L'arca olearia
La gestione delle acque di vegetazione di frantoio: no ad avventurose soluzioni industriali

Un excursus sul percorso normativo che ha portato all'utilizzo delle acque di vegetazione del frantoio in campo. Oggi la normativa vuole essere rivista, nonostante i benefici per la circolarità e i risultati della ricerca scientifica. A beneficio di chi?
14 marzo 2025 | 17:00 | Luciano Di Giovacchino
Recentemente la Commissione XIII (Agricoltura) (della Camera dei Deputati) ha pubblicato il testo unificato delle risoluzioni relative alle “Problematiche del settore olivicolo”, con cui si impegnava il Governo “a valutare le opportune iniziative da intraprendere, anche di carattere economico, affinché si attui un piano per il rilancio, il rafforzamento e lo sviluppo dell’olivicoltura nazionale (piano olivicolo nazionale) che indichi il modello di olivicoltura e di filiera olivicolo-olearia da sviluppare nei prossimi 15 anni, con precisi obiettivi e indicatori economici da raggiungere, sul mercato interno e internazionale”. Tra le tante raccomandazioni rivolte al Governo, c’è la seguente, che riguarda una problematica a cui ho dedicato molta parte della mia attività di ricercatore presso l’Istituto Sperimentale per la Elaiotecnica di Pescara, ex CRA e ora diluito nel CREA:
“a far fronte alle esigenze del settore agricolo e valorizzare le acque di vegetazione dei frantoi oleari, con un apposito iter di rivisitazione della legge 11 novembre 1996, n.574, contribuendo alla circolarità dei processi produttivi attraverso una gestione programmata e integrata della risorsa idrica, anche con il corretto utilizzo dei sottoprodotti del settore;”
La mia preoccupazione deriva dal fatto che tra i tanti gravi problemi del settore, tra cui il principale è la drammatica riduzione della produzione olivicolo-olearia italiana (richiamata nelle raccomandazioni) e l’altrettanto grave conseguente aumento del prezzo dell’olio extra vergine di oliva, a mio avviso non sempre giustificato da cause oggettive, che sta causando una riduzione continua del consumo di questo prodotto, soprattutto da parte delle famiglie che non godono di un adeguato reddito, si sia sentita la necessità di “..una rivisitazione sella legge 11 novembre 1996, n. 574..” che, a mio avviso, è una legge ben fatta, emanata dal Parlamento italiano, per l’utilizzo razionale, e più naturale, del sottoprodotto acqua di vegetazione (AV) dei frantoi oleari “quale fertilizzante del suolo agricolo”, come recitava la legge che si vuole rivisitare, e come ampiamente dimostrato dalle diverse pubblicazioni, italiane e straniere, sul tema e dai risultati ottenuti (e pubblicati) nelle decennali esperienze sul campo effettuate, per lungo tempo, su colture annuali (mais, 5 anni) e arboree, come la vite (11 anni) e l’ olivo (9 anni) da alcuni ricercatori del predetto Istituto Sperimentale per la Elaiotecnica.
Essendo trascorso molto tempo dalla emanazione della legge 574/96 e al fine di far conoscere ai più giovani parlamentari, e alle nuove generazioni di olivicoltori e frantoiani interessati al problema, le annose vicende vissute dagli operatori del settore tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso, mi sembra opportuno richiamare in sintesi quanto avvenuto nel passato e illustrare le ragioni che hanno portato alla emanazione della predetta legge n. 574. Nel 1976 fu emanata la legge 319, detta anche Legge Merli, recante “Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”, che stabiliva i limiti di accettazione allo scarico delle acque di rifiuto, comunque prodotte, in pubbliche fognature o in corsi d’acqua superficiali. I predetti limiti da rispettare per immettere nel sistema fognante le acque reflue erano (sono) molto severi e proibitivi per i frantoi oleari, come dimostrarono i numerosi lavori di ricerca (1), effettuati per cercare di raggiungere una possibile e accettabile loro depurazione industriale, le cui proposte, tuttavia, non furono mai realizzate in nessun paese olivicolo.
