione dellâolio di oliva e la tracciabilità del prodotto. Sono strumenti efficaci contro le sofisticazioni e le frodi, mirati a sostenere i produttori impegnati nella qualificazione del prodotto. Câè comunque attenzione e disponibilità a ricercare soluzioni di norme nazionali semplificative per le vendite diretteâ.
La risposta è âpoliticaâ. Lâattenzione massima è riservata come sempre al consumatore, che va tutelato. Si ignora però il fatto che sono proprio i consumatori delle zone di produzione a insistere nellâacquistarlo direttamente dal produttore allo stato sfuso. Giusta o sbagliata che sia, è una realtà che non si può non valutare anche attraverso i numeri. Nel 2001 secondo lâIsmea gli acquisti di prodotto sfuso si sono attestati su circa 71 mila tonnellate, con un calo del 6,2 per cento rispetto al 2000, ma resta pur sempre una quota significativa. La si vuole forse azzerare con la sola forza impositiva della legge? E cosa si nasconde dietro tale volontà del legislatore?
Si attende pazientemente una risposta. Intanto si punta il dito sullâUnione europea. Ma si è proprio sicuri che sia la diretta responsabile?
Uno sguardo al passato
Rinfreschiamo la memoria a quanti per distrazione non se ne sono resi conto. Chi rammenta infatti la circolare 165 del 2000, emanata dallâallora ministro dellâIndustria? Una norma che riprendeva lâarticolo 7 della legge numero 35 del lontano 1968, rimasta a suo tempo inapplicata (giustamente) perché inopportuna: imponeva che gli oli di oliva destinati al consumatore fossero posti in vendita esclusivamente preconfezionati in recipienti ermeticamente chiusi. La direttiva del 1968 puniva addirittura lâinfrazione con la pena massima della reclusione fino a un anno! Un crimine, insomma. Ebbene, il sospetto che a invogliare il legislatore comunitario sia stato proprio il nostro Paese non è poi così velleitario.