Le soluzioni indicate (depurazione, concentrazione, recupero di particolari sostanze organiche, ecc.), infatti, richiedevano costi non sostenibili per i frantoi oleari, che effettuano una attività stagionale limitata a 2-3 mesi all’anno e sono, in genere, di piccole dimensioni, e, soprattutto, non risolvevano completamente il problema. Risultò evidente che era necessario trovare soluzioni più adeguate al settore e, a tal fine, fin dagli anni ‘70-80, la ricerca, specie quella italiana, cercò soluzioni alternative e più facilmente adottabili dai frantoi (2-17) sperimentando e proponendo l’utilizzazione agronomica delle AV mediante il loro riciclo sul terreno coltivato, in particolare nell’oliveto stesso da cui il sottoprodotto proviene. Alla luce delle oggettive difficoltà che presentava la depurazione industriale delle AV e della possibile alternativa rappresentata dal loro impiego agronomico, nel 1987 fu emanata la legge n. 119 che consentiva, in via provvisoria, lo spargimento controllato delle AV sul suolo coltivato solo dopo averne ridotto del 50% il carico organico inquinante. Questa soluzione, tuttavia, mostrò dei limiti, suscitando anche contenziosi giudiziari, poiché i controllori che dovevano accertare il raggiungimento dell’abbattimento del 50% del carico inquinante non potevano conoscere il valore originario del predetto carico rispetto al quale si doveva accertare la riduzione del 50%. L’incertezza del diritto e l’eventualità che fosse impedita l’attività dei frantoi favorirono l’intesa tra le associazioni di olivicoltori e quelle dei frantoiani che demandarono ad un Comitato, presieduto dal Prof. Mario Catalano dell’Università di Bari, il compito di preparare una relazione sullo stato dell’arte con i risultati ottenuti nelle ricerche effettuate sul campo relativamente all’impiego diretto in agricoltura delle AV.
Finalmente nel 1996, il Parlamento italiano, anche a seguito del rapporto preparato dal predetto Comitato, emanò la legge n. 574, che consentiva l’utilizzazione agronomica delle AV (e delle sanse) come fertilizzante del suolo agricolo. Si consentiva lo spargimento controllato di 50 o 80 m3/ha di AV, a seconda dell’origine del sottoprodotto, rispettivamente, dal sistema della Pressione o da quello della Centrifugazione a 3 fasi (nel caso delle sanse, 50 o 80 tonn. /ha). Per quasi 30 anni, la corretta applicazione della legge da parte dei frantoiani non ha determinato alcun problema all’ambiente, al suolo o alle colture ma, al contrario, ha consentito alla ricerca di confermare che le AV (e le sanse) sono una risorsa per l’agricoltura e, in particolare, per l’olivicoltura, come riportato in molti lavori pubblicati da ricercatori italiani (18-26), ma anche di Tunisia (27-29) e Grecia (30).
Tra i benefici effetti della utilizzazione agronomica delle AV, appare importante evidenziare il miglioramento delle caratteristiche chimiche e microbiologiche del suolo (18-29), la possibilità di ridurre, o eliminare, l’impiego dei fertilizzanti chimici, ottenendo uguale o maggiore produzione agricola, con evidente riduzione dei costi (25-26, 31). Questi risultati si ottengono perché con lo spargimento sul terreno del volume stabilito di AV (80 m3/ha) si apporta al suolo agricolo (oliveto) circa 70 m3 di acqua (a proposito della gestione della risorsa idrica, sopra richiamata), una quantità di macroelementi (azoto, fosforo e potassio) all’incirca uguale a quella richiesta da una normale fertilizzazione con concimi chimici e, soprattutto, una elevata quantità di sostanza organica pari a circa 5000-6000 kg/ha (25). Si deve proprio alla sostanza organica l’effetto benefico sulla attività e numerosità dei microrganismi del terreno e alla presenza delle sostanze fenoliche il miglioramento delle caratteristiche del suolo in quanto esse sono i precursori delle sostanze umiche (acidi umici), utili per migliorare la fertilità del terreno agricolo coltivato (32-42). La pratica dello spargimento delle AV sul suolo agricolo rappresenta un virtuoso esempio di economia circolare, con il ritorno sul terreno di una parte di quanto il terreno stesso ha prodotto e con vantaggio economico (riduzione dei fertilizzanti chimici), ed anche di agricoltura sostenibile poiché il terreno trattato con le AV risulta possedere caratteristiche chimiche e microbiologiche migliori rispetto a quelle del suolo che ha ricevuto solo fertilizzanti chimici di sintesi. Questa è la vera valorizzazione delle AV in quanto risorsa che torna all’agricoltura, mentre sarebbe una grave perdita per l’olivicoltura se la rivisitazione della legge 574 del 1996, come richiesto (da olivicoltori e/o frantoiani ?), prevedesse un qualche intervento di trattamento industriale delle AV con sicuro aggravio dei costi per il settore olivicolo-oleario e, certamente, senza raggiungere risultati di una qualche utilità né per l’ambiente né per l’economia agricola in generale.
Lo stesso discorso vale per la sansa umida che si ottiene con la centrifugazione a 2 fasi (che non produce AV) e che, una volta separato il nocciolino (ottimo combustibile “green”), può essere sparsa sull’oliveto (80 t/ha) apportando una quantità di macroelementi fertilizzanti e di sostanza organica uguale o superiore a quella fornita dalle AV. Anche negli anni ’70-90, ci furono tentativi per orientare le decisioni dei ministeri competenti verso soluzioni industriali, ma, fortunatamente, la politica seppe resistere e adottare la soluzione più razionale e utile per il settore e per l’ambiente, evitando sprechi economici per inutili e dannosi interventi dell’industria verso i quali, purtroppo, sono orientati molti progetti di ricerca, spesso finanziati dalla Comunità Europea e coordinati da istituzioni pubbliche nord-europee estranee al settore olivicolo-oleario, come riportato in una recente review pubblicata sulla tematica (43). Spero che anche oggi il Parlamento faccia lo stesso e, qualora il problema fosse il passaggio delle AV, o delle sanse, dal frantoio all’olivicoltore, mi auguro che si faccia di tutto per cercare di raggiungere un accordo tra le due parti, come avvenuto nel passato, legate da un interesse comune che è la ragione della loro attività: la produzione delle olive, da una parte, e la produzione dell’olio vergine, dall’altra. Sarebbe un grave errore e una perdita per l’agricoltura destinare le AV ad altri usi, diversi dal loro riciclo sullo stesso terreno che le ha prodotto, snaturando la legge per finanziare avventurose soluzioni industriali tese a distruggere, con costi a carico del settore agricolo, sostanze utili al terreno e alle piante. A conclusione di questo breve intervento, mi sembra opportuno riferire che la soluzione italiana, sull’utilizzazione delle AV dei frantoi oleari, è stata recepita nel 2013 dalla Tunisia, con limiti quantitativi e modalità leggermente diversi rispetto a quelli previsti dalla legge 574/1996, mentre anche in Spagna (i cui frantoi impiegano i decanter a 2 fasi che non producono AV) è stato consentito recentemente di poter utilizzare sul terreno le acque di lavaggio delle olive e dell’olio.
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Alessandro Vujovic
18 marzo 2025 ore 02:29A commento che "sarebbe un grave errore e una perdita per l'agricoltura destinare le AV ad altri usi, diversi dal loro riciclo sullo stesso terreno che le ha prodotto..."
direi proprio di no, anche se sono convinto che lo spandimentoi "controllato" dei co-prodotti sul terreno agricolo che li ha generati abbia un effetto agronomico positivo come fertilizzanti, con vantaggi superiori a qualche minimo problema come:
- elevato carico organico;
- bassa biodegradabilità a causa dell'azione antimicrobica dei composti fenolici;
- abbassamento del pH del terreno;
- rischio di contaminazione delle falde acquifere.
Preferirei rispondere a "moderne" esigenze di economia circolare che i co-prodotti, nello specifico le AV, qualora venissero:
- utilizzati i composti fenolici derivati per un uso farmaceutico, alimentare e cosmetico;
- per uso nutrizionale dei ruminanti onde ottenere una maggiore stabilità ossidativa delle carni, del latte e prodotti caseari migliorandone la shelf life.
Oggi le sostanze bioattive, come antiossidanti, vengono estratte dal té verde e dalla filiera enologica nonché dalle foglie d'olivo, da impiegare per le bevande e cibi funzionali e infine come integratori alimentari.
Questa sarebbe l'occasione per estrarre i composti fenolici dalle AV, prevedendo anche incentivi economici da parte dello Stato, per migliorare la "salubrità" di alcuni prodotti alimentari, tra i quali ricordo la sostituzione dei nitriti/nitrati nei salumi oppure il bisolfito nei vini, con l'idrossitirosolo per la sua notevole attività antiossidante e per l'assenza di tossicità.